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Michela Murgia dice che il governo fascista di Meloni riconosce un solo modello di famiglia

La scrittrice sarda Michela Murgia ha mostrato sui social la sua “famiglia queer”. Raccontarla, ha detto, è una necessità “sempre più politica”, ora che il governo “fascista” guidato da Giorgia Meloni non riconosce altro modello di famiglia che il suo.
A cura di Luca Pons
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Michela Murgia ha postato su Instagram alcune immagini che rappresentano la sua "famiglia queer". Un concetto che la scrittrice aveva presentato già nell'intervista a Aldo Cazzullo in cui, la settimana scorsa, ha rivelato di avere un tumore incurabile. Queste immagini, ha detto Murgia, "sono personali, ma non vogliamo più siano private", perché "la queerness familiare è una cosa che esiste e raccontarla è una necessità sempre più politica, con un governo fascista che non riconosce altro modello che il suo".

Il post è arrivato nello stesso giorno in cui Giorgia Meloni è intervenuta agli Stati Generali della natalità insieme a Papa Francesco, dichiarando che "siamo tutti nati da un uomo e una donna" e che "la maternità non è in vendita, gli uteri non si affittano, i figli non sono prodotti da banco che puoi scegliere sullo scaffale come se fossi al supermercato". La presidente del Consiglio ha anche detto di voler "promuovere una nuova vitalità della nostra società, anche sul piano culturale". Poco dopo, ha risposto anche il deputato Alessandro Zan, accusando il governo di avere una "furia ideologica" che si risolve in un attacco a "bambini senza colpe".

Murgia ha condiviso le immagini della sua famiglia, scrivendo: "La parola più queer che esista in sardo è ‘sa sposa/su sposu'. Letteralmente significa ‘fidanzata/fidanzato', ma nell’uso comune è piegata di continuo a rapporti con col fidanzamento non hanno nulla a che fare, così come col genere o con l’età". Ad esempio, ha spiegato la scrittrice, "i padri e le madri chiamano così i figli, che la usano a vicenda e verso i genitori. I nonni e le nonne ci chiamano tutto il nipotame. Gli amici e le amiche si apostrofano in quel modo tra loro anche scherzosamente in forma tronca: “sa spò/ su spò”. Mia zia e mia nonna mi hanno chiamata più così che col mio nome e mio fratello mi risponde al telefono tutt’ora in quel modo".

Proseguendo il ragionamento, Murgia ha detto che in Sardegna è "come se l’intera isola tutti i giorni tenesse insieme i ruoli attraverso la categoria del fidanzamento e a pensarci bene è curioso, perché è una categoria incompiuta (una promessa) e non rappresenta alcun titolo familiare. Sposa e sposo sono parole che indicano l’elezione affettiva, non un ruolo. Lo scopo del fidanzamento è conoscersi e piacersi al punto da farsi balenare la felicità a vicenda e mi pare una postura sentimentale molto bella da esercitare".

La scrittrice ha poi raccontato la propria esperienza: "Nella queer family che vivo non c’è nessuno che non si sia sentito rivolgere il termine sposo/sposa in questi anni. Dopo lo sconcerto dei non sardi, ha vinto l’evidenza: l’elezione amorosa va mantenuta primaria, perché nella famiglia cosiddetta tradizionale i sentimenti sono vincolati ai ruoli, mentre nella queer family è esattamente il contrario: i ruoli sono maschere che i sentimenti indossano quando e se servono, altrimenti meglio mai. Usare categorie del linguaggio alternative permette inclusione, supera la performance dei titoli legali, limita dinamiche di possesso, moltiplica le energie amorose e le fa fluire". Nelle foto, ha concluso Murgia, si vedono quindi "esempi di sposa e sposo stabili della mia vita".

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