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I diritti (negati) dei genitori gay: mamma lesbica separata non vede le figlie da due anni

Una donna lesbica, separata dalla compagna, non può vedere le figlie, due bambine di 8 anni, da due anni. La sua ex glielo impedisce, e la legge italiana le dà ragione. Il caso è finito alla Corte Costituzionale: la Prima sezione civile del Tribunale di Padova, con un’ordinanza pubblicata mercoledì in Gazzetta Ufficiale, ha chiesto l’intervento dei giudici della Consulta.
A cura di Annalisa Cangemi
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In Italia se sei gay e hai dei figli con il tuo compagno o compagna, riuscire a vederli dopo una separazione può diventare un percorso a ostacoli. E non è detto che la legge ti tuteli. Anzi, potrebbe non riconoscerti il diritto di vederli e accudirli, perché se non sei la madre che li ha partoriti, o comunque il genitore naturale tu semplicemente non esisti. Un vuoto normativo che fa a pugni con la normativa internazionale. In molti Paesi infatti la fecondazione eterologa è consentita, e la stepchild adoption permette al genitore non biologico, nei casi ad esempio di unioni civili tra persone dello stesso sesso, di vedersi riconosciuta la propria paternità o maternità. Ma questo tipo di adozione nel nostro Paese è stata concessa solo in rari casi, e solo per figli di coppie dello stesso sesso nati all’estero, solo in presenza del consenso della madre legale.

Non è così per una donna lesbica, che ha interrotto la relazione con la compagna, con la quale viveva in Italia insieme alle due figlie, due gemelle di 8 anni. La storia di Laura, mamma delle due bambine che non vede ormai da due anni, è stata raccontata dal ‘Corriere della sera'. Del suo caso si occuperà la Corte costituzionale, a cui si è rivolta la Prima sezione civile del Tribunale di Padova, con un’ordinanza pubblicata mercoledì in Gazzetta Ufficiale.

Clara e Lucia (nomi di fantasia) non vedono "mamma Laura" dal 18 ottobre 2018, perché la loro madre biologica, ha deciso di interrompere ogni contatto con lei. Le piccole sono state concepite a Barcellona, in Spagna, dove la procreazione assistita è legale.

"Poco meno di due anni fa la mia ex compagna mi ha chiamata e mi ha detto di non andare a prendere le bambine a scuola, come facevo di solito. Da allora non ho più potuto vederle, né sentirle. La mia ex ha smesso di parlare di me alle bambine, senza spiegazioni, come se non esistessi", ha detto la donna al ‘Corriere della sera'.

La coppia è stata insieme per dieci anni, dal 2007 al febbraio del 2017, e il desiderio di maternità è stato condiviso da entrambe, come dimostra il lungo percorso che le due donne hanno dovuto affrontare. "All’inizio ero stata io a sottopormi all’inseminazione artificiale, a Copenaghen, nel 2010. Non ha avuto successo e allora abbiamo deciso di provare la fecondazione con stimolazione ormonale a Barcellona. L’ha fatta la mia ex. Io avrei dovuto tentare la gravidanza successiva: non sapevamo che avremmo avuto delle gemelle e volevamo due figli".

Come si legge nell'ordinanza del Tribunale di Padova a Barcellona le due donne "prestarono il consenso scritto" all’eterologa – l’inseminazione con il seme di un donatore anonimo – e «dai documenti prodotti e dalle allegazioni non contestate risulta inequivocabilmente che la coppia ha condiviso il progetto di procreazione», scrivono i giudici, e «che le parti, pur senza residenza anagrafica comune, hanno convissuto anche dopo la nascita delle bambine per quasi cinque anni, con coinvolgimento di entrambe nella cura, nell’educazione e nella crescita delle piccole, le quali ora hanno sette anni e, per gli ostacoli frapposti dalla madre biologica, da più di un anno non hanno rapporti con la ricorrente (che chiameremo madre intenzionale, mutuando una terminologia oramai divenuta di uso comune)".

Per la legge spagnola (come anche a quella danese) con il consenso all’eterologa entrambe le donne sarebbero legalmente le madri delle bambine. Ma le piccole sono nate in Italia, nel 2012, in una fase in cui non erano state approvate le unioni civili (che sarebbe arrivata nel 2016) e prima che alcuni tribunali e comuni iniziassero a riconoscere i genitori gay. Sono state quindi registrate come figlie della sola madre che le ha partorite, "la mamma di pancia, come abbiamo sempre detto alle bambine, quando spiegavamo la differenza che c’era tra lei e me" ha raccontato Laura. Formalmente per la legge italiana la donna non è la loro madre, e non si è mai unita civilmente alla compagna: "Non abbiamo fatto in tempo. Poco dopo l’approvazione della legge Cirinnà, era un sabato, ho detto alla mia ex: ‘Perché non ci sposiamo?' Lei mi ha guardata, è rimasta in silenzio e poi mi ha detto ‘non ti amo più'".

Laura ha lasciato quindi l'abitazione familiare in cui vivevano nel febbraio 2017, ma ha continuato ad occuparsi delle bambine, da genitore separato. "Le parti elaborarono un accordo scritto nel quale disciplinarono sia gli aspetti economico patrimoniali sia quelli personali, concordando la residenza prevalente delle figlie presso la madre biologica, gli incontri con la ricorrente a fine settimana alternati e una o due volte durante la settimana e un contributo al mantenimento delle bambine a carico della ricorrente pari ad euro 300 mensili" viene specificato nell’ordinanza.

"Quando però ho detto alla mia ex che volevo adottare legalmente le bambine, lei si è opposta, e ha deciso di non farmele vedere più" dice adesso Laura. Per questo ha deciso di rivolgersi al Tribunale, assistita dall’avvocato Alexander Schuster. C’è almeno un precedente, a Palermo, del 2015, quando i magistrati hanno concesso alla "madre intenzionale" di una coppia lesbica il diritto a mantenere il rapporto con i figli, anche se non avevano un legame riconosciuto dalla legge, a "tutela del supremo interesse dei minori". Adesso Laura spera che la Consulta le riconosca lo stesso diritto.

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