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Cos’è questa storia del ritorno del finanziamento pubblico ai partiti

La proposta di ripristinare un finanziamento pubblico ai partiti è venuta negli scorso giorni dal Pd, che nel 2013 l’aveva cancellato. Da Lega e FI ci sono aperture, ma in ogni caso non si tornerebbe al vecchio sistema. Il problema, dice chi sostiene l’idea, è che senza fondi pubblici solo chi ha soldi può fare politica, e il controllo dei gruppi economici è più forte.
A cura di Luca Pons
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Da alcuni giorni è ritornato ad accendersi il dibattito sul finanziamento pubblico ai partiti. La misura che molti anni fa aveva sollevato fortissime proteste – legate a casi di sprechi e abusi del denaro pubblico da parte delle forze politiche – era stata sostanzialmente cancellata dal governo Letta nel 2013, infatti oggi i soldi che arrivano ai partiti sono solo quelli del 2 per mille, cioè quelli che i cittadini decidono volontariamente di donare. Una pratica poco diffusa, peraltro: l'anno scorso appena il 4,2% dei contribuenti lo ha fatto, premiando soprattutto Pd, FdI e M5s.

Chi si è detto favorevole e chi è contrario alla proposta

A rimettere il tema sul tavolo è stata la vicesegretaria del Partito democratico Chiara Gribaudo, che alla Stampa ha detto chiaramente: "Serve una riforma attuativa dell’articolo 49 della Costituzione, riorganizzando le forme partitiche e tornando al finanziamento pubblico". Non è una novità assoluta, peraltro: poco meno di un anno fa l'ex ministro del Movimento 5 stelle Stefano Patuanelli aveva parlato del ritorno a un finanziamento pubblico, pur evitando "le distorsioni del passato", con gestioni "improprie e a volte illegali". L'argomentazione di Patuanelli era che "in un sistema dove il finanziamento resta essenzialmente privato si favorisce una politica di censo, per cui arriva il Berlusconi di turno che mette nel suo partito 60 milioni l’anno e fa la differenza su tutti gli altri".

Allora, Giuseppe Conte era intervenuto direttamente per chiarire la posizione contraria del M5s. Oggi, invece, gli esponenti del Movimento non si sono ancora espressi sul tema. Non solo il M5s, ma anche Fratelli d'Italia per ora non ha mostrato entusiasmo, anzi. D'altra parte, si tratta di un tema che si presta a polemiche, e iniziare a lavorarci a meno di due mesi dalle elezioni europee probabilmente potrebbe essere rischioso.

Ci sono invece delle aperture dal resto della maggioranza. Antonio Tajani, segretario di Forza Italia, ha detto non essere contrario "in principio", mentre il capogruppo al Senato della Lega Massimiliano Romeo ha dichiarato a SkyTg24: "In passato l'errore è stato dare troppi sodi ai partiti e questo ha portato varie vicissitudini, ma non si deve sempre passare da un estremo all'altro". In particolare, Romeo ha proposto di procedere individuando dei "costi standard per la politica: quanto costa un partito? Di quanto ha bisogno per continuare a esistere senza diventare schiavo delle lobby e salvaguardare la democrazia?".

Come potrebbe funzionare il nuovo finanziamento pubblico ai partiti

Sulle modalità precise con cui il finanziamento pubblico ai partiti potrebbe tornare per ora non c'è una linea chiara e condivisa, visto che le forze politiche stanno appena iniziando a sondare il terreno per capire chi potrebbe sostenere la proposta. Una proposta di legge sul tema, però, in Senato c'è già. È a prima firma di Andrea Giorgis, senatore del Pd e professore universitario di diritto costituzionale. La proposta di Giorgis prevede di garantire "l'autonomia della sfera politica dalla sfera economica" e "ridurre l'influenza della ricchezza privata dei singoli", allo stesso tempo introducendo regole più stringenti di trasparenza e democrazia interna per i partiti.

Si prevede di aumentare da 25 a 45 milioni di euro il fondo per la distribuzione del 2 per mille, e in più di cambiare il meccanismo: ai partiti non andrebbero solo i soldi dei contribuenti che scelgono volontariamente una forza politica, ma anche il cosiddetto "inoptato", cioè quello di chi non sceglie nessun destinatario. Questi soldi sarebbero distribuiti tra tutti i partiti che hanno preso almeno il 2% alle ultime elezioni, in base alla percentuale di voti ricevuti.

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