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Elezioni politiche 2022

Cosa dicono i programmi elettorali sulla violenza di genere: troppo poco e nessuno parla di soldi

I programmi elettorali dei vari partiti sulla violenza di genere dimostrano ancora una visione parziale, settaria ed emergenziale del fenomeno.
A cura di Jennifer Guerra
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Centoventicinque femminicidi del 2021 non sono stati sufficienti per rendere la violenza di genere un tema rilevante in questa campagna elettorale. Anche se ogni 8 marzo e ogni 25 novembre ci ripetiamo che la violenza sulle donne non è un’emergenza ma un problema strutturale, quando è ora di dare una struttura politica ecco che si nota tutta la distanza tra parole e fatti. Lo sottolinea anche D.i.Re, la principale rete di centri antiviolenza in Italia: “La violenza alle donne è la grande assente dei programmi in campagna elettorale”. E questa assenza pesa, perché la minaccia della violenza impedisce alle donne una piena partecipazione alla vita pubblica: spesso rende impossibile trovare un lavoro, avere un’indipendenza economica, a volte persino uscire di casa. Ma cosa propongono nel concreto le forze politiche per contrastare la violenza di genere?

Sinistra e centrosinistra

Nelle 37 pagine del programma del Pd ci sono due rapidi accenni alla violenza di genere. In particolare, si fa riferimento alla cosiddetta “sindrome da alienazione parentale” (Pas) che viene spesso citata nei tribunali per sottrarre figli a madri che hanno denunciato compagni o mariti di maltrattamenti, che a loro volta le accusano di manipolare i bambini. Il secondo riferimento è nella sezione “Diritti e cittadinanza” dove si parla di un “potenziamento delle reti e dei centri antiviolenza e misure per una più compiuta attuazione della Convenzione di Istanbul”. Tuttavia, non sono delineate proposte concrete per tali obiettivi. Come più volte sottolineato dai centri antiviolenza e da tante associazioni del settore, il Piano antiviolenza (quest’anno pubblicato con quasi un anno di ritardo) non riesce a essere pienamente applicato e i fondi destinati ai centri sono in grave ritardo: di quelli stanziati nel 2020, solo l’1% era giunto a destinazione nel 2021. Nessuna forza politica affronta in maniera esplicita il tema del finanziamento dei centri antiviolenza.

Il programma di Alleanza Verdi-Sinistra Italiana dedica ampio spazio al tema della violenza di genere, in una sezione intitolata “Il corpo femminile è inviolabile”. È apprezzabile il fatto che le politiche sul contrasto alla violenza siano presentate insieme a quelle dell’occupazione lavorativa, del welfare e in generale della partecipazione delle donne alla vita pubblica, riconoscendo l’interdipendenza di tali questioni. La coalizione prevede la piena attuazione della Convenzione ILO 190 sul contrasto alle molestie sul posto di lavoro, l’allontanamento del maltrattante anziché della vittima in caso di violenza domestica e la modifica della legge sull’affidamento condiviso, in modo da rendere chiara la differenza tra conflittualità tra i genitori e maltrattamenti. Non ci sono però riferimenti al ruolo dei centri antiviolenza o alla Convenzione di Istanbul, ma viene proposta una legge per portare nelle scuole l’“educazione all’affettività, alle differenze e al rispetto di tutte e tutti per contrastare a monte [gli] stereotipi di genere”. Il programma di Unione popolare chiede la “piena applicazione alla Convenzione di Istanbul” e il rafforzamento dei centri antiviolenza sia per le donne che per le vittime di omolesbobitransfobia.

Destra e centrodestra

Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Noi Moderati hanno presentato un unico programma, in cui ci si limita a proporre “azioni incisive e urgenti per il contrasto al crescente fenomeno della violenza nei confronti delle donne”, senza ulteriori specificazioni.

Esiste però anche un programma della Lega più dettagliato, che dedica maggiore spazio alla violenza di genere rivendicando il proprio ruolo nell’approvazione del Codice rosso, voluto fortemente dall’ex ministra leghista per la pubblica amministrazione Giulia Bongiorno. La Lega persegue un “obiettivo zero femminicidi” e punta tutto sul rafforzamento delle misure giudiziarie: in particolare propone la scorta alle donne vittime di stalking, l’arresto in flagranza per chi non rispetta le misure cautelari del Codice rosso e infine l’istituzione di sezioni di tribunale specializzate nella violenza di genere, che esistono già in alcune città italiane. Non ci sono riferimenti ai centri antiviolenza, ma si parla di prevenzione, citando le “attività di sensibilizzazione nelle scuole per combattere lo stereotipo di genere e in particolare per educare i giovani al rispetto della donna e al rifiuto di qualunque oggettivizzazione”.

Altre forze politiche

Nel programma di Italia Viva e Azione si parla di un aumento del numero assoluto dei centri antiviolenza, con l’obiettivo di arrivare a 1 ogni 10mila abitanti (anche se non si parla di fondi o finanziamenti, che già si faticano a spartire tra quelli esistenti). Si propongono inoltre il rafforzamento del reddito di libertà per le vittime di violenza, che attualmente ammonta a 400 euro al mese di cui beneficiano solo poche centinaia di donne, e alcune misure che riguardano le denunce e i procedimenti giudiziari, come il fermo immediato in caso di minacce o stalking, l’uso del braccialetto elettronico e infine la misura più discutibile, ovvero la procedibilità d’ufficio nei casi di violenza domestica o stupro, quindi anche in assenza di denuncia. Secondo i dati di D.i.Re, solo il 28% delle donne accolte nei centri antiviolenza è disposto ad affrontare il percorso con la Giustizia: la scelta di se e quando denunciare dovrebbe spettare all’autonomia decisionale delle donne, come suggeriscono tutte le esperte di violenza di genere.

Nel programma del Movimento 5 Stelle c’è un breve riferimento alla “formazione degli operatori [dei centri antiviolenza? Delle forze dell’ordine?], l’obbligatorietà e l’implementazione dei braccialetti elettronici e percorsi di recupero per i soggetti maltrattanti”, oltre che una “riforma della disciplina degli affidi”, senza che però siano illustrate le proposte attuative. Nessuno dei cosiddetti outsider (Italexit, Alternativa per l’Italia, Rivoluzione sanitaria, Gilet Arancioni, Forza del popolo, Italia sovrana e popolare) fa riferimento alla violenza di genere nei propri programmi.

I programmi elettorali non sono né esaustivi né vincolanti, ma danno un’idea precisa dell’orizzonte politico e ideologico in cui si muovono le varie forze politiche. Per avere un quadro più completo della situazione, le misure di contrasto alla violenza andrebbero valutate insieme ad altre politiche di genere, ma la tendenza generale che emerge dai programmi è ancora una volta di una visione parziale, settaria ed emergenziale del fenomeno. Si punta molto sul rafforzamento degli strumenti legislativi, che però al nostro Paese non mancano: quello che manca è la loro applicazione e l’adozione della tutela delle vittime di violenza in ogni fase del procedimento giudiziario. I riferimenti alla protezione delle vittime sono vaghi e riflettono una mancanza di dialogo con i centri antiviolenza e le associazioni del settore. Il contrasto alla violenza dovrebbe essere in cima alle priorità di ogni parte politica, ma ancora una volta viene relegato a poche righe sbrigative.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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