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L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole: “Ministero censura il nostro corso contro riarmo per ignoranza e paura”

Il corso “La scuola non si arruola” bloccato dal Ministero lo scorso 4 novembre si è svolto lo stesso, online e con migliaia di partecipazioni e visualizzazioni. L’Osservatorio contro la militarizzazione a Fanpage.it: “La censura arriva quando la politica ha paura della scuola come luogo di democrazia”.
A cura di Francesca Moriero
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A dieci giorni dallo stop del Ministero dell'Istruzione e del Merito, il corso "4 novembre – La scuola non si arruola" non solo si è svolto, ma ha raccolto numeri ben più alti di quelli inizialmente previsti: oltre 500 partecipanti in diretta e oggi, a distanza di pochi giorni, più di 6.800 visualizzazioni. Il 4 novembre, data che coincide con la Giornata dell'Unità nazionale e delle Forze armate, il convegno online è infatti andato avanti, anche senza l'accreditamento ufficiale del Mim, revocato perché ritenuto "non conforme alle finalità della formazione dei docenti". Una decisione che aveva fatto discutere già nei primi giorni di novembre: per il Ministero, il corso avrebbe avuto una "finalità politica"; per gli organizzatori, si è trattato di una scelta che limita la possibilità della scuola di interrogarsi sulle proprie pratiche educative e sul ruolo delle istituzioni militari all'interno degli istituti.

Il corso

"La scuola non si arruola" era stato pensato come un percorso di aggiornamento per insegnanti e personale educativo. L'intento era riflettere sulla presenza, sempre più sistematica, delle Forze armate nella scuola: dai percorsi PCTO in caserma alle lezioni di educazione civica tenute da militari; una tendenza che, come spiegano da tempo numerosi osservatori e associazioni pacifiste, non nasce dal nulla. Negli ultimi anni il Ministero della Difesa avrebbe infatti sviluppato piani di comunicazione e programmi rivolti direttamente alle scuole, con l'obiettivo di rafforzare l'immagine e il ruolo dell'apparato militare. Una strategia che troverebbe sponda nei protocolli firmati dai singoli istituti, spesso senza un reale dibattito all'interno dei collegi docenti.

Valditara: "Nessun divieto, iniziativa propagandistica"

Di fronte alle critiche sul mancato riconoscimento del corso, il ministro Giuseppe Valditara aveva risposto parlando di "iniziativa propagandistica" e di "censura inesistente", ricordando che il Ministero "non vieta alcunché", ma semplicemente non concede l'esonero dal servizio "a spese del contribuente" per un'attività che non considera formativa. Secondo il Ministero, il corso avrebbe avuto un intento politico più che pedagogico; una posizione che ha diviso il mondo della scuola: da un lato sindacati e docenti hanno parlato di "lesione della libertà di insegnamento" e censura; dall'altro c'è chi ritiene che le attività formative debbano essere semplicemente "neutrali" e lontane da letture critiche del ruolo delle Forze armate.

L'Osservatorio: "Volevamo informare su ciò che sta accadendo nella scuola"

Per capire le posizioni degli organizzatori, Fanpage.it ha intervistato Michele Lucivero, docente e direttore del corso, tra i promotori dell'Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università: "L'obiettivo del corso di formazione e aggiornamento era quello di informare innanzitutto su ciò che si agita oggi all'interno delle scuole, delle università e del mondo della formazione in generale in relazione a quello che è il processo di militarizzazione. Attraverso il nostro sito documentiamo costantemente gli effetti di tale processo che vede entrare i militari nelle scuole e gli studenti e le studentesse andare in caserma per i Pcto, cioè i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l'Orientamento, ora Fsl, cioè Formazione Scuola-Lavoro, e lezioni di educazione civica. Tutto ciò non è estemporaneo e casuale, ma obbedisce al piano di comunicazione che il ministero della difesa ha pubblicato nel 2019 e 2025, basta cercare in rete e si trova tutto. In positivo, da pacifisti e nonviolenti, noi proponiamo con Pax Christi, movimento nonviolento, Edumana e tante altre associazioni, un'educazione alla pace, alla comprensione del conflitto e ai principi della nonviolenza nella gestione della classe".

La lettura di Lucivero si inserisce in una cornice ben più ampia e cioè quella che individua nella scuola un terreno sempre più attraversato da pratiche di controllo, disciplinamento e narrazioni semplificate della storia nazionale. Una tendenza che si collocherebbe dentro processi culturali e politici più lunghi, in cui la retorica identitaria, la valorizzazione dell'ordine e la selezione di alcune memorie pubbliche diventerebbero parte integrante della formazione civica degli studenti e delle studentesse. Il cuore del suo ragionamento, però, rimane educativo: e cioè l'idea che la scuola debba fornire strumenti critici e non aderire automaticamente alle cornici proposte da uno solo degli attori istituzionali.

"Il Ministero usa parole che non conosce"

"Il Ministero non sa nemmeno il significato delle parole che usa e questo denota la sua incompetenza sui temi della scuola. La scuola è politica, è palestra di democrazia, confronto e dialogo, che deve iniziare dalla presa di coscienza dei e delle docenti. Tuttavia, egli ha censurato il corso, come è solita fare la politica quando ha paura, sostenendo che non è conforme e rispondente alle competenze dei docenti, dimostrando ancora una volta la sua colpevole ignoranza, dal momento che l'educazione alla pace è uno dei temi dell'educazione civica, che è trasversale. Cioè la fanno tutti e tutte le docenti".

"La reazione? Andare avanti lo stesso"

"Alla censura, operata dal potere dall'alto, noi abbiamo risposto con il boicottaggio, operato dal basso, facendo comunque il nostro convegno online anche senza attestato di formazione con più di 500 partecipanti in diretta e 6800 visualizzazioni, a fronte di 1200 iscrizioni per quello censurato e annullato sulla piattaforma Sofia. Le censure e la repressione nelle scuole è all'ordine del giorno".

Edumana: "Serve un luogo in cui si possa parlare di pace senza essere subito contro qualcuno"

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Fanpage.it ha raccolto anche la testimonianza di Annabella Coiro, cofondatrice della rete EDUMANA – un insieme di scuole e docenti che lavorano sull'educazione alla nonviolenza attiva – che l'8 novembre, pochi giorni dopo lo scoppio della vicenda, ha organizzato, insieme all'Osservatorio, il Forum delle scuole per un'educazione nonviolenta. Coiro premette di non parlare a nome dell'Osservatorio, ma porta un punto di vista interno al mondo della formazione: "La pace è diventata divisiva. E questo impedisce il dibattito nelle scuole". Secondo Coiro, il problema non riguarderebbe infatti solo l'episodio del 4 novembre: "C'è, in generale, una polarizzazione enorme: pro militari e contro militari, pro Gaza e contro Gaza, pro pace e contro pace. La pace è diventata divisiva, e dentro questa polarizzazione manca un lavoro sulla domanda più semplice: cosa significa educare alla pace? Cosa significa educare alla non violenza?".

Per Coiro, tutto dovrebbe partire dal luogo che ha più bisogno di uno spazio di discussione aperta: "Il punto è poter parlare di questi temi nelle scuole. Discuterne nei collegi docenti, capire insieme cosa significa portare un militare in classe o portare una classe in caserma. Non in modo pregiudiziale: non "sì" o "no", ma attraverso un pensiero critico condiviso".

"L'educazione nonviolenta non l'abbiamo mai ricevuta. E gli adulti per primi fanno fatica"

Coiro insiste poi su un punto: la difficoltà non è dei ragazzi, ma prima ancora, degli adulti: "Non abbiamo ricevuto un'educazione alla non violenza, né a casa né a scuola. Non ne abbiamo esperienza. Ci sembra normale la competizione, la polarizzazione, la logica di chi vince e chi perde. Ma l'educazione dovrebbe abituare alla complessità, non all'opposizione frontale". Nel lavoro della rete Edumana e del Forum – che si riunisce ogni mese in modo itinerante – i docenti studiano insieme pratiche, metodologie e contenuti: dalla gestione dei conflitti alla violenza implicita, dai linguaggi inclusivi ai materiali didattici per parlare di pace in classe.

"Pressioni? Le abbiamo evitate. Ma il clima è chiaro"

Alla domanda se anche loro abbiano subito pressioni, Coiro risponde con cautela: "Diciamo che abbiamo evitato che si arrivasse a questo. Ma è evidente che, quando un Ministero dice esplicitamente che la parola ‘militarizzazione' non può rientrare nella formazione, molti dirigenti fanno fatica ad approvare percorsi che tocchino questi temi. Si crea un clima che non aiuta il dialogo".

Una scuola che prova ancora a parlare di sé

Il caso del corso negato, la sua riuscita nonostante tutto, e il dibattito che si è aperto attorno al ruolo delle Forze armate negli istituti raccontano insomma una questione più larga: il bisogno della scuola di discutere il proprio immaginario educativo.
Non se sia "pro" o "contro" qualcuno o qualcosa, ma che tipo di formazione civica intende offrire ai ragazzi e alle ragazze di oggi e di domani, e che spazio concede al pensiero critico. Una discussione che, come ricordano Lucivero e Coiro, non si risolve con uno scontro di posizioni ma con la possibilità, tutta pedagogica, di parlarne. In una scuola che, per sua stessa natura, dovrebbe essere il luogo dove questo è ancora possibile.

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