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Dall’ex Ilva a Conad, l’autunno rovente del governo: a rischio 300mila posti di lavoro

Ex Ilva, Alitalia, acciaieria di Terni. Ma anche Whirpool, Conad, Goldoni e altre ancora. Il governo è atteso da mesi difficili, mentre deve pianificare il Recovery Fund e scrivere una Legge di Bilancio. Ci sono infatti almeno 150 vertenze sul tavolo del ministro Patuanelli. Con un possibile conto che oscilla dai 250mila ai 300mila posti di lavoro. Una bomba sociale che rischia di esplodere.
A cura di Stefano Iannaccone
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C’è il Recovery Fund da programmare, una Legge di Bilancio da scrivere e l’aumento dei contagi da fronteggiare. Senza dimenticare le tensioni interne alla maggioranza da placare. Ma l’autunno del governo si annuncia caldo, anzi rovente, anche su un altro fronte: quello delle vertenze sindacali, che sono almeno 150, benché dal Ministero dello sviluppo economico (Mise) si parli di una flessione. Il conto è comunque salato: ci sono in bilico tra i 250mila e i 300mila posti di lavoro nei prossimi mesi. Il pericolo è quello di una catastrofe sociale. Peraltro nuove crisi potrebbero piombare sul tavolo del Mise, come conseguenza economica del Covid-19, rendendo più gravoso il conteggio dei lavoratori a rischio disoccupazione. Perché, spiegano a Fanpage fonti sindacali, molte aziende stanno già programmando esuberi, nonostante il blocco dei licenziamenti imposto dal governo. La previsione non è delle migliori.

In cima alla lista c’è il tavolo riguardante l’ex Ilva: ArcelorMittal aveva messo a repentaglio la stabilità dell’esecutivo con la lettera di rinuncia del novembre 2019. Lo strappo netto è stato evitato, grazie a un lavoro di ricucitura voluto dal presidente del Consiglio Conte. Al netto delle buone intenzioni, dopo quasi un anno nulla è ancora risolto. Potenzialmente, infatti, 10mila addetti potrebbero essere minacciati da una mancata chiusura della trattativa. Una cifra solo ipotetica, visto che la proprietà indiana aveva in concreto indicato 5mila esuberi. Una proposta respinta dal governo. Certo, la trattativa sembra aver compiuto qualche passo in avanti, con il sempre più probabile ingresso dello Stato, attraverso Invitalia. Ma l’intesa deve arrivare a stretto giro, perché il 30 novembre ArcelorMittal deve assumere una decisione definitiva sull’eventuale recesso. “La trattativa con Invitalia si deve chiudere prima di quella data. È necessario avviare il confronto sul piano industriale”, conferma a Fanpage Gianni Venturi, responsabile siderurgia e industria per la Fiom-Cgil. Qual è la prospettiva? “L'ingresso di capitale pubblico ci consegna un orizzonte inedito. Certo, sembrerebbe strano che subentri per gestire gli esuberi”, ragiona Venturi. Il sogno di Patuanelli è di dare un’impronta sostenibile all’azienda siderurgica, un compito non agevole perché necessita di una fase di transizione da scrivere insieme ai sindacati. Tuttavia, il segretario Fiom rileva dei punti oscuri, relativi agli incontri con ArcelorMittal: “Il confronto di merito sul piano industriale e i livelli occupazionali non è difatti ancora iniziato. Non si può nemmeno parlare di una vera trattativa”.

Ma l’ex Ilva è solo la classica punta dell’iceberg, facendo asse con l’infinita questione-Alitalia: dopo numerose operazioni di salvataggio, per la compagnia aerea tutto è ancora irrisolto. Difficile indicare quanti siano i lavoratori a rischio, mentre si tira avanti a colpi di cassa integrazione. Del resto nel 2019 il totale dei tavoli di crisi aperti ammontava a 149 casi. E di questi “102, pari al 68,5%, sono attivi da più di tre anni e 28 sono aperti da più di 7 anni”, ha puntualizzato il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, nel corso di un’informativa alla Camera. A sua discolpa il numero uno del Mise ha aggiunto: “È evidente che c’è una narrazione per cui sono esplosi improvvisamente 149 tavoli di crisi, in realtà il dato medio degli ultimi 5-6 anni è di 151”. La sottosegretaria Alessandra Todde ha rivendicato, pochi giorni fa, un calo a 120 tavoli, ribadendo che il lavoro al Ministero “non si è mai fermato”. Solo che non ci sono ulteriori dettagli rispetto all’aggiornamento del dato sulle crisi in corso. Su questo punto il deputato di Fratelli d’Italia, Riccardo Zucconi, aveva già bacchettato Patuanelli: “Sui tavoli di crisi non abbiamo il piacere di sapere esattamente quanti sono. Perché c’è una ricognizione che non è finita”.

C’è, in ogni caso, un punto fermo: nei prossimi mesi bisogna risolvere questioni spinose. All’Ast di Terni, dove si produce acciaio, ci sono 1.400 addetti in stato di agitazione. Sempre nella città umbra è aperto il tavolo della Treofan, che tocca da vicino 150 addetti. Nelle ultime ore si è profilata un’ipotesi di accordo. Ma resta, appunto, un’ipotesi. La vertenza Auchan, per la cessione dei punti vendita Conad, tira in ballo migliaia di famiglie: anche in questo caso è stato proclamato lo stato di agitazione. Meno mediatica, ma altrettanto attuale, è la vertenza della Gestione agroalimentare molisana (Gam), che mette a repentaglio 300 posti di lavoro. Il tema dello stato di agitazione riecheggia per l’eterna vertenza Whirpool, per cui i sindacati hanno chiesto un nuovo tavolo. Intanto centinaia di famiglie sono sulla graticola. A Figline Valdarno (Firenze), non è tuttora risolta la questione della Bekaert, azienda che si occupa di imballaggi: oltre 150 lavoratori chiedono una soluzione da anni. Così hanno pensato di rivolgersi con un appello al neo-eletto presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani. Dal Mise le sottosegretarie Todde e Morani hanno intanto garantito un progetto di reindustralizzazione.

Certo, due “storici” tavoli hanno intravisto la luce nelle scorse settimane, come l’ex Alcoa e l’Embraco. Ma per alcune realtà che rifiatano ci sono altre che finiscono in affanno, come la Betafence (recinzioni): gli oltre 150 dipendenti attendono delle certezze, apparse lontano al recente incontro svolto al Mise. Così come il confronto con la Goldoni (mezzi per l’agricoltura) di Carpi, con 300 posti in bilico, non è certo a un buon punto. E ancora: mille dipendenti della Italtel sono appesi a una prospettiva incerta, destino condiviso dagli 80 addetti della Yokohama. Meno drammatica la condizione dei 700 dipendenti Dema (Aerospazio): al Ministero è stata indicata una possibile soluzione, che resta da valutare nelle prossime settimane. Una situazione tutt’altro che rosea, insomma. “Il quadro generale – osserva Venturi – è molto delicato e preoccupante. L’irruzione del Covid ha acuito una condizione che già prima risentiva di un forte rallentamento generale della domanda, anche estera”.

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