259 CONDIVISIONI
Opinioni

Perché l’aborto fa parte della libertà delle donne, senza nessun “purtroppo”

La ministra della Famiglia Eugenia Roccella dice che abortire “fa parte purtroppo delle libertà delle donne”, invece di occuparsi di rimuovere gli ostacoli che impediscono l’applicazione della legge 194. Il governo Meloni finge da una parte di non voler colpire il diritto all’aborto, ma dall’altra non muove un dito per occuparsi delle evidenti criticità.
A cura di Annalisa Cangemi
259 CONDIVISIONI
Immagine

Che una ministra del governo Meloni dica di non voler toccare la 194 sull'aborto non sembrerebbe una notizia, visto che non è altro che il solito refrain che viene riproposto dalla stessa presidente del Consiglio fin dalla campagna elettorale, assicurando a più riprese di non voler abolire o modificare la legge – ci mancherebbe –  ma di voler aggiungere un diritto in più, semmai applicandola "integralmente anche nella parte che riguarda la prevenzione". Ma che la ministra Eugenia Roccella, per di più quella che guida il dicastero per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, si permetta di dire che abortire "fa parte purtroppo delle libertà delle donne", non può che lasciarci atterriti.

Roccella, in un intervento in tv, ospite nel programma di Rai1 ‘Oggi è un altro giorno', alla domanda della conduttrice Serena Bortone "E l’aborto fa parte di una delle libertà delle donne?", si lascia scappare un "purtroppo sì". Detto di getto, senza riuscire a celare l'amarezza nella risposta. Una dichiarazione che fa a pugni con le posizioni prese da Meloni, quando si stracciava le vesti a ridosso del voto per le politiche del 25 settembre, e si lamentava così: "Sono surreali le ricostruzioni che dicono che come eventuale primo premier donna toglierei un sacco di diritti alle donne. Quali sarebbero i diritti che vogliamo togliere? L'aborto? No, vogliamo dare alle donne che pensano che l'aborto sia l'unica scelta che hanno il diritto di fare una scelta diversa". E invece non è così, le donne non possono scegliere davvero, e questo la ministra Roccella e tutto l'esecutivo lo sanno benissimo.

La legge 194 non è applicata, ma il governo se ne frega

In molti territori le donne non hanno la possibilità di interrompere la gravidanza o hanno difficoltà a farlo nei tempi previsti, visto che le strutture ospedaliere non sempre garantiscono la presenza di personale sanitario non obiettore. Accade per esempio in Calabria, all'ospedale di Cosenza, dove dalla scorsa estate nel reparto di ginecologia non c'è più neanche un medico non obiettore di coscienza. E davanti a disservizi gravi come questo non sempre si riescono a trovare alternative, per una cronica carenza di personale sanitario.

Eppure la legge 194 dovrebbe garantire, oltre al diritto all'obiezione di coscienza dei medici, quello principale a interrompere la gravidanza. Due diritti che dovrebbero essere complementari, ma che in realtà si trovano a essere in antitesi, in una situazione in cui nelle strutture tutti i medici sono obiettori, senza eccezioni. Di questo enorme cratere nell'applicazione della legge di certo la ministra Roccella non si sta interessando.

Così come non si sta occupando di tutti quei consultori, in cui in teoria potrebbe e dovrebbe essere somministrata la pillola abortiva RU486, come conseguenza delle direttive del ministero della Salute emanate nel 2020, secondo cui per l'aborto farmacologico non è più necessario il ricovero in ospedale. Questo anzi potrebbe essere fatto in day hospital, nelle strutture pubbliche e private convenzionate, e le donne potrebbero tornare a casa mezz’ora dopo aver assunto la pillola. Ma ancora una volta la realtà di tutti i giorni è molto diversa da quello che la legge stabilisce sulla carta, e una Regione del Sud come la Calabria non ha mai recepito quelle linee guida.

Oltretutto quello che avviene nei consultori non è un mistero. Lì spesso le donne che vogliono abortire, invece di essere accolte e guidate nel percorso, vengono scoraggiate e incontrano anche difficoltà a farsi rilasciare il certificato di interruzione di gravidanza, che dovrebbe attestare semplicemente la volontà di una persona ad abortire. Su questo la legge 194 (articolo 9) è molto chiara:

L'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento.

A questo dovrebbe pensare la rappresentante del governo Meloni, a rimuovere tutti gli ostacoli, organizzativi e materiali, che impediscono alla legge di funzionare, invece di sentenziare che "Oggi sembra che l'aborto sia il più alto diritto delle donne", ma in verità è solo "una via di fuga", entrando tra l'altro nella sfera intima delle persone, emettendo giudizi sulle reali motivazioni che portano una donna a decidere di non essere madre.

Roccella ribadisce che la 194 è una buona legge, che non è in discussione, ma aggiunge che le donne non sono felici di abortire. Quello che il governo dovrebbe fare, invece di sminuire o biasimare la libera scelta di non portare avanti una gravidanza, è invece rendere pubblici tutti i dati sulla reale applicazione della legge 194 e sui numeri degli obiettori di coscienza in Italia, in modo da individuare le anomalie e intervenire tempestivamente.

L'indagine ‘Mai Dati' curata da Chiara Lalli e Sonia Montegiove e presentata al congresso dell'Associazione Luca Coscioni, restituisce una fotografia agghiacciante. Secondo la ricerca, basata su richieste di accesso civico generalizzato alle Regioni, il Molise ha la più alta percentuale di obiettori (su 2 strutture ospedaliere in totale, 1 struttura che non è punto IVG ha tutti i medici ginecologi obiettori, mentre nell’altra 8 ginecologi su 10 sono obiettori). Seguono la Puglia (8 ospedali con obiezione al 100% su 35 totali – di questi 7 non sono punti IVG e 1 è punto IVG) e le Marche (2 ospedali su 17 totali – non sappiamo se punto IVG oppure no).

Ma ci sono anche dieci Regioni che non hanno risposto alla richiesta di accesso civico, e di cui quindi non sappiamo nulla: Lazio, Sicilia, Calabria, Toscana, Basilicata, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Trentino Alto Adige.

Tutti questi dati sono relativi al 2021. Ma quelli ufficiali, pubblicati dal ministero nell'ultima Relazione di attuazione della legge 194 del ministero della Salute, in formato chiuso e aggregati per Regione, senza rendere note le pubbliche le percentuali di obiettori delle singole strutture, sono fermi al 2020.

Quello del governo è un atteggiamento imperdonabile: fingere da una parte di non voler colpire il diritto all'aborto, ma dall'altra non muovere un dito per occuparsi delle evidenti criticità. Abortire dovrebbe far parte delle libertà delle donne, semplicemente perché lo stabilisce la legge 194 del 22 maggio del 1978 (norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza). Dichiarazioni come quella di Roccella non dovrebbero far parte del repertorio di nessun governo democraticamente eletto.

259 CONDIVISIONI
Immagine
Giornalista professionista dal 2014, a Fanpage.it mi occupo soprattutto di politica e dintorni. Sicula doc, ho lasciato Palermo per studiare a Roma. Poi la Capitale mi ha fagocitata. Dopo una laurea in Lettere Moderne e in Editoria e giornalismo ho frequentato il master in giornalismo dell'Università Lumsa. I primi articoli li ho scritti per la rivista della casa editrice 'il Palindromo'. Ho fatto stage a Repubblica.it e alla cronaca nazionale del TG3. Ho vinto il primo premio al concorso giornalistico nazionale 'Ilaria Rambaldi' con l'inchiesta 'Viaggio nell'isola dei petrolchimici', un lavoro sugli impianti industriali siciliani situati in zone ad alto rischio sismico, pubblicato da RE Le Inchieste di Repubblica.it. Come videomaker ho lavorato a La7, nel programma televisivo Tagadà.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views