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Emergenza lavoro

De Palma (Fiom): “Ai giovani e ai 40enni costretti a vivere nelle “camerette” dico: lottiamo insieme”

Michele De Palma (segretario generale Fiom Cgil), ospite degli studi di Fanpage.it commenta le lettere arrivate in queste settimane al giornale: “Trasformiamo questa rabbia in conflitto, il sindacato è di tutti quelli che per vivere hanno bisogno di lavorare, non solo dei più garantiti e dei dipendenti”.
A cura di Valerio Renzi
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Michele De Palma è il nuovo segretario generale della Fiom Cgil. Classe 1976, si è fatto le ossa nel movimento contro la globalizzazione e le guerra, è arrivato al sindacato in uno dei momenti più difficili per la Fiom all'apice dello scontro con la Fiat di Marchionne, arrivando a essere responsabile del settore automotive, ma anche più entusiasmanti con l'alleanza con gli studenti e la capacità della Fiom di rivendicare per il sindacato un ruolo politico. Cresciuto all'ombra di Maurizio Landini, oggi raccoglie il testimone della segreteria di Francesca Re David e si appresta a guidare le tute blu della Cgil in acque quanto mai agitate.

Ospite della redazione di Fanpage.it parliamo di guerra e pace, salario minimo, reddito e delle politiche del governo. Al segretario dei metalmeccanici abbiamo fatto leggere alcune delle tante lettere arrivate in queste settimane al giornale, che raccontanole storie di uomini e donne costretti a tornare nelle "camerette" a casa dei genitori perché hanno perso o non trovano lavoro, oppure perché pur lavorando non riesco a essere autonomi.

"L'investimento che il sindacato deve fare è dire alle persone che è necessario mettersi insieme, organizzarsi perché da soli matura la rabbia, matura l'odio ma non c'è il conflitto. – scandisce De Palma commentando le lettere –  Il sindacato deve aprire le proprie camere del lavoro e le proprie sedi. Dobbiamo organizzare tutti quelli che per vivere devono lavorare, non soltanto i lavoratori dipendenti ma quindi quelli che oggi sono inoccupati, quelli che sono disoccupati, quelli che sono precari e provare con loro ad aprire una vertenza di carattere generale sulle stabilizzazioni dei rapporti di lavoro, sul salario minimo".

E proprio il salario minimo è al centro del dibattito politico italiano grazie anche alla direttiva europea che lo impone ai paesi membri. De Palma per prima cosa fa a pezzi la vulgata sindacale che mette in contrapposizione salario minimo e il sistema della contrattazione collettiva: "Il salario minimo serve. Il valore che si genera dal punto di vista del lavoro va redistribuito per tutti, e il salario minimo è una soglia che dà la possibilità per poter contrattare degli elementi di miglioramento. Quindi non lo vedo il salario minimo come un elemento che nega la contrattazione, anzi il sindacato ne deve fare una bandiera di lotta da affiancare  condizione lavorativa e salariale delle persone.

In molti paesi europei una legge sul salario minimo funziona in maniera complementare alle regole della contrattazione, come accade in Francia o in Germania, dove "sindacato, stato e imprese negoziano attorno al salario minimo, facendo anche di questo un elemento di contrattazione a tutela di tutti i lavoratori. D'altronde un sindacalista per essere credibile non può spiegare a chi prende 5 euro l'euro che è sbagliato un provvedimento che lo porterebbe a 10 o 12 euro".

Il salario minimo dunque come elemento di rigidità che permetta di redistruibire la ricchezza, evitare il lavoro povero e rafforzare la contrattazione. Ma perché i salari in Italia sono fermi da trent'anni? Su questo punto De Palma è pronto a fare autocritica: "Sì, credo ci sia stata una responsabilità del sindacato. Ma è una questione che ha le proprie radici in una stagione ormai lontana della storia contrattuale del Paese, negli anni Novanta quando moderazione salariale era stata individuata come strumento per salvaguardare l'economia. Oggi siamo lontanissimi da quello scenario: oggi se abbiamo un aumento dell'inflazione, è perché stanno aumentando i prezzi, indipendentemente dai salari e stanno aumentando i prezzi. Oggi se vogliamo salvaguardare lavoratori e ma anche il sistema economico dobbiamo aumentare i salari".

Oltre il salario minimo un elemento di rigidità e tutela già esiste in Italia, ed è il reddito di cittadinanza al centro di un campagna violentissima da parte di parte del mondo politico e delle imprese. Secondo i detrattori del reddito questo consentirebbe una sorta di disoccupazione dorata soprattutto ai giovani, mentre gli imprenditori annaspano per trovare dipendenti per mansioni per lo più scarsamente qualificate o precarie: "Il reddito di cittadinanza non è il problema. Permette  alle persone di non essere ricattabili e di non essere in una condizione di povertà assoluta. Trovo incredibile che si lancia in un referendum per abolire il reddito di cittadinanza e non invece per tassare i profitti delle multinazionali. Forse perché la politica nel corso di questi anni ha scelto di stare dall'altro lato e mi colpisce molto che ci sono grandi maggioranze parlamentari a sostegno della guerra, grandi maggioranze parlamentari per ridurre i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. È il caso che noi quei diritti e quella centralità dei lavoratori proviamo a riprendercela. Per questo andiamo in piazza".

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