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Elezioni amministrative 2023

Dai ballottaggi delle Comunali l’ennesima conferma: il vento soffia verso destra e Giorgia Meloni lo sa bene

Il centrodestra ha stravinto questa tornata di elezioni comunali, c’è poco da discutere. E Giorgia Meloni ne esce rafforzata, una volta di più.
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La premessa è sempre la stessa, ormai quasi un disclaimer: le elezioni comunali non possono essere considerate come test nazionali, visto che i risultati sono determinati in larga parte da dinamiche locali. Salvo rare eccezioni (qualcuno ricorderà le “stagioni dei sindaci progressisti"), è sempre complesso interpretare risultati locali in chiave nazionale, tanto più in casi del genere, visto l’esiguo campione a disposizione.

Detto questo, sarebbe intellettualmente disonesto non riconoscere che il centrodestra ha tutte le ragioni per parlare di larga vittoria. Se già al primo turno la compagine che sostiene il governo Meloni poteva essere soddisfatta, i ballottaggi del 28 e 29 maggio hanno regalato ulteriori sorrisi. Brindisi e Ancona strappate al centrosinistra; Pisa, Siena, Massa e il blocco siciliano confermate piuttosto in scioltezza; una sola sconfitta importante, quella di Vicenza, per qualche centinaio di voti.

Se poi aggiungiamo i riscontri dei sondaggi politici delle ultime settimane, possiamo avere un’idea più chiara di come gli italiani stiano valutando i primi mesi del governo di centrodestra e, in particolare, l’operato della presidente del Consiglio. Meloni continua a godere di grande credito, la sua popolarità non conosce flessioni rilevanti e sembra riuscire a gestire con grande efficacia comunicativa le continue emergenze che stanno contraddistinguendo la sua reggenza a Palazzo Chigi. Pur parlando pochissimo coi giornalisti, mantiene una centralità pressoché assoluta su giornali, telegiornali e spazi di approfondimento. La narrazione “Meloni aggiustatutto” continua a tenere banco nel dibattito pubblico: ovunque è un fiorire di interventi risolutivi, decisioni ponderate, situazioni “prese in mano direttamente” dalla presidente del Consiglio.

La rappresentazione di Giorgia Meloni impatta maggiormente dell’operato stesso del governo, verrebbe da dire. Mesi oggettivamente complicati, con difficoltà e problemi di ogni sorta, non hanno intaccato il consenso del centrodestra presso l’elettorato, se non marginalmente. La crisi energetica, i ritardi nella gestione del Pnrr, le contraddizioni e gli errori in provvedimenti cruciali, le difficoltà nel portare a casa le riforme necessarie, le scelte oscurantiste in tema di diritti civili e sociali, il solito teatrino della spartizione di potere: nulla di tutto ciò sembra pesare o mettere in crisi il patto elettorale del settembre scorso, anche in ragione delle scelte conservative operate da Meloni su Ucraina, alleanze internazionali e politiche fiscali.

Molte responsabilità le ha un’opposizione divisa e litigiosa come mai prima d’ora, ma vale la pena di ribadire che non parliamo solo di sondaggi o di Comunali, ma della difficoltà di intravedere uno spazio nuovo per nuove proposte politiche. Per fare un esempio, diremmo che ha ragione la destra nel dire che l'effetto Schlein ha finito col favorire i conservatori, nella misura in cui ha rappresentato un elemento di tensione per gli altri leader o presunti tali dell'opposizione. Allo stesso tempo non si poteva chiedere alla segretaria del Pd di ricomporre in pochi mesi i cocci di un fronte e di un partito devastati da anni di gestione miope e inconcludente. Ma i partiti di opposizione, veri o presunti, dovrebbero farsi qualche domanda  sul perché la destra, pur non dando brillante prova di sé in questi mesi di governo, stia conservando fiducia e consenso.

La sensazione, in effetti, è che si sottovaluti quello che è una sorta di rumore di fondo che negli ultimi anni domina la politica. C'è un vento nuovo che spira, toccherà prenderne coscienza prima o poi. Quello che in tutta Europa sta portando alla marginalizzazione del fronte progressista (al Nord come in Spagna, passando per la Grecia e la Francia), tanto per allargare lo sguardo. E che nel nostro Paese si nutre dell'incapacità della sinistra di pensarsi come alternativa non solo alla destra, ma anche al pensiero conservatore e reazionario. La certezza della sconfitta incombente, unita alla consapevolezza di non essere in grado di produrre una vera alternativa, produce così una sorta di ossimoro politico, per il quale i partiti che si muovono nel campo del centrosinistra italiano dimenticano il loro Dna progressista ed egualitario per accontentarsi di essere custodi dello status quo. Scelgono la mediazione e il compromesso a ogni costo come strumenti per il mantenimento del potere o semplicemente per autoconservarsi. Il risultato è duplice: da un lato il lento ma costante logoramento del rapporto con il proprio elettorato di riferimento (quello che ti votava perché progressista e di sinistra), dall'altro l'inadeguatezza a parlare ai nuovi emarginati, agli scontenti dello status quo. Che finiscono o per restare a casa o per considerare con favore la novità rappresentata dalla leader carismatica di turno.

Meloni lo ha capito bene e si muove con grande cautela sui dossier più delicati, costruendo poco alla volta le basi del suo potere futuro. Anche in Europa, appunto.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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