video suggerito
video suggerito
Opinioni
Referendum abrogativi 2025

L’invito all’astensione del governo è servito a parlare finalmente dell’esistenza dei referendum dell’8 e 9 giugno

I partiti di governo scommetteranno sull’astensione, quelli dell’opposizione andranno in ordine sparso, in una partita oggettivamente complessa. È già scritto l’esito del referendum dell’8 e 9 giugno? Forse, molto dipenderà dalla capacità di mobilitazione dei cittadini e dalla copertura mediatica.
65 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

Era questione di tempo, ma sapevamo tutti che sarebbe successo. Tra gli addetti ai lavori c’era addirittura chi aveva scommesso su quale sarebbe stato il leader politico a scatenare la prima vera polemica sui referendum dell’8 e 9 giugno. È toccato al ministro degli Esteri Antonio Tajani, come vi abbiamo raccontato su Fanpage.it, il quale, a margine di un convegno, ha spiegato che la linea di Forza Italia sarà quella dell’astensionismo “politico”, invitando gli elettori a non recarsi alle urne come segnale di “non condivisione della proposta referendaria”. Per una volta, ad andare dietro al vicepresidente del Consiglio forzista è stata la Lega di Matteo Salvini, che ha rilanciato la tesi secondo cui l’astensione, nel caso dei referendum, non sarebbe “disimpegno”, ma una “posizione prevista a livello costituzionale”. Meloni, per il momento, ancora non ha comunicato la posizione ufficiale di Fratelli d’Italia, ma tutto lascia pensare che non si discosterà molto dalle scelte di Salvini e Tajani.

I sostenitori del referendum hanno gridato allo scandalo, con Fratoianni, Bonelli, Landini e Magi che hanno parlato di “astensione per paura dei diritti”, di fuga dalle urne come “malattia della nostra democrazia”, mostrando una certa compattezza e una volontà di lanciare un aggressivo rush finale di campagna elettorale. Che non si annuncia semplicissima, anche a causa della complessa situazione interna al Partito democratico. Se la segretaria Elly Schlein ha deciso di sostenere apertamente la campagna referendaria (contando anche sul via libera alla sua relazione in direzione nazionale senza contrari né astenuti), è pur vero che alcuni quesiti vertono su aspetti del Jobs Act, una norma che porta la firma proprio del Pd (nella sua versione renziana) e che molti attuali esponenti di spicco del partito hanno sempre sostenuto con forza. In tale contesto, il rischio che un eventuale flop alle urne possa ritorcersi contro la segreteria e rafforzare la corrente riformista è alto, dunque sarà interessante capire se Schlein adotterà un surplus di cautela o deciderà di andare all in nelle ultime settimane di campagna.

La questione degli appelli all’astensione è comunque interessante, anche a prescindere dalle considerazioni nel merito dei quesiti referendari. Chi protesta in queste ore lo fa richiamandosi all’articolo 48 della Costituzione, che parla espressamente di "esercizio del voto come dovere civico”. Invitare all’astensione quando si ha un ruolo istituzionale, dunque, sembrerebbe essere piuttosto inopportuno, oltre che ipocrita, considerando tutte le volte che ci si è lamentati della disaffezione dei cittadini per le urne e delle conseguenze che ciò comporta sulla tenuta stessa dei meccanismi fondamentali della nostra democrazia.

Tuttavia, a onor del vero andrebbe ricordato che, secondo molti analisti, il riferimento dell’articolo 48 è soprattutto alle elezioni delle assemblee rappresentative. Questo in considerazione della previsione del quorum per quanto riguarda i referendum, stabilita sempre dalla Costituzione, all’articolo 75. In questa lettura, esisterebbe una sorta di diritto al non – voto, che consisterebbe nel declinare la richiesta di esprimersi sui quesiti referendari e che non avrebbe per questo “conseguenze morali”. Anzi, risulterebbe determinante per lo stesso processo democratico. L’obiezione principale a ragionamenti di questo tipo è riassumibile con: il non voto non è un diritto nella misura in cui vincola la possibilità di espressione di altre persone, annullandone la volontà espressa alle urne. È pur vero, però, che parliamo di uno strumento conformato in modo da ritenere vincolante il quorum.

Una discussione interessante e complessa, che potrebbe anche aprire la strada a una revisione complessiva dello strumento referendario (ci sono e ci sono state in passato proposte sul tema). Se solo fosse affrontata nel modo corretto, ecco. Inserendo ad esempio altri elementi di peso, che meritano considerazioni specifiche.

Oggi ad esempio sul Manifesto, c’è un pezzo molto interessante di Antonio Floridia, che sostiene come in questo momento l’affluenza sia “truccata”, in particolare perché “la base di elettori aventi diritto sulla quale si calcola il 50% + 1 è artificialmente più larga”. Il perché è spiegato nel dettaglio:

Oltre ai normali fattori di disaffezione al voto, pesano anche altri elementi. E su uno di questi vorrei soffermarmi. La domanda è: su quale base di elettori aventi diritto si calcola il quorum? Su una platea enorme: oltre ai cittadini italiani residenti in Italia, si contano anche gli italiani residenti all’estero che, secondo l’ultimo dato aggiornato nel registro AIRE, ammontano, al 31 dicembre 2024, a un numero spropositato: 6.134.000. Insomma, per superare il quorum, bisogna che la percentuale effettiva degli elettori italiani sia ben superiore al 50%, per compensare il voto estero, sperando che questo si mantenga almeno ai livelli delle politiche o dell’ultimo referendum. E dunque, la campagna elettorale deve certamente orientarsi all’obiettivo massimo del quorum, ma bisogna stare attenti anche alle aspettative che si creano. Un successo e una sconfitta, e la loro entità, si misurano anche con il metodo delle attese che vengono alimentate. Oggi bisogna fare i conti con una percezione diffusa: si dà per scontato che il quorum sia impossibile. Questo, naturalmente, incentiva la fuga dalle urne degli indifferenti e dei contrari, ma rischia anche di creare sfiducia e di produrre una smobilitazione persino in una parte dell’elettorato che pure sarebbe favorevole.

C'è infatti un ulteriore elemento su cui occorrerebbe una riflessione seria: l'assenza o quasi del referendum nel dibattito pubblico, a causa di una copertura mediatica ridotta ai minimi termini, conseguenza di scelte di partiti ed editori. Ne parla oggi Andrea Castanini sul Secolo XIX:

Avviso agli elettori: tra poche settimane saremo chiamati alle urne. Non lo ricordavate? Non è solo colpa vostra. Per mesi, l’argomento è rimasto avvolto in una nebbia mediatica. Ora, lentamente, l’attenzione si è risvegliata. […] Il punto fondamentale è che i cittadini hanno il diritto di sapere per cosa sono chiamati al voto e, finora, le informazioni non sono state sufficienti. A dirlo, ieri, è stata l’AGCOM – l’Autorità garante per le comunicazioni – che ha richiamato tutte le emittenti a dedicare adeguato spazio al tema referendario. In una TV digitale, con centinaia di canali di ogni tipo, di referendum si parla poco o nulla. Sono temi che fanno crollare l’audience? Può darsi. Ma la democrazia si basa sulla conoscenza.

Paradossalmente, la polemica sull'astensione è servita almeno a riportare il tema sulle pagine dei giornali. Addirittura su quelli della destra, che danno ampio spazio agli argomenti adoperati da Tajani e ricordano come in passato a chiedere di non recarsi al voto fossero stati anche autorevoli esponenti di quella che viene genericamente indicata come sinistra". Fausto Carioti su Libero scrive: “Nel giugno del 2003, quando si votò per il referendum sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, i DS sostennero che astenersi è un diritto. ‘Siamo contrari ad andare a votare’, disse il loro segretario Piero Fassino, ‘perché il referendum è uno strumento sbagliato’. Nel 2009, si votò ancora per cambiare, tramite referendum, la legge elettorale. In favore dell’astensione, quella volta, si espressero Sinistra e Libertà e Rifondazione Comunista, nella quale militava già Fratoianni. ‘Il referendum deve fallire’ – si leggeva nell’appello del PRC – ‘attraverso la non partecipazione al voto e il rifiuto della scheda’. Nell’aprile del 2016, per il quesito sulle trivelle, l’invito all’astensione giunse invece dal PD. Lo guidava Matteo Renzi, che era anche presidente del Consiglio, e spiegava la posizione così: ‘L’astensione al referendum è nel cuore stesso del sacro e legittimo. Non riconoscerla è sbagliato e profondamente ingiusto’". Ora, se pure i riferimenti non sono precisissimi (Fratoianni non aveva alcun ruolo decisionale nel partito in cui militava, Renzi probabilmente non voterà neanche adesso, eccetera), è evidente che questo del presunto "doppio standard della sinistra" sarà un formidabile strumento retorico nelle mani della maggioranza per boicottare la campagna elettorale.

Il punto è capire se l'opposizione avrà la forza di rilanciare da sola la proposta referendaria. Se quello che Tommaso Cerno su Il Tempo definisce polemicamente un "autoreferendum che ci costa 140 milioni" (la cifra è a caso, ma il senso è che si tratti di una resa di conti interna al Pd sul Jobs Act, cosa parzialmente falsa, visto che non tutti i quesiti riguardano la riforma renziana), possa compattare l'area dell'alternativa a Meloni, insomma. Impresa ardua, come spiega Maria Carla Sicilia sul Foglio:

Di fronte al boicottaggio dei partiti di governo, almeno per un pomeriggio, l’opposizione ha alzato la voce sostenendo la partecipazione al voto. Ma nel merito, i distinguo abbondano, sia fuori che dentro i partiti. Sul tema del lavoro, la CGIL può contare sul sostegno di PD, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, mentre sono contrari Italia Viva e Azione. Sulla cittadinanza, promossa da +Europa, si sono invece sfilati Azione e Movimento 5 Stelle. Un quadro politico frammentato che rende il raggiungimento del quorum un percorso a ostacoli. Tuttavia, la campagna referendaria deve ancora entrare nel vivo, e il coordinamento tra promotori e partiti si sta affinando proprio in questi giorni. Finora, a mostrare più timidezze è stato soprattutto il PD, anche a causa delle proposte sul Jobs Act, che agitano sia i riformisti sia l’area schleiniana. A farne le spese è proprio il quesito sulla cittadinanza, che i Dem condividono, ma su cui non si sono ancora spesi con decisione.

Sarà un mese particolarmente interessante, ecco. Soprattutto se gli sforzi dei promotori dei referendum si concentreranno sul convincere gli italiani della bontà delle loro proposte politiche e riusciranno a trovare lo spazio che meritano sui mezzi di comunicazione. Invece di partire già sconfitti, con mille recriminazioni che si rifletteranno in generici appelli al voto e nella delegittimazione a prescindere di una scelta, quella dell'astensione, che, se consapevole e ragionata, fa parte anche del processo democratico.

Una campagna che ci ripromettiamo di seguire anche nella nostra Evening Review, la newsletter per chi ha scelto di sostenere Fanpage.it, di cui questo pezzo è un estratto. Ci si iscrive qui.

65 CONDIVISIONI
Immagine
A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
19 contenuti su questa storia
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views