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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Cosa sta succedendo tra Israele e Iran e cosa possiamo aspettarci ora: il punto con l’analista militare

A partire dalla notte tra il 12 e il 13 giugno il conflitto tra Israele e Iran è entrato in una fase inedita, con attacchi missilistici diretti, morti e feriti. L’analista Emmanuele Panero (CESI) analizza obiettivi, capacità militari e scenari futuri in una crisi che può ridisegnare il Medio Oriente.
Intervista a Emmanuele Panero
Analista del Desk Difesa e Sicurezza del CESI (Centro Studi Internazionali)
A cura di Davide Falcioni
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La città israeliana di Petah Tikva colpita da un missile iraniano
La città israeliana di Petah Tikva colpita da un missile iraniano
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Dopo una lunga fase di preparativi il conflitto tra Israele e Iran è deflagrato tra il 12 e il 13 giugno, rompendo gli argini della tensione cronica che da anni si accumulava tra i due Paesi e attraversava l'intero Medio Oriente. I leader di Tel Aviv e Teheran hanno fatto sapere che quella a cui stiamo assistendo non è una "scaramuccia" temporanea, né un'operazione speciale di breve durata, bensì un confronto diretto e prevedibilmente lungo tra due potenze regionali, con conseguenze potenzialmente devastanti anche per gli equilibri internazionali: con l’operazione "Rising Lion" Israele ha lanciato una campagna aerea complessa e sistematica che mira a colpire le infrastrutture militari e nucleari iraniane in profondità; dal canto suo Teheran ha risposto con il suo vasto arsenale missilistico, riuscendo spesso a superare il sofisticato scudo difensivo israeliano.

In questo scenario ad alta intensità, abbiamo intervistato Emmanuele Panero, analista militare del Desk Difesa e Sicurezza del CESI (Centro Studi Internazionali), per capire cosa sta accadendo davvero sul terreno, quali sono le capacità in campo, i margini di escalation e le reali prospettive che si profilano nei prossimi giorni e mesi. Tra strike aerei, capacità balistiche, deterrenza nucleare e delicati equilibri internazionali con attori come Stati Uniti, Russia e Cina sullo sfondo, restano ad oggi alcune domande senza risposta: qual è il vero obiettivo di Israele? Scoraggiare l'Iran dal dotarsi di un'arma atomica o rovesciare il regime? E come risponderà Teheran di fronte alla superiorità di Tel Aviv?

Dottor Panero, partiamo da una panoramica generale: cosa ci dicono i primi giorni di guerra tra Iran e Israele? Qual è il senso strategico di questo fitto scambio di missili?

La notte tra il 12 e il 13 giugno ha segnato l’inizio dell’operazione "Rising Lion", la più ambiziosa campagna di bersagliamenti lanciata da Israele contro l’Iran. L’offensiva non si è limitata a semplici bombardamenti aerei, ma ha previsto anche la pre-infiltrazione di droni e "munizioni circuitanti" all’interno del territorio iraniano per disabilitare le difese aeree e colpire con precisione alcuni obiettivi-chiave, tra cui membri dell’apparato militare iraniano. Successivamente, è iniziata una campagna aerea su larga scala da parte dell’aeronautica israeliana con l’obiettivo di degradare le capacità militari iraniane ed in particolare il programma missilistico e nucleare di Teheran. Al fine di abilitare quest’azione, sono state massivamente soppresse e distrutte le difese aeree della Repubblica Islamica, come i radar e le batterie contraeree.

Israele sta cercando di ottenere la supremazia aerea almeno sull’Iran occidentale, per proseguire con ondate successive di bombardamenti. È una campagna che può durare settimane, data la vastità del territorio iraniano e la natura diffusa e protetta dei suoi impianti militari e nucleari. Le prime ondate hanno avuto effetti devastanti sui vertici militari iraniani, ma la continuità e la profondità dell’offensiva restano centrali per gli obiettivi israeliani.

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L’Iran però non è rimasto a guardare. Ha risposto con il lancio di missili balistici. Quali sono le implicazioni?

L’Iran ha ancora una capacità balistica significativa. Nonostante le operazioni israeliane abbiano compromesso parte del suo arsenale, Teheran è riuscita a condurre rappresaglie relativamente efficaci. I missili balistici iraniani hanno raggiunto il territorio israeliano, causando anche vittime dopo aver saturato i sistemi di difesa aerea nemici.

Da Tel Aviv e altre città israeliane arrivano le immagini di edifici gravemente danneggiati: questo significa che i sistemi di difesa aerea israeliani, ad esempio Iron Dome, hanno mostrato delle criticità?

In realtà, Iron Dome non è progettato per intercettare missili balistici. La difesa contro questo tipo di minacce è affidata ai sistemi Arrow 2 e 3, nonché al sistema David’s Sling. Inoltre, Israele beneficia anche della presenza di batterie Patriot e del sistema THAAD statunitense. È una delle architetture di difesa aerea più avanzate al mondo. Ma va detto: nessun sistema è impenetrabile quando si fronteggia un attacco concentrato di missili balistici. Alcuni missili riescono a passare, e ciò rientra nei margini di rischio noti.

Cosa possiamo aspettarci ora? Quali sono le evoluzioni più probabili del conflitto?

Sul breve termine, vedremo Israele continuare la propria campagna aerea con ondate successive di raid, perseguendo una lunga lista di obiettivi per indebolire le capacità militari iraniane. Dall’altro lato, l’Iran continuerà le rappresaglie con i mezzi a sua disposizione.

Il punto interrogativo riguarda la risposta degli Stati Uniti e soprattutto la natura dell’"end state" israeliano: Israele si accontenterà di ritardare di anni, se non di un decennio, il programma nucleare iraniano? Oppure mira a un collasso sistemico delle capacità militari di Teheran? O punta a un cambio di regime? Se l’Iran si trovasse senza più margini, potrebbe reagire con un’escalation regionale: minacciare infrastrutture nei Paesi arabi alleati di Washington o addirittura tentare di interdire lo Stretto di Hormuz.

Insomma, stiamo assistendo a un conflitto in rapida evoluzione, dove le dinamiche possono cambiare anche in base a fattori esterni: la posizione degli Stati Uniti, le reazioni regionali, le pressioni diplomatiche. È una partita aperta, con variabili strategiche, tecnologiche e politiche tutte interconnesse. È proprio questo il punto da osservare con attenzione nelle prossime settimane.

Il sito iraniano di Natanz
Il sito iraniano di Natanz

È pensabile una campagna di terra israeliana in Iran?

Francamente, no. Israele e Iran non condividono confini e questo rende logisticamente impraticabile un’operazione di terra su vasta scala. Potrebbero esserci operazioni clandestine, infiltrazioni o sabotaggi mirati, come già visto nelle prime ore di "Rising Lion", ma una campagna terrestre classica è difficilmente ipotizzabile.

Israele può raggiungere i suoi obiettivi anche senza un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti?

Dipende da quali obiettivi parliamo. Israele ha una importante "criticità di massa": non ha un numero illimitato di velivoli, né di rifornitori in volo, che sono cruciali per le operazioni a lunga distanza. Alcuni obiettivi, come il sito nucleare di Fordow, situato in profondità nella roccia, non sono facilmente attaccabili con l’arsenale israeliano noto. Gli Stati Uniti, invece, dispongono di munizionamento convenzionale in grado di minacciare anche questi target. Dunque, un supporto statunitense – anche solo logistico – sarebbe un fattore abilitante cruciale.

Facciamo un passo indietro: ci può offrire una panoramica sintetica delle capacità militari di Israele e Iran?

Israele è una potenza regionale con capacità tecnologiche avanzate, in grado di colpire con precisione obiettivi in profondità nel territorio nemico. La prova? Nei primi giorni del conflitto è riuscita a creare un corridoio aereo sicuro fino a Teheran e bombardare con precisione alcuni obiettivi della capitale iraniana. L’Iran, al contrario, non ha una forza aerea in grado di minacciare direttamente Israele. Ha probabilmente perso l’unico datato rifornitore aereo ancora in suo possesso in uno dei raid. I suoi arsenali sono numerosi, ma obsoleti e spesso mal mantenuti. Il confronto tecnologico è nettamente sbilanciato a favore di Israele.

E sul fronte delle alleanze, la Russia – che ha ricevuto droni iraniani per la guerra in Ucraina – potrebbe ora “ricambiare” in qualche modo?

Ad oggi non ci sono segnali concreti in questa direzione. La Russia ha ottenuto droni Shahed da Teheran, ormai in gran parte prodotti localmente, e ha ricambiato in passato con forniture tecnologiche, come sistemi di difesa aerea. Ma non c’è uno scenario realistico in cui Mosca intervenga attivamente nel conflitto. Lo stesso vale per la Cina: Pechino non ha mai avuto un ruolo di sostegno militare diretto all’Iran e, anzi, evita accuratamente di esporsi in conflitti regionali di questa portata.

Israele è una potenza nucleare non dichiarata. In quali scenari potrebbe ricorrere a questa opzione estrema?

Israele non ha mai ufficialmente dichiarato di possedere armi nucleari, di conseguenza non ha mai dettagliato scenari di impiego. Tuttavia, a oggi non esiste alcuna indicazione concreta che l’opzione nucleare sia sul tavolo. La superiorità convenzionale israeliana è più che sufficiente per colpire duramente le infrastrutture militari iraniane, come ha già dimostrato. Un impiego dell’arma nucleare comprometterebbe alleanze strategiche, a partire da quella con Washington. È uno scenario remoto, ipotizzabile solo in caso di minaccia esistenziale.

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