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Elezioni europee 2024

Nicita (Pd) a Fanpage: “Cpr peggio del carcere, su migranti l’ondata di destra ha travolto l’Europa”

Antonio Nicita, senatore del Pd, è candidato alle prossime Europee nella circoscrizione Isole. A Fanpage spiega che per Sardegna e Sicilia “serve un Pnrr specifico”. Sui migranti aggiunge: “L’Europa ha inseguito una nuova ondata che proviene dalle destre. Vogliamo un piano che li tratti come persone, non come criminali o come reclusi nei Cpr”, che sono strutture “peggiori delle carceri”.
A cura di Luca Capponi
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Antonio Nicita, candidato alle Europee per il Partito Democratico, ha visto da molto vicino i meccanismi che regolano l'attività governativa dell'Ue. Nel 2021 è stato nominato consigliere di un organo tecnico della Commissione europea di Von der Leyen, con compiti di controllo normativo. È stato l'ultimo incarico di una carriera da esperto sui temi della concorrenza e della regolamentazione – con una lunga attività da componente dell'Agcom – alla quale ha sempre unito l'impegno politico nel Partito Democratico, prima da deputato e oggi da senatore. Alle elezioni europee dell'8 e 9 giugno 2024 si candida come vicecapolista per la circoscrizione Isole (dietro alla capolista Elly Schlein). In quest'intervista a Fanpage, dichiara che per Sardegna, Sicilia e per tutte le isole europee serve "un nuovo Pnrr". E mette in luce i principali problemi delle nostre due isole, dalle emergenze ambientali e occupazionali fino allo spopolamento, soprattutto quello giovanile.

Sardegna e Sicilia sono in condizioni critiche sotto tanti aspetti: denatalità e rinuncia alle cure sanitarie per fare solo due esempi. Lei ha parlato di una proposta di legge europea per le isole. Ci spiega brevemente in cosa consisterebbe?

Consiste nel fare un regolamento europeo che consideri tutte le isole dell'Europa come delle eccezioni rispetto alle quali fare delle politiche mirate. Non solo sotto il profilo dell'applicazione delle regole esistenti – penso in particolare agli aiuti di Stato – ma anche sotto il profilo dei fondi. Io penso ad un nuovo Pnrr che riguardi le isole. In fondo è un ambito abbastanza piccolo: stiamo parlando di 20 milioni di europei che abitano nelle isole. Ed effettivamente il Trattato europeo ha una base giuridica che dice che le isole vanno trattate diversamente perché hanno delle condizioni molto peculiari.

Le nostre isole sono anche tra le Regioni che faticano di più a spendere i fondi europei, anche se questa è una problematica estesa un po’ a tutta l'Italia. Perché spesso non si riesce a spendere questi soldi? E quale soluzione propone?

C’è una difficoltà innanzitutto di capacità amministrativa. Soltanto il 30-35% di queste risorse vengono spese. La Sicilia, ad esempio, ha investito meno di 7 miliardi in cinque anni (a fronte di una dotazione di quasi 15 miliardi, ndr). E poi c'è un tema di incapacità di fare dei progetti, un'incapacità della politica di investire nella formazione. Quindi quello che bisogna fare è semplificare le procedure, assumere del personale capace di realizzare questi progetti e soprattutto fare in modo che questi progetti siano collegati alle urgenze che abbiamo. Quali? L’emergenza idrica, l’emergenza occupazionale, i costi di trasporto, l’accesso alle cure sanitarie, lo spopolamento. E anche il fatto che molti giovani laureati vanno via.

In questa legislatura l'Unione europea ha approvato il nuovo Patto su migrazioni e asilo che il Pd ha duramente criticato. L’Europa deve cambiare direzione in materia di migranti?

Sì, noi abbiamo criticato soprattutto un aspetto, quello per cui si immaginano forme di trattenimento di persone le cui condizioni devono ancora essere accertate: se sono persone che hanno bisogno o meno di cure, se sono persone che hanno diritto ad avere un asilo, e così via. Perché in questo la Commissione europea ha in qualche modo inseguito una nuova ondata che proviene dalle destre. È il primo sintomo di un possibile cambiamento culturale. Noi riproponiamo le leggi internazionali che ci sono e le direttive esistenti sui rimpatri e sull'accoglienza dei migranti. E soprattutto quello che noi vogliamo cercare di mettere insieme è un piano per l'accoglienza. Un piano cioè che verifichi lo stato delle persone, ma trattandole come persone, appunto. Non come reclusi, non come criminali, non come persone che devono stare in carceri come sono i CPR, che a volte sono anche peggio delle carceri. Dobbiamo in questo distinguerci come Europa dal resto del mondo.

Venendo a uno dei dibattiti che si sono accesi nelle ultime settimane, lei è stato componente dell'Agcom. Si aspettava questa decisione sul dibattito tv tra Schlein e Meloni? L’ha convinta?

La decisione ha una parte che sicuramente mi convince, quella che dice sostanzialmente che si possono fare i confronti anche a due a due se entrambe le parti sono d'accordo, seguendo un ordine di grandezza dei partiti. Il problema è che queste elezioni europee sono di tipo proporzionale, non abbiamo due leader di coalizione, quindi gli altri partiti si possono lamentare perché ovviamente lo scontro fra i due principali partiti attrae molta più interesse di quello che può essere riguardato su quelli più piccoli. Però nello stesso tempo non ho compreso bene la seconda parte della regola che subordinava l'accettazione di questi scontri al lasciapassare delle altre forze politiche. Perché è ovvio che in un contesto proporzionale le forze politiche più piccole, soprattutto quelle che devono superare la soglia del 4%, non ci stanno a regalare l'attenzione. Quindi avrei preferito una regola chiara di possibilità, che dicesse: “Se non avete la possibilità di fare dei duelli avrete più tempo a vostra disposizione”. Per fare, per esempio, delle altre interviste.

In generale, per quanto riguarda l'informazione televisiva, ritiene fondati i timori di una occupazione della destra del servizio pubblico. Meloni ha detto di essere la presidente del Consiglio con meno spazio nella rete pubblica degli ultimi anni, ma i dati della stessa Agcom la smentiscono.

Quello che dice la Meloni è falso. Se voi andate a vedere le mie dichiarazioni di circa un anno fa, forse sono stato il primo ad utilizzare il termine Tele Meloni. Intanto sotto il profilo meramente della quantità del tempo in tv, perché il tempo totale è fatto di tempo parlato ma anche di tempo in cui si parla di te. E il totale di questa occupazione televisiva è il massimo che noi abbiamo avuto negli ultimi governi. Ma non è soltanto una questione di tempo, anche di attitudine, di narrazione. Come abbiamo visto c’è una solerzia da parte dei dirigenti, in particolare del servizio pubblico televisivo, a dire o non dire certe cose che possono piacere o dispiacere a chi oggi comanda. È un tema di deriva innanzitutto culturale e poi certamente anche di pluralismo politico.

Una domanda sul suo partito: mi dice quale risultato sarebbe soddisfacente alle Europee per il Pd?

Noi guardiamo innanzitutto alle scorse elezioni nazionali. Ricordo che dopo le politiche partivamo dal 16%, quindi qualunque risultato che supera quello per noi è risultato positivo. Ma ovviamente come dire riuscire anche in termini di numero di deputati a eguagliare il risultato delle politiche e quindi a stare tra il 19 e il 20%, è certamente un risultato positivo. Dopodiché la nostra principale preoccupazione è raccogliere un consenso che sia anche un consenso nuovo, che vada oltre il nostro elettorato, che guardi soprattutto al nostro messaggio sull'Europa.

Chiudiamo infine con una delle domande dei nostri elettori. Le chiedono: la maggior parte dei giovani non vota, quale soluzione per convincerli?

Allora la prima soluzione è quella di non parlare dei giovani, ma di far parlare i giovani. Per esempio ho avviato una mia prima iniziativa a Siracusa, in Sicilia, e l’ho fatta aprire da due diciottenni, due ragazze che voteranno per la prima volta e che hanno spiegato che cos'è l'Europa per loro. Le nuove generazioni sono soprattutto europee, nascono già in Europa, a differenza delle generazioni precedenti. Bisogna dare loro spazio, dare un'informazione che possa essere compresa, anche una comunicazione politica che sia lontano dalle logiche dei partiti e parlare soprattutto di ciò che accadrà di qui ai prossimi dieci, venti, trenta anni, perché questo riguarda soprattutto il loro futuro. Mentre la politica oggi è assolutamente concentrata sull'ombelico dei partiti e sul brevissimo periodo delle prossime settimane o dei prossimi mesi.

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