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Opinioni

Liberate gli italiani dall’infantilismo familistico del governo

Il discorso di Maria Elena Boschi in parlamento è un monumento a quanto di più paralizzante e ottocentesco ha l’Italia: la famiglia. La famiglia della ministra. Ieri era quella di Berlusconi. Domani sarà il padre di Renzi. Gli italiani prigionieri delle famiglie e dell’infantilismo dei rappresentanti di governo.
A cura di Sabina Ambrogi
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Che devono fare i cittadini italiani per essere liberati dai familiari dei loro rappresentanti di governo? Da Telemaco senza padre che doveva essere il mito che animava il giovane Renzi e il suo governo di rottamatori, dopo il discorso di oggi in parlamento della ministra Boschi siamo piombati nell'Edipo irrisolto di Maria Elena, e nel solito frusto discorso che da secoli pietrifica l'Italia: la famiglia. La fortuna di essere madre. Il babbo, la mamma, i fratelli. Io. Me stessa e io. Il mio cuore.

Una cittadinanza intera tenuta prigioniera nella “fase anale” – come direbbero gli psicanalisti freudiani – di un governo sempre coinvolto nelle personali e trascurabili emozioni private, indispettito quando viene chiamato a rispondere all'autorità del Parlamento, tanto che l'azione sacrosanta di un'opposizione che chiede chiarimenti viene chiamata “un boomerang”. Tanto che sui social si accende la sfida "Maria Elena 3 a 0". E poi il solito perenne immancabile discorso: "è bella e brava". "No! è brava e bella". "A me sembrate tutti invidiosi". "No è bella". "No è brava". "Ma è proprio bella". "Ah ma anche brava e laureata". "Anche io sono bella e laureata, perché non sono minsitra?" "Ma a voi sembra bella?" "Io ero meglio". " Agli uomini piace".

Ma che furbata queste ministre di un governo senza ministero per le Pari Opportunità! Con la parola "sessismo" da agitare alla bisogna. Questo, come se i cittadini fossero gli spettatori del Grande Fratello Unico, con cronisti inchiodati a rifare titoli sempre uguali a se stessi. Da anni: “Chi ha sbagliato paghi”. A torto si è pensato, forse per il perdurare della sua presenza sulla scena pubblica, che facesse parte del pacchetto Berlusconi del quale sappiamo proprio tutto. Le attività del nostro parlamento hanno coinciso, per lustri, con i fatti privati di una persona o di poche persone. Con il figlio di Bossi. Poi il cognato di Fini. E poi il figlio di Lupi. E' sempre comunque questione di un familiare, di una casa, di una barca, di un giornale, di una tv. Di una società che fa capo a uno zio a una zia, a un'amante.

Il discorso di oggi di Maria Elena Boschi chiamata  a dare spiegazioni delle implicazioni del padre con la banca Etruria e con decreti da lei stessa votati, è durato circa venti minuti. Ha esordito:

Non voglio esprimere valutazioni sulla campagna politica in atto contro la mia famiglia e soprattutto contro il governo”.

Ma in quale parlamento di un paese evoluto si inizia un discorso in aula con queste parole? La politica dunque ce l'ha con la sua famiglia. Di Maria Elena Boschi. E qui già smettiamo di essere cittadini, siamo tutti in casa sua. Nella sua piccola dimensione familiare. Una cittadinanza intera in una casetta piccolo borghese di Arezzo.

I provvedimenti del governo hanno in qualche modo favorito la mia famiglia?”.

Che è la domanda che le viene fatta dall'opposizione. Ma ancora: perché c'è sempre un rappresentante del governo che viene in parlamento a parlare non di riforme, non di cittadini, ma a spiegare qualcosa riguardante la propria famiglia? La propria casa, l'orologio del figlio, la laurea comprata, la escort pagata? Al terzo minuto la ministra aveva già detto più o meno quello che doveva.

Invece inizia la stura infantile. Il parlamento come una portineria di provincia:

Lasciatemi dire quello che ho nel cuore. Io amo mio padre e non mi vergogno a dirlo. Mio padre è una persona perbene,io sono fiera di lui, e sono fiera di essere la prima nella famiglia Boschi ad essersi laureata. E ricordo la gioia e la commozione di mio padre quando è venuto a Firenze ad assistere alla mia laurea. I miei fratelli più piccoli sono laureati uno in economia e uno in ingegneria. E noi sappiamo quello che ha fatto mio padre per farci studiare. Lui, figlio di contadini, che per andare a scuola e diplomarsi, ogni giorno faceva cinque chilometri a piedi all'andata, cinque chilometri a piedi al ritorno e quaranta minuti di treno. Questa è la storia semplice, umile ma forte della mia famiglia, non le maldicenze che ho sentito in questi giorni e le meschinità che sono state scritte. Io so che questo fa parte delle regole del gioco. Ma non mi arrabbio, spero che un giorno se avrò la fortuna di essere madre che ai miei figli siano orgogliosi del loro padre quanto io lo sono del mio.

Ma agli italiani cosa importa del suo amore per il padre? Di come andava a scuola il padre? Parla come se fosse la sola a essersi laureata in Italia. Come se nessuno facesse sacrifici. E la chiosa è tristissima poi, quando dice che lei non si arrabbia. Con quei cattivi che l'hanno condannata a fare la ministra. E con quei pochi giornali che non le chiedono di quando sarà mamma, se c'ha il fidanzato, e così via. Ma gli lancia l'amo però: quando avrà la fortuna di essere madre, ci dice anche come vorrà educare i suoi figli. Il rispetto e l'orgoglio del padre. E tanti saluti Telemaco.

Poi sappiamo delle azioni del fratello Emanuele e di quello che si chiama Pier Francesco (c'è sempre un “pier qualcosa" in queste famiglie da parlamento). Parla delle azioni azzerate, e del fatto che il provvedimento di novembre non riguardasse la sua famiglia. La famiglia. Ricorre la parola centinaia di volte. Un antiestetico e nauseante loop, un incubo in cui ripete ossessivamente la parola “famiglia”. Ha parlato del fratello che a marzo dello scorso anno si è licenziato, rinunciando al posto fisso in banca (unico in Italia, beato lui) e si è messo in proprio e l'unico legame che ha ancora con quella con quella banca è nell'aver conosciuto lì e nell'aver sposato una collega e insieme a lei, come tante altre giovani coppie, aver acceso un mutuo per comprare la loro casa. E beati loro. Oggi, sappiamo tutto di lei. Che vuole diventare madre, che ha un babbo di cui va orgogliosa, che lo ama, che si è laureata (come centinaia di migliaia di persone) e questo padre era fiero di lei. E tutti sono fieri. Una famiglia per bene. Tutti bravi e laureati. Come centinaia di migliaia di italiani che stanno emigrando in massa. Ma lei  improvvisamente si indigna: “Stiamo parlando al paese di 369 euro” dice. Perché, ovvio, al paese, si parla di roba seria.

E per concludere come poteva mancare il grande must: un accenno all'invidia di molti  per lei che (poiché è brava e laureata) fa la ministra così giovane?

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Autrice televisiva, saggista, traduttrice. In Italia, oltre a Fanpage.it, collabora con Espresso.it. e Micromega.it. In Francia, per il portale francese Rue89.com e TV5 Monde. Esperta di media, comunicazione politica e rappresentazione di genere all'interno dei media, è stata consigliera di comunicazione di Emma Bonino quando era ministra delle politiche comunitarie. In particolare, per Red Tv ha ideato, scritto e condotto “Women in Red” 13 puntate sulle donne nei media. Per Donzelli editore ha pubblicato il saggio “Mamma” e per Rizzoli ha curato le voci della canzone napoletana per Il Grande Dizionario della canzone italiana. E' una delle autrici del programma tv "Splendor suoni e visioni" su Iris- Mediaset.
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