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Morire a 12 anni per una frattura al femore: ecco il vero orrore dell’Italia di oggi

Zaraj Tatiana Coratella Gadaleta aveva dodici anni ed è morta per alcune complicazioni durante una semplice operazione per un frattura al femore. Il processo sta raccontando di strumenti mancanti, di farmaci scaduti e di tutta una serie di preoccupanti problemi nella sanità pubblica. Eppure l’argomento sembra non essere mai all’ordine del giorno.
A cura di Giulio Cavalli
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Quando avete finito di occuparvi della pettinatura di Renzi e dei pruriti di Salvini, quando sono finiti gli editoriali contriti per l'enorme dramma dei commercianti che devono addirittura accettare un pagamento elettronico come avviene in tutti i Paesi civili, quando vi stancate di contabilizzare i morti come se fossero semplici incidenti da ammortizzare allora magari parliamo di Zaraj Tatiana Coratella Gadaleta che a dodici anni è morta per una banale frattura al femore in un Ospedale (sì, sì, in Ospedale dove si entra per ricevere cura) e su cui si sta svolgendo un processo che mette i brividi, tra farmaci scaduti, sale operatorie che non hanno nemmeno un termometro come qualsiasi cassetto di una nonna qualsiasi e disorganizzazione degna di un aperitivo andato troppo lungo.

Sarebbe utile capire perché la sanità (insieme alla scuola e agli altri servizi cosiddetti essenziali) sia qualcosa che è completamente sfuggita ai radar della politica e del dibattito pubblico come se stancamente dessimo per scontato che non c'è nulla da fare per l'irrefrenabile decadenza a cui stiamo assistendo da anni. Ci sarebbe da capire, ad esempio, perché la malasanità sia un argomento da tirare fuori solo in caso di qualche evento eclatante e spendibile per vendere copie mentre tutti i morti silenziosi (quelli morti di colpo e quelli che lentamente si consumano) siano vittime che diamo per scontate.

Ci sarebbe anche da capire perché questi politici sempre con il naso schiacciato sull'asfalto alla ricerca di argomenti forti che possano generare consenso non abbiano il coraggio (che poi sarebbe senso di responsabilità) di mettere il dito su una sanità pubblica che pezzo per pezzo viene svenduta ai privati in nome di una maggiore efficienza come se lo Stato domani uscisse dal portone di casa con le mani in alto a dire "scusatemi, non sono capace di fare lo Stato ma ho molta liquidità da mettervi a disposizione" e nessuno sembra esserne colpito.

Sarebbe anche curioso sapere perché in nome della vicinanza al popolo (che è uno slogan terribilmente di moda) non ci sia nessuno che abbia il coraggio di dire che i famigliari delle vittime di malasanità debbano intraprendere percorsi tortuosissimi per vedere riconosciuti i propri diritti: non è solo questione di risarcimenti ma è soprattutto una questione di fiducia nello Stato. Se lo Stato non gode di fiducia allora che scriviamo a fare tutti i giorni dei doveri della politica?

“La qualità dell’assistenza non è un dato di fatto. Ci vuole visione, pianificazione, investimento, compassione, esecuzione meticolosa e monitoraggio rigoroso. Anche della più piccola e remota clinica”, disse Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore dell’Oms. Ma davvero siamo sicuri che da noi vada tutto bene? Davvero non c'è nessuno dalle parti del governo e dell'opposizione che abbia voglia di parlarne?

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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