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Migranti, la lettera di sei sindaci contro il governo: “La protezione speciale non va cancellata”

La protezione speciale per i migranti non va cancellata. Bisogna invece superare la retorica di emergenza con cui si guarda da vent’anni al fenomeno dell’accoglienza. Lo scrivono sei sindaci di grandi città al governo in una lettera aperta.
A cura di Annalisa Girardi
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I sindaci di sei grandi città hanno scritto una lettera aperta al governo, chiedendo di non cancellare la protezione speciale per i migranti. "Non bisogna ragionare in ottica emergenziale ed è sbagliato immaginare l'esclusione dei richiedenti asilo dal SAI (Sistema accoglienza e integrazione, ndr), precludendo loro qualunque percorso di integrazione e una reale possibilità di inclusione ed emancipazione nelle nostre comunità", spiegano i sindaci. A firmare l'appello sono stati quello di Roma, Roberto Gualtieri, Milano, Beppe Sala, Napoli, Gaetano Manfredi, Torino, Stefano Lo Russo, Bologna, Matteo Lepore, e Firenze, Dario Nardella.

Nel documento si legge ancora:

Come sindaci, come amministratori, come cittadini che quotidianamente si impegnano nei territori per cercare di garantire le migliori risposte alle criticità che le nostre Comunità esplicitano, siamo molto preoccupati per le proposte in discussione relative alle modifiche all'unico sistema di accoglienza migranti effettivamente pubblico, strutturato, non emergenziale che abbiamo in Italia. La preoccupazione delle città è massima a fronte di emendamenti proposti da alcuni partiti al Dl 591 dopo le tante evidenze a cui il nostro ordinamento ha dovuto porre rimedio in questi anni.

I sindaci ribadiscono di non condividere la cancellazione della protezione speciale e ricordano che la misura non è un unicum dell'Italia, ma esiste in quasi tutti i Paesi dell'Europa occidentale. E ancora:

Circa il 50% dei migranti presenta vulnerabilità ed è in parte significativa costituito da nuclei familiari. Queste scelte, qualora adottate, non potrebbero che procurare infatti una costante lesione dei diritti individuali e innumerevoli difficoltà che le nostre comunità hanno già dovuto affrontare negli anni scorsi, a fronte di un importante aumento di cittadini stranieri condannati appunto all'invisibilità.

Il sistema dei Cas, hanno invece sottolineato i sindaci, non è "mai uscito da un assetto emergenziale, è saturo e purtroppo inadeguato ad accogliere già oggi chi proviene dai flussi della rotta mediterranea come da quella balcanica". I Cas, cioè i Centri di accoglienza straordinaria, sarebbero "insufficiente, sia per numeri sia per le modalità d'accoglienza sia per i servizi di accompagnamento, protezione ed inclusione, assenti".

Secondo Gualtieri, Sala, Manfredi, Lo Russo, Lepore e Nardella in questo senso le grandi città si trovano a svolgere compiti che non spetterebbero nemmeno loro.

Le nostre città sono infatti impegnate già oggi, spesso con sforzi oltre i propri limiti e frequentemente oltre le proprie funzioni e competenze, a porre rimedio con risorse proprie alle manchevolezze di un sistema nazionale adeguato. La soppressione della possibilità di costruire un unico sistema di accoglienza pubblico, trasparente e professionale (come il Sai), garantendo percorsi dignitosi e tutelanti anche per le persone richiedenti protezione internazionale, non può comportare la nascita di nuovi grandi centri di accoglienza o detenzione nei nostri territori.

I primi cittadini ribadiscono poi come negli ultimi vent'anni l'accoglienza in Italia abbia chiaramente dimostrato che i modelli emergenziali, che non si occupano dell'integrazione delle persone, "abbiano procurato ferite enormi nelle nostre comunità e non abbiano garantito diritti esigibili alla popolazione rifugiata". Non si è stati capaci, in tutto questo tempo, di creare "processi di inclusione efficaci e duraturi ".  Ed eliminare la protezione speciale non farà altro che peggiorare la situazione, scrivono.

Cosa si chiede, quindi, nel concreto? Nella lettera i sindaci chiedono di rinforzare l'unitarietà del sistema di accoglienza "supportando attivamente la rete dei Comuni che quotidianamente affrontano in prima persona le sfide" che questo presenta. In tal modo, si andrebbero a "garantire percorsi di effettiva inclusione e tutela compatibili con i territori, evitando grandi centri di accoglienza, senza servizi e senza tutele". Nel frattempo, proseguono i sindaci, il Sai deve rimanere accessibile a tutti e i Cas devono essere trasformati in hub di prima accoglienza, dedicati unicamente alle procedure di identificazione e di screening sanitario.

Come Amministrazioni locali, auspichiamo che ancora una volta l'Italia non si contraddistingua per una regressione relativa al sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati: da troppi anni questo tema necessita di una riforma importante e strutturale, che miri ad un equilibrio nazionale del sistema di accoglienza imprescindibile dal coinvolgimento dei Comuni e dagli obiettivi di inclusione, protezione e con una diffusione omogenea a livello nazionale.

Infine i sindaci concludono affermando la necessità di superare la retorica dell'emergenza e aprire invece una discussione per regolarizzare chi già è qui e accogliere al meglio chi arriverà.

Siamo convinti, insieme ad altre voci autorevoli, che dopo circa vent'anni e anche alla luce di alcuni temi di strutturale cambiamento demografico e sociale non si debba continuare a parlare di emergenza e che proprio in questo momento occorra la lungimiranza di aprire una discussione per scegliere una via legale all'immigrazione e alla regolarizzazione degli immigrati già presenti in Italia, anche attraverso il ricorso allo ius scholae, premessa a comunità solidali, capaci di proporre percorsi di vera emancipazione e autonomia alle persone nel pieno interesse del nostro Paese.

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