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Opinioni

La rimozione delle responsabilità di Israele, la rassegnazione su Gaza: così Trump ha seppellito il G7

Il G7 in Canada non solo è stato completamente inutile, ma ha certificato la distanza tra i proclami e la realtà dei fatti. Su Ucraina, Gaza e crisi iraniana, ormai, il diritto internazionale sembra non contare più nulla.
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Come vi avevo raccontato, ogni ipotesi sul fatto che la riunione del G7 in Canada potesse servire a risolvere la crisi in Medioriente era destinata a rivelarsi del tutto inconsistente. Così come era altamente probabile che i cosiddetti “grandi della Terra” non riuscissero a trovare una comunanza di intenti nemmeno sul percorso da avviare per provare a risolvere le tante crisi ancora aperte. Ed era peraltro prevedibile che la riunione canadese finisse per testimoniare ancora una volta quanto intricato sia diventato il quadro geopolitico e, appunto, inutile un appuntamento che esclude attori di primissimo piano sulla scena internazionale.

Ebbene, se le aspettative della vigilia erano basse, la realtà è stata ancora più deludente. Non solo per il modo in cui si è svolto il meeting, con dei “finti” bilaterali, la tensione a stento nascosta tra alcuni leader e l’uscita di scena piuttosto rapida di Donald Trump. Ma soprattutto per il messaggio che i leader hanno mandato al mondo intero, con un posizionamento non soltanto debole e velleitario, ma anche ideologico rispetto a dinamiche che sono sotto gli occhi di tutti. Il comunicato finale merita poi qualche considerazione, intanto ve lo metto qui:

Noi, leader del G7, ribadiamo il nostro impegno per la pace e la stabilità in Medio Oriente.

In questo contesto, affermiamo che Israele ha il diritto di difendersi. Ribadiamo il nostro sostegno alla sicurezza di Israele.

Affermiamo anche l'importanza di proteggere i civili.

L'Iran è la principale fonte di instabilità e di terrore nella regione. Siamo sempre stati chiari sul fatto che l'Iran non potrà mai disporre di un'arma nucleare. Chiediamo che la risoluzione della crisi in Iran porti a una più ampia de-escalation delle ostilità in Medio Oriente, incluso un cessate il fuoco a Gaza.

Rimarremo vigili sulle implicazioni per i mercati internazionali dell'energia e saremo pronti a coordinarci, anche con partner che condividono gli stessi principi, per salvaguardare la stabilità del mercato.

L’assenza di ogni riferimento all’Ucraina, la rimozione delle responsabilità di Israele nel massacro di Gaza, il generico passaggio su “partner che condividono gli stessi principi”, le parole vaghe sulla protezione dei civili (a chi si riferiscono, a Putin, a Netanyahu, ad Hamas?): insomma, uno statement inutile e piuttosto lacunoso, che dà l’impressione di una subalternità imbarazzante all’amministrazione statunitense, peraltro in un momento in cui lo stesso Trump sembra disinteressarsi degli organismi sovranazionali.

Stefano Stefanini, su La Stampa, è in tal senso lapidario: “Donald Trump ha seppellito il G7 fra le vette imbiancate delle Montagne Rocciose”. Nella lettura dell’analista, infatti, pur se animato dallo scopo di “mettere una vera fine alla guerra fra Israele e Iran”, il tycoon newyorchese ha operato una rottura piena di conseguenze:

Non sappiamo se riuscirà a mettere fine al conflitto, ce lo auguriamo di cuore, nell'interesse di tutti a cominciare dalle vittime civili che cominciano purtroppo a far numero. Per ora sappiamo solo che il danno collaterale, l'azzoppamento del G7 è un prezzo molto alto. Da mezzo secolo il G7 è uno strumento che ha fatto un ottimo servizio alla comunità internazionale e all'Occidente, attraverso guerre, rivolgimenti epocali – qualcuno ricorda l'Unione Sovietica in dissolvenza? – crisi politiche, energetiche, economiche, finanziarie. Ancora di salvezza provvidenziale in circostanze difficili. Sopravvive, il padrone di casa di turno, Mark Camey, e gli altri cinque leader nazionali, più quelli che rappresentano l'Unione europea, incassano la defezione, le dichiarazioni ci saranno, lo spettacolo continua. Ma col partecipante più importante a mezzo servizio, il vertice perde quota, dentro e fuori. Dentro, dove creava un senso di comunità, appartenenza e direzione a beneficio dei beati possidenti del gruppo; fuori, nell'attrarre chi, ogni anno, fa la coda per uno strapuntino.

E anche gli altri interlocutori presenti, Lula, Modi e Ramaphosa, si saranno posti la domanda su quanto conti un G7 senza Trump, di fatto andato via dopo essere però riuscito a orientare le determinazioni e l’approccio degli altri leader.

Di questa apparente contraddizione scrive Francesca De Benedetti su Domani, analizzando il lavoro di questi giorni e le considerazioni finali:

La subalternità strategica rispetto a Washington – particolarmente paradossale nel momento in cui neppure Trump ha pieno controllo della propria strategia e dei suoi effetti – si legge anche tra le righe della dichiarazione finale del G7, con la quale anche Francia, Germania e Italia si allineano di fatto alla posizione del duo Trump-Netanyahu nell'addossare all’Iran di essere la principale fonte di instabilità regionale e di terrore, proprio come aveva già fatto pochi giorni prima Ursula von der Leyen dopo la telefonata col premier israeliano. Peccato che questa subalternità al di là dei giudizi risulti pure controproducente: lo sa bene von der Leyen stessa, che avrà pur ottenuto una foto e un momento a due col presidente Usa al G7, ma non ha risparmiato all'Ue la beffa.

Una beffa che si concretizza soprattutto nell’aver attaccato il presidente francese Macron, nonostante, come nota sempre la giornalista di Domani “gli sia pure andato dietro sulla linea dura pro-Israele” e, con Starmer e Merz, “i volenterosi si intruppano nelle guerre scatenate da Netanyahu e Trump”, mentre gli Usa disinvestono politicamente sul quadrante ucraino. Ucraina che sembra sparita dai radar, nonostante la recrudescenza del conflitto proprio in queste settimane, con gravi ripercussioni sulla popolazione civile.

Seppur da un altro posizionamento, è piuttosto perplesso anche il giudizio de Il Foglio, che parla di “un G7 senza voce” e si concentra sull’orientamento degli europei sul conflitto tra Iran e Israele. Lodando il cancelliere tedesco Merz e bacchettando invece la timidezza e le indecisioni degli altri leader europei:

“Questo è il lavoro sporco che Israele sta facendo per noi. Posso solo dire che ho il più grande rispetto per gli israeliani, che hanno il coraggio di farlo", ha detto ieri il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, a margine del vertice del G7 in Canada, Abbandonando qualsiasi remora sul diritto internazionale e la solita retorica europea sulle soluzioni diplomatiche, la Germania si schiera al fianco di Israele nella guerra che ha lanciato contro l'Iran e il suo programma nucleare. Perché è la natura stessa della Repubblica islamica a costituire una minaccia per lo stato ebraico e il resto del mondo. "Anche noi siamo vittime di questo regime. Questo regime dei mullah ha portato morte e distruzione nel mondo", ha detto Merz, e senza l'attacco di Israele "avremmo forse continuato a subire per mesi e anni il terrorismo di questo regime, che forse sarebbe riuscito a dotarsi dell'arma atomica".

Una linea dura che in Italia sono anche altri a sposare, invitando a “finire il lavoro in Iran”, come scrive Mario Sechi su Libero. L’ex portavoce di Giorgia Meloni è durissimo nel suo editoriale:

“Donald Trump ha chiesto la resa incondizionata dell'Iran, siamo di fronte a un altro balzo della storia. Di dritto e di rovescio è finita l'era in cui gli Stati Uniti appoggiavano Israele ma cercavano una mediazione con il regime teocratico di Teheran. I grandi errori del passato (a cominciare da quelli di Obama) sono venuti al pettine della storia. Trump è imprevedibile, ma è chiaro che la postura dell'America in Medioriente è cambiata, segue il filo logico degli Accordi di Abramo, cerca la stabilità nel Golfo, ha un legame diretto con l'Arabia Saudita e vede nel cambio di regime in Iran un'opportunità per stabilizzare la regione e avviare un'altra era. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la leadership di Benjamin Netanyahu, leader di guerra, dato per finito tante volte e oggi comandante in capo di una forza di cambiamento storica.  […] La caduta dell'Iran è necessaria, serve anche a indebolire Mosca, mettere la Cina di fronte a un nuovo Occidente che per ora si nasconde dietro la spada di Israele. Prima del riarmo, l'Europa deve coltivare l'idea di libertà, assumersi le sue responsabilità, non continuare a nascondersi dietro formule che ne mostrano solo la debolezza. Israele per lungo tempo è rimasto intrappolato nella stessa palude culturale: pensare che chi predica la tua morte può improvvisamente imparare ad amarti senza essere mai sfiorato dall'idea della guerra totale come risposta al disegno del massacro”.

L’idea che la “guerra totale” possa avere qualche conseguenza di lunghissima durata e determinare un’ulteriore escalation di morte e sofferenza non sembra preoccupare molto il direttore di Libero. Così come le tante perplessità della stampa internazionale sulla reale consistenza del pericolo nucleare iraniano (CNN ha raccolto circa 20 anni di allarmi di Netanyahu sull’Iran “vicinissimo” ad avere l’atomica), che invece trovano spazio sul Fattoquotidiano, dove il professor Mazzarella scrive: “Ma non è la "bomba" nelle mani dell' Tran a essere un pericolo esistenziale, ma l’inimicizia strategica dell'Iran a Israele per motivi di supremazia regionale. Inimicizia peraltro da Israele ampiamente ricambiata per gli stessi motivi. Ai fini di attaccare o tenere sotto pressione Israele, l'Iran non ha bi sogno della bomba: non ha da far altro che continuare a fare quello che fa da decenni, con un sistema di proxy armati a contrastare il progetto (peraltro illegittimo sul piano del diritto internazionale) del Grande Israele di Netanyahu. Anche avesse la bomba, non potrebbe usarla, perché verrebbe annichilito il giorno dopo con gli stessi mezzi dalla rete di protezione occidentale di Israele, ma anche perché uno o due ordigni in Palestina la renderebbero inabitabile non solo per gli ebrei, ma per i palestinesi, gli arabi, i giordani, gli stessi proxy iraniani".

Diciamo che il solo fatto di parlare dell'inverno nucleare dovrebbe spingerci a qualche considerazione sul punto in cui siamo arrivati, ecco.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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