video suggerito
video suggerito

Diritto alla riparazione per elettrodomestici e smartphone: cosa cambia dal 2026 e cosa manca ancora

Dal 2026 anche in Italia sarà garantito il diritto alla riparazione per elettrodomestici, smartphone e altri prodotti. Una svolta sostenibile voluta dall’UE, ma il cammino è ancora lungo: servono incentivi, regole sui prezzi, formazione e un mercato equo per i riparatori indipendenti.
A cura di Francesca Moriero
4 CONDIVISIONI
Immagine

Riparare anziché buttare. Una scelta che fino a pochi anni fa sembrava fuori moda, oggi è invece al centro di una nuova strategia europea per rendere più sostenibile il consumo di beni di largo uso come smartphone, lavatrici, lavastoviglie, televisori e piccoli elettrodomestici. Il diritto alla riparazione, introdotto con la direttiva UE 2024/1799, punta a cambiare infatti il modo in cui ci relazioniamo con i prodotti elettronici. Basta ricambi introvabili o costi sproporzionati: d'ora in poi, l'obiettivo sarà allungare la vita degli oggetti e ridurre sprechi e rifiuti. L'Italia ha iniziato il percorso di recepimento della normativa con l'approvazione in Consiglio dei Ministri, il 22 luglio 2025, del disegno di legge europeo che porterà l’obbligo effettivo a partire dal 31 luglio 2026. Ma tra le promesse della direttiva e la realtà delle riparazioni italiane, ci sono ancora diversi nodi da sciogliere, dalla formazione alla trasparenza dei prezzi, fino agli incentivi fiscali.

Cosa prevede la direttiva: diritti nuovi per i consumatori (e non solo)

Il cuore della nuova norma europea è semplice: rendere la riparazione la scelta più logica, economica e accessibile per chi possiede un bene difettoso. Secondo la direttiva, i produttori saranno obbligati a:

  • offrire riparazioni rapide, a prezzi ragionevoli e trasparenti;
  • fornire parti di ricambio e manuali tecnici, anche a riparatori indipendenti;
  • estendere la garanzia di un anno su ogni prodotto riparato;
  • non creare ostacoli legali o tecnici alla possibilità di riparare, né scoraggiare l’uso di pezzi di ricambio non originali.

Non si tratta solo di diritti per i consumatori, ma anche di una possibilità concreta per rilanciare il settore artigiano e dell’usato, creando nuovi posti di lavoro e supportando un’economia più circolare.

L'Italia recepisce la direttiva: cosa succede ora

Il disegno di legge che recepisce la direttiva è stato approvato, ma la strada per arrivare all’applicazione concreta delle regole è ancora lunga. Dopo il passaggio in Parlamento, saranno necessari decreti attuativi per definire aspetti cruciali, come:

  • i rimedi per i clienti se una riparazione non viene effettuata;
  • un sistema di sanzioni in caso di violazioni;
  • l'adesione alla piattaforma online europea dedicata alla riparazione (l’Italia non ne creerà una propria).

Entro il 31 luglio 2029, inoltre, ogni Stato membro dovrà comunicare alla Commissione europea almeno una misura concreta per promuovere la riparazione. Ma, ad oggi, in Italia non esiste alcun incentivo reale per chi opera nella filiera.

I dubbi e le richieste del settore: "Senza incentivi è una rivoluzione a metà"

Le imprese del settore elettronico e dei servizi di riparazione chiedono a gran voce chiarezza normativa, incentivi economici e formazione specifica. Davide Rossi, direttore generale di Aires e EuCer, spiega che il diritto alla riparazione deve essere inteso come diritto per i consumatori, ma anche per i tecnici e le piccole imprese che si occupano di assistenza. Oggi, uno dei principali problemi è il costo dei ricambi: spesso cambiare un componente può costare fino all’80% del prezzo del prodotto nuovo. Se non si interviene su questi aspetti – spiega Rossi – la riparazione resterà una scelta poco conveniente. Tra le proposte del settore:

  • calmierare i prezzi dei pezzi di ricambio con margini equi;
  • rendere accessibili i manuali tecnici;
  • permettere la produzione autonoma di componenti non brevettati, anche con stampanti 3D;
  • introdurre una detrazione fiscale o esenzione IVA almeno sul costo del lavoro della riparazione.

Il mercato c'è: vale 113 miliardi e può creare lavoro

Numeri alla mano, il settore della riparazione in Italia è già un colosso: secondo Confartigianato, conta 316mila imprese (di cui 237.500 artigiane), 904mila occupati e un fatturato stimato di 113 miliardi di euro. Eppure, le potenzialità sono ancora inespresse. Come spiega Marco Granelli, presidente di Confartigianato, la normativa potrebbe davvero fare esplodere questo mercato, favorendo la creazione di posti di lavoro stabili anche in aree rurali o economicamente svantaggiate, riducendo il volume dei rifiuti e aiutando le famiglie a risparmiare.

Oggi, in Europa, ogni anno 35 milioni di tonnellate di prodotti ancora funzionanti diventano rifiuti, mentre i consumatori spendono quasi 12 miliardi in più per sostituire beni che si potrebbero semplicemente aggiustare.

Cosa manca per far funzionare davvero la norma

Nonostante gli intenti positivi della direttiva, molti aspetti restano vaghi o non vincolanti. Come sottolinea Confartigianato, mancano:

  • obblighi espliciti per i produttori di rendere disponibili i pezzi di ricambio;
  • certezze sui costi e le modalità d’uso della piattaforma online europea;
  • agevolazioni fiscali che rendano la riparazione più conveniente della sostituzione;
  • norme contro l’obsolescenza programmata, pratica ancora diffusa e poco contrastata.
4 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views
Immagine

Iscriviti a Evening Review.
Ricevi l'approfondimento sulle news più rilevanti del giorno

Proseguendo dichiari di aver letto e compreso l'informativa privacy