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“Meloni non ha avuto bisogno di uomini per emergere”: così La Russa esalta una donna e offende le altre

Ignazio La Russa dice che Giorgia Meloni “non ha avuto bisogno di Pigmalioni, non è la classica donna che avuto bisogno di un uomo per emergere”: un pensiero che riassume la classica visione della destra quando si parla di questioni di genere: esaltare una donna sola insultando al contempo tutte le altre.
A cura di Jennifer Guerra
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In un’intervista al programma tv Avanti popolo, alla domanda su cosa avesse visto in Giorgia Meloni, Ignazio La Russa ha detto che la premier “non ha avuto bisogno di Pigmalioni, non è la classica donna che avuto bisogno di un uomo per emergere”. Senz’altro il presidente del Senato era convinto di fare un complimento a Meloni, portando avanti una narrazione a cui anche la presidente del Consiglio tiene particolarmente. Peccato che nel farlo si sia affidato alla più classica mossa della destra quando si parla di questioni di genere: esaltare una donna sola insultando al contempo tutte le altre.

Meloni, a cui va riconosciuto il merito di essersi guadagnata la guida indiscussa di Fratelli d’Italia, sottolinea spesso di avercela fatta da sola. Nell’intervista che lo scorso anno rilasciò al settimanale Grazia in occasione dell’8 marzo, la premier aveva ribadito più volte di non essersi mai sentita discriminata in quanto donna (semmai, discriminata in quanto di destra) e soprattutto di pensare che non ci sia alcuna differenza, umana o politica, tra uomini e donne. Tutto in quell’intervista lasciava trapelare la visione di Meloni sulle questioni di genere: se le donne non emergono e non ce la fanno, non è perché esiste un sistema che le discrimina e le opprime, ma è perché non si sono impegnate abbastanza. Il corollario di questo pensiero, espresso perfettamente da La Russa, è che poiché solo Giorgia Meloni è emersa da sola finora, per tutte le altre deve esserci stata per forza la mano di un uomo.

L’eccezionalismo è la chiave della visione di genere di questo governo, dall’auto-narrazione di Giorgia Meloni alle (poche) politiche di genere finora intraprese. Meloni ama presentarsi come una donna forte, selezionando attentamente quali aspetti della sua identità femminile vadano posti in primo piano, come il suo essere “donna, madre, cristiana”. Ma per altre questioni, Meloni non si può permettere di ammettere che nell’esperienza delle donne, anche quelle di potere, ci sono anche aspetti di vulnerabilità e discriminazione. Lei nega di averli mai provati, al massimo – sempre secondo l’intervista dello scorso anno – rimane ferita dai commenti della “gente” sul suo aspetto o dagli attacchi alla sua famiglia, come una specie di rumore di fondo. Ma per quanto riguarda il suo personale percorso politico, il genere non è mai stato d’intralcio, tanto che una volta arrivata al gradino più alto ha deciso di farsi chiamare “il presidente” per cercare di farci dimenticare che è una donna.

Questa visione del mondo, in cui le donne sono sole in balia di una tempesta di cui però non possono lamentarsi in alcun modo, si riflette nelle politiche del governo e ancora più in particolare in quelle che riguardano la maternità. Nel presentare queste iniziative, come la decontribuzione per le madri lavoratrici con più due figli, ora slittata a data da destinarsi, Meloni e gli altri esponenti del governo non possono fare a meno di rinforzare l’immagine di una madre (i padri non vengono mai citati) che da sola si fa carico della famiglia e del destino della nazione, lavora con sacrificio, e deve essere pure contenta di portare a termine questa missione.

Un’affermazione come quella di La Russa, che il senatore pronuncia con le migliori intenzioni possibili, è del tutto coerente con il progetto meloniano. Nella retorica sul merito della destra, non contano le condizioni esterne, come la povertà, la discriminazione o la mancanza di risorse: conta solo la capacità dell’individuo di impegnarsi, sacrificarsi ed emergere. Chi ottiene i propri obiettivi (e condivide lo stesso orizzonte politico) è bravo e se lo merita, altrimenti è stato aiutato da qualcuno. Se già questa idea è problematica quando applicata alle singole persone, lo diventa ancora di più se riguarda intere categorie o gruppi sociali. La vediamo in azione di continuo: tutti gli stranieri sono lavativi che si approfittano della generosità degli italiani, ma la singola persona straniera che si distingue per un particolare merito non solo è accettata, ma la sua storia viene anche esaltata perché utile a dimostrare che l’ostilità della destra verso gli stranieri non è motivata dal razzismo.

Meloni è libera di pensarsi come vuole e di amministrare la sua immagine e la sua storia secondo i propri obiettivi. Il problema, però, è che la somma di queste idee – la discriminazione non esiste, le donne eccezionali ce la fanno da sole, tutte le altre ce la fanno solo grazie alle spintarelle maschili – poi ha un impatto concreto sulla vita delle donne di questo Paese, il cui destino è nelle mani di chi la pensa così. Classiche donne che sono già sole, senza supporti per il lavoro di cura, senza reti per il lavoro salariato, in balia della violenza di genere, tra l’altro molto raramente “aiutate” dagli uomini. E senza che nessuna di loro sia presidente del Consiglio perché di quelle, in forza di Costituzione, c’è effettivamente spazio solo per una.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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