Per Salvini la pace a Gaza è merito di Netanyahu, ma dimentica che ha un mandato d’arresto per crimini contro l’umanità

Durante un comizio a Firenze, a chiusura della campagna elettorale per il sindaco uscente Alessandro Tomasi, Matteo Salvini ha definito Benjamin Netanyahu uno dei protagonisti della pace a Gaza. "Si deve anche a quello che alcuni giudicano un criminale, che è Bibi Netanyahu, che ha tenuto duro in un momento difficile", ha dichiarato il leader della Lega, accostando i risultati raggiunti sul cessate il fuoco alla "forza del presidente Trump", al "coraggio di papa Leone" e al governo italiano, che "non si è accodato ai pecoroni alla Macron nel riconoscere lo Stato di Palestina". Secondo Salvini, se oggi si può parlare di un inizio di ricostruzione e di restituzione degli ostaggi, il merito sarebbe anche del primo ministro israeliano.
Questa narrazione, però, trascura alcuni aspetti fondamentali della situazione attuale: innanzitutto Netanyahu, da lui elogiato come protagonista di questo presunto processo di pacificazione, è il responsabile dell'invasione militare che ha ridotto Gaza in rovine e lasciato una popolazione stremata dalla fame. Proprio su di lui, e sul suo ministro della Difesa Yoav Gallant, pesa una richiesta di mandato d'arresto da parte della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l'umanità, che li accusa di aver usato la fame come arma di guerra, ostacolando volutamente l'ingresso di aiuti umanitari e contribuendo a una crisi senza precedenti, che ha colpito ospedali, infrastrutture civili e milioni di persone.
Salvini parla poi già di "ricostruzione" ma sembra ignorare che oltre il 90% della Striscia di Gaza è ridotto in macerie. Non c’è, poi, un piano condiviso, né una vera rappresentanza palestinese ai tavoli dove si discute oggi la tregua: parlare di pace, in queste condizioni, è fuorviante, si tratta di una tregua ancora vaga, i cui contorni e durata restano incerti. Attribuirne il merito a chi è sotto accusa per aver deliberatamente affamato civili, invece, non è una forzatura, ma una scelta politica precisa.
Salvini, Netanyahu e un'amicizia dichiarata
Le parole di Salvini non rappresentano però una sorpresa: il rapporto tra il leader della Lega e il premier israeliano è solido, pubblico e coltivato con coerenza negli anni. Salvini non ha mai nascosto la sua ammirazione per Netanyahu, che chiama, da sempre, familiarmente, "Bibi".
In più occasioni ha definito Israele un alleato strategico e un modello da seguire: pochi mesi fa ha persino ricevuto il "Premio Israele-Italia", conferitogli da alcune organizzazioni filo-israeliane per "l'amicizia dimostrata nel tempo verso lo Stato ebraico"; una vicinanza che non è solo simbolica, ma si è tradotta in atti concreti: già dieci anni fa, nel 2015, la Provincia di Sondrio, a guida leghista, firmava un accordo con l'insediamento israeliano di Shomron, una colonia situata in Cisgiordania, considerata illegale dal diritto internazionale; nel 2016, Salvini si recava in Israele per studiarne i sistemi di sicurezza. Due anni dopo, nel 2018, tornava per una visita ufficiale, incontrando Netanyahu in persona e visitando la sinagoga italiana di Gerusalemme: quel giorno le discussioni si sono concentrate sul rafforzamento della cooperazione bilaterale in diversi settori, tra cui la sicurezza marittima, i collegamenti aerei diretti tra Italia e Israele e lo sviluppo di infrastrutture innovative come le autostrade intelligenti e i trasporti a idrogeno.
Un asse ideologico e politico
Quello con Israele non è però solo un legame diplomatico ma ideologico, fondato su una visione del mondo comune: sicurezza come priorità assoluta, chiusura verso l'immigrazione, uso della forza come strumento politico e culturale. Israele viene visto dalla Lega come un modello da imitare anche in Italia, soprattutto nella gestione dei "nemici interni", che il partito di Salvini spesso identifica con le comunità musulmane o con i migranti. A questo si aggiunge la componente repressiva: negli ultimi anni, ma soprattutto mesi, Salvini ha più volte preso posizione contro manifestazioni a supporto della Palestina, giudicandole "antisemite" o "complici del terrorismo islamico". Il disegno di legge presentato nel 2024 dal senatore leghista Massimiliano Romeo, per vietare manifestazioni critiche verso Israele, si inserisce proprio in questa logica.
C'è poi anche un piano economico: infrastrutture, tecnologia, cooperazione energetica. Il gasdotto EastMed/Poseidon, che collega Israele all'Italia passando per Cipro, è stato più volte sostenuto dal partito come investimento strategico.
Il linguaggio delle alleanze, non dei diritti
Nel raccontare la situazione in Medio Oriente, Salvini ha sempre utilizzato un linguaggio che esclude la prospettiva palestinese: non ha mai parlato di autodeterminazione del popolo palestinese, né di diritto internazionale, anzi. Ha sempre sottolineato invece la "difesa dall’Islam radicale", parlando di "futuro sereno" per Israele o di "lotta al terrorismo". La narrazione è insomma tutta sbilanciata su una sola parte, come se l’altra non avesse voce né, soprattutto, storia. Pochi mesi fa, in un'intervista a i24News, Salvini ha ribadito: "Israele ha tutto il diritto di garantirsi un futuro sereno" e ha anche bollato le critiche contro Netanyahu come forme di antisemitismo mascherato. Quando gli è stato chiesto delle manifestazioni di protesta, ha affermato che “molta di questa gente non sa per cosa protesta”- liquidando così milioni di studenti, accademici, attivisti, giornalisti, sindacati, medici e cittadini comuni, protagonisti di una delle mobilitazioni globali più ampie e variegate degli ultimi vent’anni, che nelle ultime settimane hanno animato piazze in tutto il mondo esprimendo preoccupazione e solidarietà verso la drammatica crisi umanitaria a Gaza- come persone disinformate o confuse sul motivo del loro impegno.
Anche le istituzioni internazionali vengono trattate con diffidenza: Salvini esprime da tempo forti critiche alla Corte Penale Internazionale, che ha avviato indagini proprio contro Netanyahu, e all'ONU, che ha parlato esplicitamente di ‘genocidio' a Gaza. Secondo il vicepremier, si tratterebbe di organismi "ideologicamente schierati contro Israele". Un po' come le accuse rivolte a Francesca Albanese, Relatrice speciale ONU sui diritti umani nei Territori Palestinesi occupati.
Una scelta chiara, da tempo
Insomma il posizionamento di Salvini non nasce oggi, ma si è costruito nel tempo. È il frutto di un progetto politico in cui Israele rappresenta non solo un alleato internazionale, ma anche un modello interno: per la gestione dell’ordine pubblico, per il rapporto con l’immigrazione, per l’idea stessa di Stato forte.
Nel momento in cui Gaza è ancora sotto assedio, con migliaia di vittime civili che ora tornano per la seconda volta verso nord, in mezzo a una crisi umanitaria senza precedenti, l’elogio di Netanyahu come artefice della “pace” non è soltanto un errore di lettura: è un atto politico consapevole, che risponde a una visione precisa. Salvini non cambia posizione, perché quella posizione l’ha scelta da tempo.