Perché la pace in Palestina è ancora lontana, nonostante l’accordo

Il cosiddetto piano di pace promosso da Donald Trump per la Striscia di Gaza sta per entrare in vigore. C’è un dato positivo: le bombe israeliane non cadranno più sui palestinesi. Ma sono rimasti dei nodi da sciogliere che rischiano di far saltare tutto, sia nel breve periodo che a lungo termine.
A cura di Redazione
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di Valerio Nicolosi e Luca Pons

Il cosiddetto piano di pace di Donald Trump, che dovrebbe portare la pace nella Striscia di Gaza tra Israele e Hamas e porre fine al genocidio, nei prossimi giorni dovrebbe essere messo in atto. Nel frattempo, gli attacchi militari a Gaza si sono tutt'altro che fermati. Ma anche se tutte le condizioni saranno rispettate, diverse cose mancano a questo piano in venti punti per garantire una pace davvero duratura.

L'accordo finora prevede un cessate il fuoco immediato e il rilascio di tutti gli ostaggi di Hamas, sia vivi che morti, in cambio della liberazione di quasi 2mila palestinesi detenuti in Israele. In più, l'esercito israeliano dovrà ritirarsi parzialmente dalla Striscia. Tuttavia, il governo di Tel Aviv ha già detto che continuerà a occupare militarmente il 53% della Striscia di Gaza. A seguito del cessate il fuoco potrà anche ripartire il flusso di aiuti umanitari nella Striscia, portando sollievo in una zona stremata dalla carestia causata dall'assedio israeliano.

I tre ostacoli che rischiano di far saltare l'accordo tra Israele e Hamas

Ci sono almeno tre ostacoli principali, che rischiano di mettere in discussione tutto l'accordo. Il primo è la richiesta ad Hamas di consegnare tutte le armi. L'organizzazione e la sua ala militare – le Brigate al-Qassam – si sono dette disponibili a rinunciare agli armamenti pesanti, tra cui i lanciarazzi. Ma non si è ancora raggiunta un'intesa sulle armi leggere, soprattutto i Kalashnikov, a cui non vorrebbero rinunciare.

Il secondo nodo critico è il già citato ritiro di Israele. Se le forze armate israeliane hanno detto che resteranno nel 53% del territorio di Gaza, Hamas chiede invece che si ritirino del tutto dalla Striscia. Le due questioni sono legate: Hamas non intende rinunciare del tutto alle armi fin quando l'esercito di Israele occuperà il territorio palestinese.

C'è poi la questione dei prigionieri politici e degli ostaggi palestinesi che oggi si trovano nelle carceri israeliane, e che Israele dovrà rilasciare in cambio della liberazione dei propri ostaggi. In particolare, le tensioni sono sulla lista dei nomi di chi sarà liberato.

Hamas ha chiesto che 1.700 persone arrestate dopo il 7 ottobre 2023 (molte delle quali non sono mai state processate) e circa 250 persone già condannate. Nell'elenco, però, ci sono anche individui che Israele non ha intenzione di liberare. Due su tutti: Marwan Barghouti e Ahmad Sa'adat.

Barghouti, soprannominato il "Mandela palestinese", è un ex leader laico di Fatah che è stato condannato dalla giustizia israeliana a cinque ergastoli. Si tratta di una figura carismatica, un leader per la popolazione palestinese, tanto che nel 2021 avrebbe vinto le elezioni candidandosi dal carcere. Ma proprio per questo il governo israeliano non ha intenzione di rilasciarlo. Sa'adat invece è l'ex segretario generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. È stato condannato per aver organizzato un attentato contro un ministro israeliano.

Sempre a proposito di scambio di ostaggi e vittime, Israele ha detto anche che non restituirà i corpi dei due leader di Hamas che ha ucciso, Yahya Sinwar e Mohammed Sinwar. Il timore sarebbe che il luogo di sepoltura dei due fratelli diventino un simbolo.

La grande questione irrisolta dello Stato di Palestina

Questi sono solo i problemi più immediati che il cosiddetto piano di pace dovrà affrontare. Ma ci sono anche questioni più di ampio respiro che, al momento, restano completamente senza risposta. Ad esempio: la nascita dello Stato di Palestina. Lo stesso Donald Trump ha ammesso che su questo non ha una soluzione, e se ne dovrà discutere successivamente. La questione, peraltro, non è scollegata dalla liberazione di Barghouti e Sa'adat: ottenere la loro libertà darebbe un grande prestigio politico ad Hamas, da rivendicare nel futuro governo palestinese.

E a proposito di governo: chi controllerà la Striscia di Gaza? Il piano prevede che inizialmente a farlo sarà un'organizzazione composta da miliardari e tecnocrati, scelti dal presidente degli Stati Uniti Trump. Dentro ci saranno nomi come quello di Tony Blair, graditi a Israele e i Paesi del Golfo, mentre non ci sarà nessun vero rappresentante della Striscia. A garantire la sua tenuta sarà un un contingente militare internazionale.

E dopo? Qui emerge il grande problema di fondo. Se non nasce uno Stato palestinese, la pace non potrà durare. Ma per arrivare a quel punto sarebbe necessario smantellare le colonie in Cisgiordania e il potere israeliano su Gerusalemme Est. Altrimenti, un territorio palestinese libero non esisterebbe nemmeno. L'occupazione illegale (lo hanno stabilito le Nazioni Unite a più riprese) va avanti dal 1967. Finora, non si è detta una parola su come portarla a termine.

Il piano di Trump, da questo punto di vista, sembra più dettato dalla volontà di prepararsi al Nobel per la Pace che a una vera volontà di portare stabilità nella zona. Se non altro, a meno di stravolgimenti, per il momento le bombe smetteranno di cadere sui palestinesi.

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