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Perché l’Italia non riduce l’orario di lavoro a parità di stipendio come ha fatto la Spagna

Il governo spagnolo ha varato un disegno di legge per ridurre la settimana lavorativa da 40 a 37,5 ore, eventualmente lavorando anche su quattro giorni, e mantenendo lo stesso stipendio. Perché l’Italia non fa una riforma del genere? C’entra la volontà politica del governo Meloni, ma anche la condizione dell’economia.
A cura di Luca Pons
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Ha attirato l'attenzione internazionale la nuova iniziativa del governo spagnolo, guidato dal socialista Pedro Sanchez, che ha mantenuto una delle sue promesse elettorali e varato un disegno di legge che prevede la riduzione dell'orario di lavoro. Solo 37,5 ore a settimana, invece di 40, e senza nessun taglio dello stipendio. In più, norme per la settimana lavorativa da quattro giorni e iniziative per garantire la ‘disconnessione digitale', cioè il diritto di chi non lavora di non essere disturbato via mail, messaggi e altri strumenti online.

Ora toccherà al Parlamento spagnolo decidere se approvare la norma, modificarla o bocciarla, e il confronto avverrà nelle prossime settimane. E intanto anche in altri Paesi, come l'Italia, si è aperto un dibattito: perché non lo facciamo anche noi?

Le proposte bocciate dal governo Meloni

Non è che manchino le proposte. Le opposizioni unite (con l'eccezione di Italia viva) hanno depositato da tempo un testo di legge che porterebbe a ridurre l'orario di lavoro a parità di salario. Ma da mesi è bloccato alla Camera, dove a febbraio la maggioranza di centrodestra l'aveva rispedito dall'Aula alla commissione.

Da una parte quindi c'è sicuramente la volontà politica del governo e dei partiti della destra. Ridurre l'orario lavorativo non è tra i suoi obiettivi, così come non lo è introdurre il salario minimo (altra proposta delle opposizioni). Della settimana corta si è discusso in passato, ed è una possibilità che è stata prevista negli ultimi rinnovi dei contratti collettivi pubblici, ma si è comunque ben lontani dal pensare che il governo voglia introdurla con una riforma ad hoc.

Oltre alle idee politiche di chi governa ci sono anche delle condizioni economiche differenti, che potrebbero rendere più complesso introdurre la settimana corta o l'orario ridotto in Italia se prima non si migliora la situazione. Lo conferma anche il fatto che, nel nostro Paese, solo alcune grandi aziende – come Luxottica o Intesa Sanpaolo – hanno introdotto delle sperimentazioni in questo senso, e non con una formula uguale per tutti.

La crisi della produttività in Italia

Un dato che bisogna tenere in considerazione, e che è notoriamente problematico per l'Italia, è la produttività. Ovvero, a parità di ore lavorate, quanto si produce. I dati di Eurostat sono molto chiari da questo punto di vista: l'Italia va decisamente a rilento rispetto agli altri grandi Paesi europei, Spagna inclusa.

Negli ultimi 25 anni, la produttività italiana è rimasta sostanzialmente ferma. Prendendo il 2015 come anno di riferimento in cui la produttività era a 100, nel 2000 era a 99, mentre nel 2024 era a 99,7. Per fare un confronto, la Spagna all'inizio del secolo era a 86 e l'anno scorso era a a 104. Un salto in avanti significativo. Lo stesso vale per la Germania (passata da 87 a 106) e per la Francia (da 86,7 a 100). La media Ue ha visto una crescita ancora più accentuata, da 84,1 a 105,9.

Concretamente, questo significa che l'economia italiana non ha trovato un modo di produrre di più lavorando di meno. Secondo l'Istat la produttività è cresciuta di appena lo 0,5% in media tra il 2014 e il 2023. Questo non si applica a tutti i settori nello stesso modo, naturalmente: le tabelle Eurostat confermano che negli ultimi dieci anni c'è stato un calo particolare nell'agricoltura, un miglioramento nelle costruzioni e nelle vendite e riparazioni di automobili, e così via. Ma in generale l'Italia vive da tempo una crisi della produttività, non solo nell'industria.

Nonostante, secondo i dati Ocse, l'Italia sia il grande Paese europeo in cui si lavora più ore (in media 1.734 ore all'anno a testa, contro le 1.632 della Spagna, le 1.500 della Francia e le 1.343 della Germania), il fatto che la produttività sia rimasta immobile negli ultimi anni fa sì che, se si riducono le ore lavorate, ci sia il rischio di un calo della produzione. Certo, questo non significa che non si possa sperimentare. O che non si possa trovare una riforma che, insieme ad altri elementi, permetta di ridurre l'orario senza causare un calo della produzione. Ma qui ritorna la questione iniziale: al momento, da parte del governo, non sembra esserci nessuna intenzione di andare in questa direzione.

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