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Presidente Corte costituzionale: “Tempi del processo troppo lunghi. Ma serve riflessione pacata”

Marta Cartabia, presidente della Corte costituzionale (e prima donna a ricoprire tale carica), non si può pronunciare espressamente su temi come la prescrizione, che nelle ultime settimane si trova al centro dello scontro tra la maggioranza, ma riconosce comunque il problema di fondo, cioè la lunghezza dei tempi dei processo. E afferma: “Serve una riflessione pacata di tutti, al di là di ogni steccato ideologico”.
A cura di Annalisa Girardi
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"La Corte non è un attore politico e non ha un programma politico da realizzare. La sua azione non può essere compresa attraverso chiavi di lettura di tipo politico, come la contrapposizione “destra-sinistra”. Non bisogna mai dimenticare la grande distinzione tra istituzioni politiche e istituzioni di garanzia": così Marta Cartabia, prima donna presidente della Corte Costituzionale, in un'intervista a Repubblica. Cartabia rifiuta le polemiche secondo cui la Corte sarebbe politicizzata e precisa la distinzione tra il potere politico e la magistratura: e anche se il secondo a volte interviene nelle scelte del primo, sottolinea, è sempre in funzione di arbitro: "Il Parlamento e il governo sono istituzioni politiche. Il presidente della Repubblica, la Corte costituzionale e i giudici sono organi di garanzia, cioè arbitri. La Corte costituzionale deve vigilare che le decisioni degli attori politici rispettino sempre gli argini segnati dai principi costituzionali. E per farlo, talvolta deve “bocciare” – come si dice in gergo giornalistico – una legge, un referendum, o altri atti dei pubblici poteri. La Corte non agisce mai come l’avversario politico di una parte. La Corte è garante della Costituzione, che è la casa comune di tutti, come diceva Giorgio La Pira".

E anche se la presidente della Corte non si può pronunciare espressamente su temi come la prescrizione, che nelle ultime settimane si trova al centro dello scontro tra la maggioranza, riconosce comunque il problema di fondo, cioè la lunghezza dei tempi dei processo: "È evidente che i processi troppo lunghi si tramutano in un anticipo di pena anche se l’imputato non è in carcere. Che il processo debba avere una ragionevole durata è un principio di civiltà giuridica scritto nelle norme internazionali ed esplicitato nella Costituzione dal ‘99. Sono molti i fattori che concorrono alla lunga durata del processo, alcuni di natura organizzativa, altri legati alla necessità di accuratezza delle prove e alle garanzie per l’imputato", afferma Cartabia chiamando a "un'azione su vari fronti" e allo stesso tempo a "una riflessione pacata di tutti, al di là di ogni steccato ideologico".

La presidente della corte quindi conclude riportando a un "volto umano della giustizia", ricordando che "la pena non deve mai essere contraria al senso di umanità". Allo stesso tempo, precisa Cartabia, "deve essere capace di tenere conto e bilanciare le esigenze di tutti: la sicurezza sociale, il bisogno di giustizia delle vittime e lo scopo ultimo della pena che è quello di recuperare, riappacificare, permettere di ricominciare anche a chi ha sbagliato".

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