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Opinioni

Ravers, femministe, migranti, francesi: Giorgia Meloni e il disperato bisogno di un nemico

Non c’è un singolo elemento di novità nel percorso che sta portando avanti Giorgia Meloni alla guida del Paese. È tutto sulla scia del suo grande classico narrativo: il vittimismo. Che si basa su un meccanismo molto semplice: serve sempre un nemico per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica.
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C’è una cosa su cui Giorgia Meloni ha sempre dimostrato di essere fra le migliori in assoluto: la creazione e gestione di una narrazione vittimista che sia funzionale alla costruzione del consenso. La sua carriera politica offre diversi esempi, non da ultimo la conduzione durante i mesi di governo di Mario Draghi, con la retorica dell'emarginazione e del confinamento delle istanze di Fratelli d'Italia da parte dei fautori della grande ammucchiata. Una strategia non solo comunicativa che Meloni sta adottando anche nella nuova veste di presidente del Consiglio, con qualche piccolo accorgimento che si rende necessario in virtù del cambiamento di contesto e rapporti di forza. Nella posizione in cui si trova adesso, considerate le enormi difficoltà in cui si trova a operare e il carico di aspettativa dell'opinione pubblica, Meloni ha la necessità di individuare di volta in volta degli obiettivi, meglio se degli ostacoli. E quando non ci sono, di crearli.

Il meccanismo è tutto sommato abbastanza semplice, poiché prevede essenzialmente che, di fronte a un qualunque tipo di problematica, il primo passo da fare sia di procedere per contrasti, alterità, dualismi. C'è sempre questo binomio di forze: da un lato quelli che vogliono intervenire e che sono sempre interpreti della volontà popolare, dall'altro chi o è causa del problema o è ostacolo alla sua risoluzione, per interesse o incompetenza. Quello che non deve mai mancare, dicevamo, è il processo di creazione del nemico. Serve sempre un obiettivo polemico, meglio se un soggetto in grado di sussumere la responsabilità del problema e l'impossibilità di venirne a capo. Meglio ancora se si può attingere all'immaginario collettivo dei mostri, dei nemici storici, dei problemi che nessuno ha mai voluto risolvere.

Le prime settimane del governo Meloni sono specchio fedele di questa impostazione. La leader di Fratelli d'Italia non è in una posizione semplice, peraltro quasi senza averne responsabilità, questo le va riconosciuto. Ha dovuto mediare e trattare per costruire la squadra di governo, non potendo mai fidarsi fino in fondo dei suoi principali alleati, con un risultato che non ha soddisfatto le grandi aspettative di cambiamento e discontinuità con le esperienze precedenti. Si è trovata a fare i conti con una situazione economica molto difficile, con margini di manovra ridotti e la necessità di seguire pedissequamente o quasi le indicazioni del suo predecessore Mario Draghi. Ha già bucato le prime promesse ed è stata quasi costretta ad adottare un approccio prudente, anche perché circondata da alleati che sembrano perseguire una propria agenda politica. È stato un inizio complicato anche in politica estera, malgrado l'Italia avesse la strada tracciata e zero possibilità di deragliare su questioni centrali come l'Ucraina.

Insomma, una condizione complessiva di estrema difficoltà, che non sembra dover cambiare nel breve volgere di qualche settimana. Se non puoi cambiare la realtà, puoi almeno provare a controllarne la narrazione. Ed è quello che Meloni e i suoi stanno cercando di fare fin dall'inizio, muovendosi nel solco di una strategia consolidata. La polemica sul linguaggio da utilizzare per rivolgersi a Meloni è il primo trial balloon: portare l'opinione pubblica a discutere di una questione che essa percepisce come marginale (non lo è, peraltro), su un terreno congeniale alla retorica della destra, con la possibilità di creare i primi "nemici del fare" (i radical chic, le femministe e via discorrendo). Poi la vicenda dei rave, che permette di utilizzare un altro frame narrativo, quello della "pacchia finita". Il nemico di turno è un bersaglio facilissimo: i giovani del "divertimento facile", quelli che "non rispettano le regole", che "fanno uso di droghe" e via discorrendo. Un'emergenza inesistente, una questione più che marginale, diventa il centro della discussione per settimane, oltre che oggetto addirittura di un decreto da parte di un governo che avrebbe compiti ben più gravosi. La costruzione a tavolino dei nemici procede senza sosta e si alimenta di qualunque episodio di cronaca: da una protesta ambientalista a una manifestazione studentesca, la tecnica è sempre la stessa, gli obiettivi quelli conosciuti, repressione del dissenso inclusa. È particolarmente interessante notare come in queste narrazioni spesso ci si trovi di fronte a una totale inversione dei ruoli e dei rapporti di forza: contestazioni marginali diventano "mainstream", singoli e condannabili episodi di violenza diventano rappresentativi di interi movimenti di contestazione, politici con trent'anni di carriera in Parlamento e onnipresenti in tv che parlano di censura. Certo, a volte si esagera, come quando si denunciano pestaggi di massa di cui nessuno sa nulla, neanche le forze dell'ordine… Ma insomma, ci siamo capiti.

In questo clima, sapevamo che non avremmo dovuto attendere molto prima che andasse in scena un grande classico della narrazione vittimista della destra: la guerra alle Ong che salvano la vita ai migranti nel Mediterraneo. Un'occasione d'oro per il governo Meloni, perché stavolta c'è stato anche il caso diplomatico, uno vero, con la Francia (e pazienza se si tratta della nazione con cui meglio abbiamo lavorato in sede europea negli ultimi anni). Migranti, Ong, francesi ed Europa cattiva: la tempesta perfetta per la macchina della propaganda meloniana e salviniana. Nemici funzionali allo scopo di catalizzare l'attenzione dell'opinione pubblica intorno al frame narrativo dell'emergenza immigrazione come pericolo per la nazione, di fronte al quale l'Italia sarebbe lasciata da sola dagli altri stati europei che non rispettano gli impegni presi e si disinteressano delle regole comuni, finanche agevolando l'opera dei nuovi scafisti che lucrano sull'immigrazione clandestina. Ma anche qui, tranquilli, perché "la pacchia è finita" e il nuovo governo "affermerà un principio" e si farà valere in Europa.

Poi, per carità, ci sarebbe la realtà dei fatti, che parla di numeri gestibili, di reiterate violazioni italiane del diritto internazionale e delle regole europee, di provvedimenti illegittimi e di gestione ridicola da parte del Viminale, di persone tormentate per giorni senza alcun motivo e di diritti sacrificati in nome della propaganda, di disinteresse italiano ed europeo per le azioni di ricerca e salvataggio in mare dei migranti e di accordi sulla pelle degli ultimi con i libici. Ma figuriamoci se interessa a qualcuno…

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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