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Elezioni politiche 2022

Giorgia Meloni è la prima donna premier, ma per le donne è una pessima notizia

Giorgia Meloni è la prima donna presidente del Consiglio della Storia d’Italia. Ma questo non vuol dire che si batterà per l’emancipazione femminile. Anzi.
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A cura di Jennifer Guerra
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Per mesi, di fronte prima alla vittoria di Giorgia Meloni e poi alla sua nomina come prima donna a ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio, ci siamo torturati con la più inconcludente delle domande: Meloni è una femminista? Inconcludente, perché Meloni (a differenza, ad esempio, della sua collega francese Marine Le Pen), non si è mai dichiarata femminista né ha mai fatto alcuno sforzo per passare come tale, a meno che non pensiamo che l’essere donna equivalga a essere femminista. Questa domanda non solo è stata mal posta, ma ci ha distratti da una ben più importante e urgente questione: nel concreto, cosa porterà il governo Meloni alle donne? E di quali donne, questo è forse ancora più rilevante, si occuperà nello specifico?

Innanzitutto, dobbiamo aspettarci che il genere diverrà il centro di molti discorsi e di molte battaglie portate avanti da Meloni, coerentemente con quanto fatto in campagna elettorale ma soprattutto con gli assi ideologici della nuova destra europea che si è compattata intorno alla battaglia anti-gender. Anche se molti commentatori attribuiscono la sconfitta della sinistra il fatto di occuparsi “solo” di diritti civili, la quantità di energie che Fratelli d’Italia ha speso e spende per il contrasto al “gender” è impressionante, configurandosi senza dubbio come la forza politica che più parla, sebbene negativamente, di questioni LGBTQ+. Da una decina di anni, la nouvelle droite di tutta Europa ha trovato il proprio collante in una visione nativista e conservatrice della società, dove la fantomatica e tanto citata “famiglia naturale” diventa un baluardo contro il relativismo, l’ateismo, l’omosessualità, l’immigrazione. 

Non è quindi un caso che nel partito di Meloni figuri Maria Rachele Ruiu, tra le più attive esponenti di ProVita e Famiglia, e che il partito si sia impegnato a firmare la “Carta dei principi” di ProVita e Family Day, consolidando un sodalizio che va avanti da anni. Da questa Carta emergono diverse proposte concrete che finiranno con ogni probabilità nell’agenda Meloni: il contrasto all’aborto (definito “soppressione di una vita umana inerme e innocente”), l’istituzione di una Giornata nazionale della vita nascente, la promozione del matrimonio tra uomo e donna, il diritto alla libertà educativa, l’opposizione alla gestazione per altri, il sostegno alle famiglie numerose e – vale la pena citarlo per esteso – “il contrasto a ogni tipo di progetto di legge volto a introdurre il concetto e il reato di omotransfobia [e] le adozioni di minori a single o coppie di persone dello stesso sesso”.

Anche prendendo in considerazione le misure propositive e non soltanto oppositive, come l’aumento dei congedi parentali, dalla Carta emerge una visione della donna come la custode della maternità e della famiglia, particolarmente evidente in questo passaggio: “la conciliazione tra le esigenze naturali della maternità e l’opportunità della madre di realizzare le proprie aspirazioni professionali”. L’ordine delle priorità, in un Paese con la più alta disoccupazione femminile d’Europa, è invertito: prima si è naturalmente madri, poi al massimo si possono realizzare le proprie aspirazioni professionali. Queste posizioni non devono stupirci da una leader politica che si è proposta anzitutto come una “donna, madre, cristiana, italiana”. Non servono altri attributi per descrivere l’orizzonte ideologico in cui Meloni e il suo partito concepiscono il ruolo delle donne nella società, sebbene da un punto di vista personale Meloni sia a tutti gli effetti una figura di rottura rispetto a questo paradigma.

Il progetto politico di Meloni per le donne, in fondo, non è altro che una conservazione dell’esistente: non eliminerà la legge 194 sull’aborto, ma la “applicherà pienamente”. Non farà nulla per contrastare i diritti LGBTQ+, le basterà non avanzare di un millimetro rispetto a quel poco che è stato ottenuto negli anni. Non peggiorerà la condizione delle donne con leggi sadiche, ma non farà altro che ribadire la loro invisibilizzazione come le uniche deputate alla cura. Non distruggerà la vita delle migranti e delle richiedenti asilo, le basterà proseguire le politiche disumane che sono già a sua disposizione. Questo non vuol dire che il governo Meloni sarà un governo di ordinaria amministrazione. Sarà un governo di estrema destra, che alimenterà ogni giorno una campagna volta esclusivamente ad alimentare l’odio sociale e le divisioni di classe e di genere. Ma vale la pena ribadire che questo governo esisterà anche perché ha avuto la strada spianata dall’assenza di politiche di genere concrete, dal razzismo istituzionale, da una classe politica che applaude l’affossamento di una legge contro l’omolesbibitransfobia, dalla sottovalutazione dell’influenza dei movimenti antiabortisti e anti-gender.

Non aspettiamoci scenari da Racconto dell’ancella, o meglio, non aspettiamo di arrivare a quegli estremi per accorgerci che quella quotidiana erosione dei diritti, delle opportunità e dei desideri che sperimentavamo da tempo, da oggi subirà un’accelerata.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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