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In battaglia contro il Covid senza difese: il piano sanitario nazionale manca da dodici anni

Il documento è uno strumento fondamentale per la pianificazione e la programmazione della sistema sanitario nazionale. E serve anche a raccordarsi con le Regioni. In tempi di Coronavirus sarebbe stato prezioso. Bonino denuncia a Fanpage.it: “Questo vuoto è illegale e favorisce le Regioni a fare come vogliono”.
A cura di Stefano Iannaccone
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Un Paese che ha dovuto affrontare una pandemia senza un Piano sanitario nazionale (Psn). Fermo al documento, di cento pagine, scritto dodici anni fa. Nonostante la legge prescriva di farne uno per ogni triennio. Eppure c’è stato un susseguirsi di governi di centrodestra e centrosinistra, con la parentesi di un esecutivo tecnico. Ma il risultato è stato sempre lo stesso: nessuno ha provveduto a redigerne uno nuovo. Al di là delle polemiche sul piano pandemico, che ha attirato maggiormente l’attenzione mediatica, l’Italia attende dal 2008 la predisposizione di uno strumento fondamentale per il Sistema sanitario nazionale (Ssn): il Psn, appunto. E questo può spiegare in parte le grandi lacune emerse negli ultimi mesi.

Di fronte all’emergenza non c’era una giusta preparazione. Un disastro annunciato, dunque. Del resto proprio il Ministero della Salute lo definisce come “il principale strumento” di pianificazione, visto che “il metodo della programmazione pluriennale costituisce un principio fondamentale in materia di "tutela della salute" ed uno degli elementi qualificanti del Servizio sanitario nazionale”. La mancanza è stata etichettata come una “pratica illegale” dalla senatrice di +Europa, Emma Bonino. In punta di diritto è la realtà: sono stati saltati quattro piani in barba alla legge vigente. Secondo quanto ha spiegato Bonino a Fanpage.it, questo spinge i cittadini “alla migrazione sanitaria”: il fenomeno di spostamento dalle Regioni meno attrezzate a quelle più efficienti alla ricerca di migliori cure. L’ex ministra ha perciò depositato, insieme a Matteo Richetti di Azione, un’interrogazione rivolta al ministro della Salute, Roberto Speranza.

Oltre all’assenza del piano, c’è un ulteriore tassello mancante: quello della relazione sullo stato sanitario del Paese (Rssp), necessaria alla “valutazione del processo attuativo del piano sanitario nazionale”. L’attuale normativa prevede che il Ministero della salute predisponga e illustri ogni tre anni il documento. Questa relazione risponde “all'esigenza di produrre una periodica informativa al Parlamento, e conseguentemente ai cittadini, sullo stato di salute della popolazione e sull'attuazione delle politiche sanitarie”. Serve quindi, congiuntamente al Psn, alla “pianificazione e programmazione del Servizio sanitario nazionale”. L’ultima relazione, portata nelle Aule di Camera e Senato, risale al 2013.

Seppure le responsabilità non siano certo attribuibili solo a Speranza (ministro da meno di due anni e che ha dovuto fare i conti con una pandemia), Bonino e Richetti hanno chiesto un’accelerazione: “Non è possibile tollerare ulteriormente la colpevole indifferenza dei responsabili politici e dei dirigenti ministeriali verso gli obblighi e le scadenze previste dalla normativa sanitaria a tutela della salute dei cittadini”. E quindi, secondo i due senatori, “la scarsa reattività e la reazione confusa ad eventi improvvisi e gravi, come la pandemia da Covid-19, sono stati anche l'effetto della pluriennale mancanza di Psn e Rssp e del conseguente indebolimento della sanità italiana come sistema”. La procedura fa capo al governo, “su proposta del Ministro della salute e tenuto conto delle proposte provenienti dalle Regioni”. Dopodiché, nell’ambito di un’armonizzazione tra Stato centrale ed enti locali,entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore del Piano sanitario nazionale, le Regioni adottano o adeguano i propri Piani sanitari regionali, trasmettono al Ministro della salute gli schemi o i progetti allo scopo di acquisire il parere dello stesso per quanto attiene alla coerenza dei medesimi con gli indirizzi del Piano sanitario nazionale”.

Ma a cosa serve nel dettaglio il piano sanitario nazionale? Il Ministero della Salute, attraverso il sito ufficiale, riferisce che, tra le varie funzioni, è necessario a individuare “le aree prioritarie di intervento, anche ai fini di una progressiva riduzione delle diseguaglianze sociali e territoriali nei confronti della salute”, fissa poi “i livelli essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il triennio di validità del piano”. Triennio che è stato doppiato quattro volte. Inoltre nel Psn è contenuta “la quota di finanziamento per ciascun anno di validità del piano e la sua disaggregazione per livelli di assistenza”. E non solo: il documento è fondamentale per indicare “gli indirizzi finalizzati a orientare il Ssn verso il miglioramento continuo della qualità dell'assistenza, anche attraverso la realizzazione di progetti di interesse sovraregionale”. Un ulteriore aspetto tocca il tema la ricerca, perché incardina “le finalità generali e i settori principali della ricerca biomedica e sanitaria, prevedendo il relativo programma di ricerca”. Il Psn regola, peraltro, “le esigenze relative alla formazione di base e gli indirizzi relativi alla formazione continua del personale, nonché al fabbisogno e alla valorizzazione delle risorse umane”. In estrema sintesi, è un documento che detta i tempi al Ssn.

Un problema a cui far fronte quanto prima. Ancora di più in una situazione di inedita concordia nazionale con il governo Draghie con l’arrivo dei miliardi di euro del Recovery Plan. “La mancanza di un piano nazionale ha inevitabili ricadute anche sull’organizzazione della sanità regionale”, spiega Bonino a Fanpage.it.Le Regioni – aggiunge la senatrice di +Europa – si adeguano a questa pratica illegale. E alla fine ognuno si muove come vuole provocando evidenti danni alla qualità del servizio sanitario. E questo si riverbera inevitabilmente sulla salute dei cittadini”. Ma quale può essere un esempio? “Il Sistema sanitari nazionale – conclude Bonino – presenta grossi difetti, come la disomogeneità. Da qui scaturisce la migrazione sanitaria, che non avviene con i barconi ma con auto e aerei. E per questo attira meno attenzione. Ma è bene ricordare che in Italia, ogni anno, ci sono 800mila persone costrette a spostarsi in altre Regioni per trovare un sistema adeguato. Minando così i criteri di accesso alle cure”. E in tempi di pandemia è come affrontare una battaglia senza avere una strategia.

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