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Assegno di Inclusione, le ultime notizie

L’Ue boccia l’Assegno di inclusione e dice che senza Rdc aumenterà la povertà in Italia

L’Assegno di inclusione, “porterà a un’incidenza maggiore della povertà assoluta e infantile rispetto al reddito di cittadinanza”, che ha in parte sostituito. Lo indica un rapporto della Commissione europea, che secondo il governo italiano però ha fatto un’analisi solo “parziale”.
A cura di Luca Pons
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L'Assegno di inclusione aumenterà l'incidenza della povertà assoluta e della povertà infantile in Italia perché i suoi requisiti sono molto più stringenti rispetto al reddito di cittadinanza. A sostenerlo è un rapporto della Commissione europea che tocca diversi punti per quanto riguarda l'Italia: il lavoro povero, l'occupazione, gli stipendi, e anche le misure contro la povertà.

Perché l'Adi aumenterà la povertà rispetto al reddito di cittadinanza

"Nonostante alcune misure di accompagnamento positive", si legge, la previsione è che "i requisiti di ammissibilità più stringenti" per l'Assegno di inclusione rispetto al Rdc "ridurranno l'impatto di riduzione della povertà della nuova misura". Questo perché solo alcune categorie possono ottenere l'assegno, mentre gli altri possono al massimo contare sui 350 euro al mese del Supporto per la formazione e il lavoro, erogato al massimo per dodici mesi (non rinnovabile) e solo quando si lavora. Le simulazioni suggeriscono che "tra le famiglie italiane il numero di beneficiari si riduca del 40%" rispetto al Reddito, e il fatto che l'Adi si possa cumulare con l'Assegno unico per i figli a carico in molti casi basta a malapena a compensare la stretta sui nuovi requisiti. Dunque, in media, "si prevede che l'Assegno di inclusione porti a un'incidenza più alta della povertà assoluta e infantile rispetto al reddito di cittadinanza".

La bocciatura sembra netta. Il ministero del Lavoro italiano, però, ha commentato con una nota sottolineando che questa analisi si basa su "uno studio di natura statica e parziale, nel senso che non tiene conto delle dinamiche di attivazione generate dalle nuove misure e dalla crescita dell'occupazione in Italia". Per questo, secondo il governo, "una valutazione complessiva porterebbe probabilmente a un'analisi più positiva".

In Italia alto rischio di povertà, salari bassi  e lavoro precario

Gli altri dati messi in fila dal rapporto restano comunque significativi. Il rischio di povertà o esclusione sociale in Italia resta ben sopra la media europea (con dati aggiornati al 2022), e lo stesso vale per le differenze di reddito: il 20% più ricco della popolazione guadagna 5,6 volte più del 20% più povero. La situazione sulla povertà sta "peggiorando": sia i bambini che gli adulti sono più esposti al rischio, questi ultimi soprattutto se hanno figli, mentre si ‘salvano' gli anziani over 65, che sono in media con il dato europeo.

Anche tra chi lavora il rischio povertà è più alto rispetto all'Ue: l'11,5%, quindi più di un lavoratore su nove, contro l'8,5% europeo. L'aumento dei salari è "strutturalmente lento", e spesso chi lavora è sottoposto a contratti atipici e a tempo determinato, che aumentano il rischio di cadere in povertà nonostante si abbia un'occupazione: "La prevalenza di lavori poco pagati e poco continuativi aiuta a spiegare perché, nonostante l'aumento dell'occupazione dopo la pandemia, la povertà non sia scesa in modo significativo".

Proprio l'aumento dell'occupazione, uno dei punti che il governo Meloni rivendica di più, viene messo in prospettiva nel rapporto: "L'occupazione ha raggiunto un livello record dopo la crisi del Covid-19, ma resta basta se paragonata al resto d'Europa. Nel 2023 il tasso d'occupazione era uno dei più bassi nell'Ue". E non solo: "Il tasso di occupazione delle donne è tra i più bassi in Europa e la differenza con gli uomini tra le più ampie, soprattutto nel Sud e nelle Isole". In un contesto di "lavori poco pagati e contratti atipici, spesso precari, la percentuale di giovani che non lavorano né studiano o si formano è tra le più alte nel continente. Lo stesso vale per tasso di occupazione tra i giovani 25-34enni".

D'altra parte, anche gli ultimi interventi del governo Meloni (tra cui il decreto Primo maggio dello scorso anno) non hanno aiutato: quel dl ha "riaffermato la possibilità per i datori di lavoro di usare contratti a tempo determinato fino a 12 mesi senza causali di giustificazione, e ha esteso la durata massima di questi contratti fino a 24 mesi". Un ambito in cui la situazione potrebbe peggiorare ancora con il nuovo ddl Lavoro a cui la maggioranza sta lavorando.

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