
Roberto Vannacci ha pubblicato un post sul fascismo, dai suoi profili, titolandolo in pompa magna: "Ripetizioni per chi la storia l'ha studiata nei manuali del PD".
Quel post, però, ha un problema: si tratta di un post revisionista, e anche nelle parti (poche) dove riporta alcuni fatti realmente avvenuti, ne omette il modo e il contesto, falsando perciò il risultato storico.
Per questo ho deciso di andare a trovare Roberto Vannacci al suo primo convegno pubblico dopo quel post, e chiedergli perché abbia deciso di tacere sulla violenza fascista, con la quale Mussolini arrivò al potere e tramite la quale governò per 20 anni.
Roberto Vannacci è abile, di fronte alle telecamere. Molto meno di fronte alla Storia. Di fronte alle telecamere Roberto Vannacci gigionezza ("non avete ancora capito che dei giornali non dovete fidarvi?"), attacca un giornalista presente ("stai zitto!"), gioca a essere accerchiato dai giornalisti che sono lì per fare il loro mestiere, cioè porgli delle domande ("sembrate un plotone di esecuzione"), e interrompe quasi tutte le giornaliste e i giornalisti ("ora mi fa rispondere o vuole continuare a parlare lei?"). Però Roberto Vannacci non si sottrae, o come direbbe lui "io non rinculo". Cioè alla fine lui parla, non scappa, e quando dice o scrive qualcosa continua a tenere il punto rispetto a quello che ha detto, e questo nel suo caso è parte del problema. Ad esempio per il suo post in cui si era preso la briga e l'ardire di "spiegare il fascismo a chi lo aveva studiato soltanto nei manuali del PD". Lasciamo perdere il titolo usato (dai, qui avremmo gioco troppo facile) e concentriamoci sul contenuto: se quel contenuto revisionista lo avesse riletto il giorno dopo e avesse detto "scusate, ieri ho scritto una cavolata", sarebbe stato (forse) scusabile. Lo avremmo perdonato. Ma così, invece, è indifendibile. Perché quel post contiene errori storici e omissioni di parti fondamentali della narrazione.

Sia chiaro: Roberto Vannacci non poteva (e non voleva) scusarsi per il suo post, perché lui è esattamente quella persona lì: un uomo che non soltanto non si dichiara antifascista (questo va di moda, fra gli esponenti del Governo), ma neanche condanna quel periodo storico in modo chiaro. Roberto Vannacci condanna soltanto le leggi razziali, chiamandole "esecrabili" (e ci mancherebbe altro), ma dimenticando che il fascismo stesso si basava sulla discriminazione, che non è mai esistito un fascismo buono e che quelle leggi "esecrabili" non arrivarono all'improvviso, ma furono la normale "messa a terra" di una serie di pratiche già utilizzate, che partivano ancora prima dalla negazione del voto libero a donne e uomini, la censura della stampa, i processi sommari o la possibilità addirittura di condanna senza processo. Addirittura gli omicidi nelle strade da parte delle squadracce fasciste sono calcolati in 3.000 omicidi già prima della Marcia su Roma, cioè i fascisti non erano ancora arrivati al potere, si preparavano soltanto il terreno e per farlo furono uccise 3.000 persone (Gaetano Salvemini, Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard, a cura di R. Vivarelli, Feltrinelli, Milano 1979, p. 321.).
In altre parole: il fascismo giunse al potere tramite la violenza. E governò questo Paese tramite la violenza per 20 anni. Ma questo Roberto Vannacci non lo dice. Anzi: di fronte alla mia telecamera Roberto Vannacci dice testualmente: "Io non ho parlato delle violenze", senza accorgersi che il problema è proprio quello, che lui non ne parla. Perché se tu togli la violenza al fascismo, è come se stessi togliendo il fascismo dal fascismo, e quello che rimane è un racconto falso, parzialissimo, nella migliore delle ipotesi giustificazionista rispetto alle atrocità commesse dalla dittatura di Benito Mussolini.
Roberto Vannacci venditore d'auto cerca di venderci un modello d'auto vecchio, che ha investito un'intera popolazione, illustrandoci le bellezze di un cofano con pochi graffi, senza raccontarci che sotto a quel cofano non ci sta il motore democratico, ma sono nascosti tutti i diritti, ammazzati in vent'anni di dittatura.
In conclusione: perché è ancora necessario parlare (male, perché questa è Storia) del fascismo? Innanzitutto per una questione di verità: se un politico distorce la Storia, è necessario farglielo notare. E perché da quelle distorsioni arrivano anche molte delle simpatie di oggi intorno al fascismo. E poi per un altro motivo, che ci ricorda benissimo lo storico Francesco Filippi: "Mostrare la realtà di quel passato è un primo passo per evitare che quel passato diventi futuro".
A proposito: proprio dai libri dello storico Francesco Filippi partii per realizzare il video “Quando c’era lui i treni arrivavano in orario”, tutte le bufale sul fascismo smentite una per una. E a qualcuno, ancora oggi, servirebbe proprio un bel ripasso, almeno per non aumentare ancora il numero delle persone che anche quest'anno – solo qualche settimana fa – sono andate a marciare a Predappio, per celebrare l'anniversario della Marcia su Roma. E sì, ci ero tornato anche io, in mezzo a fascisti e qualche nazista, per capire chi sono e cosa votano.