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Covid 19

L’appello di Boldrini alle donne: “I centri anti violenze sono aperti, non siete sole”

Le chiamate ai centri anti violenza sono calate drasticamente da quando sono entrate in vigore le misure per contenere i contagi da coronavirus. Ma non si tratta di una buona notizia: molte donne hanno paura di denunciare i maltrattamenti. In un’intervista a Fanpage.it Laura Boldrini ricorda che i centri anti violenza sono operativi: “Le donne devono sapere che se chiamano trovano qualcuno dall’altra parte del telefono pronto ad ascoltarle”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il blocco imposto a tutte le attività commerciali non necessarie e i divieti di uscire se non per motivi di lavoro o di salute, hanno costretto a casa 60 milioni di italiani, per cercare di arginare la diffusione del coronavirus. Questo periodo di quarantena, di certo non facile per le famiglie, anche per la dura prova psicologica a cui sono chiamate, può trasformarsi in un momento estremamente complicato per le donne vittime di violenze domestiche. Esistono relazioni nocive e potenzialmente a rischio, che con l'emergenza sanitaria ed economica, l'ansia per il futuro, la rabbia e la frustrazione, possono deflagrare facilmente, mettendo in pericolo la vita di migliaia di donne. Per questo l'ex presidente della Camera e deputata dem Laura Boldrini ha voluto lanciare un appello tramite Fanpage: "I centri anti violenza sono operativi, al telefono e su Skype. Le donne devono sapere che se chiamano trovano qualcuno dall'altra parte del telefono pronto ad ascoltarle".

Cosa si può fare per queste persone che vivono in questo momento di emergenza sanitaria in situazioni a rischio?

Stare in casa per giorni e giorni è un sacrificio per tutti, ma è necessario e per questo lo facciamo di buon grado. Ma ci sono alcune persone per cui stare in casa diventa pericoloso, al punto da diventare un incubo. È il caso delle donne che vivono con mariti o compagni violenti. Per loro questo è un periodo terribile, perché è molto complicato chiedere aiuto in presenza di chi le maltratta. Ed è anche complicato uscire, viste le restrizioni che ci sono, quando magari una passeggiata di un paio d'ore potrebbe aiutare a far scendere la tensione, se l'aria in casa diventasse irrespirabile. Ora invece non possono raggiungere un'amica o una parente. Le chiamate al numero anti violenza e stalking 1522 si sono drasticamente ridotte: dal 1 gennaio al 15 marzo le telefonate sono state 6283. Poi c'è stato un crollo, da quando sono arrivate le misure restrittive del governo per l'emergenza coronavirus. Che non si interpreti questo dato in modo superficiale, pensando erroneamente che questo soggiorno prolungato in casa stia facilitando la pax familiare. Questo non ci deve insomma illudere che quelle situazioni problematiche nelle famiglie siano di colpo svanite. Semplicemente significa che per queste donne è ora più difficile chiedere aiuto. Questi tempi che viviamo, in cui tutti, uomini e donne, hanno perso le certezze, accentuano gli screzi e le violenze. Se le donne non hanno nemmeno la possibilità di allontanarsi per proteggersi da un'imminente reazione dell'orco di turno, è chiaro che dobbiamo prendere in carico il problema, e fare di tutto affinché i soggetti più deboli possano essere aiutati.

Gli sportelli d'aiuto sono diminuiti, alcuni hanno chiuso per permettere agli operatori di lavorare in sicurezza. Cosa possono fare le donne? 

Il numero 1522 è disponibile 24 ore su 24. I centri anti violenza sono operativi per via telefonica. Le donne devono sapere che se chiamano c'è qualcuno che risponde dall'altra parte. Certo, mi hanno riferito che a volte gli operatori che ricevano le chiamate hanno difficoltà a capire le richieste, perché le donne parlano a bassa voce e fanno telefonate molto brevi. Ma riescono comunque a intervenire. Nel Lazio per esempio, dopo l'ascolto telefonico i centri indirizzano le donne prima alle Asl, e se non risultano positive al virus possono inserirle nelle strutture dedicate. In Toscana la Regione ha messo a disposizione ulteriori alloggi presso agriturismi. In diverse Regioni si sta studiando il modo per continuare l'attività di protezione delle donne vittime di violenza, nonostante le difficoltà. Si potrebbe trovare un modo attraverso la conferenza Stato-Regioni per armonizzare queste diverse esperienze. La ministra Bonetti e la ministra Lamorgese hanno deciso di destinare risorse aggiuntive ai centri antiviolenza affinché questi possano individuare alloggi da destinare alle donne vittime di violenza. E il costo sarà coperto con un fondo straordinario. Servono maggiori spazi perché queste donne non possono essere ammassate negli stessi ambienti, sia per motivi sanitari legati al Covid-19, sia perché in alcuni casi hanno bisogno, dopo la denuncia, di un periodo di maggiore isolamento.

Quali comportamenti può mettere in pratica ognuno di noi per rispondere a queste disperate richieste d'aiuto?

Valgono le normali regole di convivenza civile: se i vicini sentono donne che gridano o rumori di colluttazioni è buona pratica avvisare il 1522 o le forze dell'ordine. La solidarietà di comunità oggi più che mai è necessaria, perché le dirette interessate non riescono a gestire queste circostanze, non sono libere di comporre il numero telefonico e chiedere aiuto, per paura di aizzare ancora di più i loro aguzzini. Chiediamo a tutti di collaborare, a chiunque sia a conoscenza di situazioni complicate, di intervenire.

Poi c'è il problema dell'autocertificazione, necessaria per poter uscire di casa, anche per chi ha bisogno di recarsi presso uno sportello d'ascolto ancora attivo. Per una vittima di violenza è fondamentale mantenere la privacy. Come può fare?

Le forze dell'ordine sanno che una donna che denuncia una violenza ha bisogno di mantenere l'anonimato, perché rischiano anche la vita. E questa privacy è prevista anche dalla Convenzione di Istanbul. Di certo i centri anti violenza non possono diffondere le generalità di queste donne, che non possono per questo essere rintracciate.

È diventato virale in rete un video, che molti utenti hanno purtroppo trovato drammaticamente comico, in cui si vede un uomo picchiare una donna che prova a partecipare a un flashmob dal balcone. Lo ha visto?

Io trovo terrificante che si possa ridere di questa situazione, perché è evidente che c'è tanta sofferenza dietro. Se una persona non ha la possibilità di partecipare a un momento collettivo, in cui si chiede di suonare e cantare insieme, e viene maltrattata in quel modo, non capisco come questo possa generare ilarità. Quella risata cinica, e anche brutale, è segno di inconsapevolezza, e dimostra un distacco totale dalla propria umanità.

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