Consenso, in Italia un adolescente su quattro accetta atti sessuali contro la sua volontà

Quasi un adolescente su quattro, tra i 14 e i 21 anni, dichiara di aver accettato atti sessuali pur non volendoli. È uno dei dati più inquietanti e allarmanti della nuova indagine di Differenza Donna, che coinvolge ragazze, ragazzi e giovani persone non binarie. Accanto a questo emerge un altro elemento significativo: molte adolescenti e giovani adulti vivono la sessualità senza avere nessuno con cui parlarne; così, mentre cercano di comprendere il desiderio e di orientarsi nelle relazioni, lo fanno spesso da soli, guidati più da uno smartphone e da un algoritmo che da figure adulte competenti.
Il quadro che ne deriva è quello di una generazione che sperimenta, subisce, prova a trovare risposte, ma raramente trova un contesto capace di accompagnarla davvero. Nelle testimonianze raccolte compaiono ragazze che accettano comportamenti che non desiderano, ragazzi che riproducono ciò che vedono nei video pornografici, persone non binarie che subiscono livelli più alti di violenza. E poi intere classi dove foto intime circolano senza consenso come fossero semplici meme.
Una generazione che conosce insomma il sesso più attraverso contenuti commerciali che attraverso un discorso affettivo, rispettoso e formativo. E quando qualcosa va storto, quando un "no" non viene ascoltato, quando un'immagine viene inoltrata, quando un partner chiede la geolocalizzazione come fosse una prova d'amore, le nuove generazioni si ritrovano sole, senza figure di riferimento o istituzioni pronte a sostenerle.
Da questa realtà prende avvio la ricerca "Gen/Z – Giovani voci per relazioni libere", che non solo raccoglie numeri e comportamenti, ma mette soprattutto in luce un grande vuoto: quello educativo, quello degli adulti, quello istituzionale.
Consenso fragile: un quarto accetta atti sessuali pur non volendo
Come anticipato, uno dei dati più netti riguarda il consenso: il 24% afferma di aver accettato atti sessuali anche se non voleva. Non si tratta solo di coazione esplicita. Qui la pressione assume forme diverse: paura di perdere la relazione, adeguamento alle aspettative del partner, normalizzazione di comportamenti visti nella pornografia, mancanza di strumenti per nominare il proprio "no". Accanto a questo, il 34% degli intervistati dichiara di aver già subito una forma di violenza e la distribuzione appare chiara:
- Ragazze: 39%
- Persone non binarie: 65%
- Ragazzi: percentuali più basse ma comunque significative.
La violenza non è un episodio straordinario: è ricorrente, ed è variegata. Le forme più diffuse sono:
- 27% violenza verbale,
- 27% psicologica,
- 16% sessuale,
- 12% fisica.
Un mosaico che mostra come il problema non sia emergenziale ma strutturale, radicato.
Stereotipi di genere ancora radicati
L'indagine lavora molto anche su come i giovani leggono il genere e i ruoli nelle relazioni: il 43% ritiene che gli stereotipi di genere derivino da differenze biologiche, una visione che semplifica e normalizza squilibri sociali come se fossero "naturali". Tra i maschi, questa convinzione sale a uno su due. Una percentuale più bassa, tra il 3% e il 5%, assegna ai comportamenti di cura un ruolo "biologico"; numeri piccoli ma significativi, perché mostrano quanto sia ancora presente una narrazione che lega il valore sociale alla biologia invece che alle condizioni culturali.
Sessualità: i social come unica bussola, la famiglia quasi assente
Sulla sessualità, poi, i giovani crescono quasi senza adulti: il 63,5% si informa sui social, mentre solo il 3,2% trova interlocutori in famiglia. La mancanza di spazi di confronto è evidente e produce un paradosso: i comportamenti sessuali vengono costruiti più su video, meme e brevi clip che su contesti educativi.
La pornografia arriva prestissimo: il 66% dei giovani la vede per la prima volta prima ancora delle scuole medie, e non si tratta di una pornografia "neutra": il 36% ha già incontrato contenuti violenti o non consensuali. Molti ragazzi, infatti, la interpretano come un manuale e non come una messa in scena; non sorprende che il 19% riferisca di aver ricevuto richieste di replicare comportamenti osservati nei video. Non solo: tra i maschi più giovani il consumo è particolarmente frequente: il 17% dichiara di guardarla ogni giorno. A questo si aggiunge un ulteriore elemento critico: la pornografia mainstream è costruita quasi sempre dal punto di vista maschile, e quindi propone ruoli femminili passivi, sottomessi o oggettificati, normalizzando dinamiche di potere squilibrate.
Per questo, quando il 94% dei giovani chiede un'educazione sessuo-affettiva obbligatoria a scuola, non esprime un'istanza ideologica, ma la necessità concreta di strumenti minimi per comprendere il desiderio, il consenso e le relazioni in modo consapevole.
La violenza digitale di genere: un fenomeno che esiste ma che quasi nessuno sa nominare.
La parte più delicata della ricerca riguarda poi la violenza digitale: ragazze e ragazzi subiscono comportamenti vessatori online ma spesso non li riconoscono come forme di violenza; non sanno come si chiamano, non sanno come denunciarli, non sanno cosa aspettarsi. Un dato lo mostra chiaramente: il 47% crede che per evitare la diffusione non consensuale di immagini intime basti non inviarle. È l'indicatore di un problema doppio: senso di colpa interiorizzato da chi subisce e scarsa consapevolezza delle responsabilità di chi diffonde.
Gli episodi sono moltissimi:
- 43% ha ricevuto foto intime non richieste;
- 48% è stato sollecitato a inviarle;
- 23% ha vissuto una pressione diretta;
- 8% ha ricevuto minacce;
- 26% ha visto circolare foto di qualcun altro senza consenso;
- 16% ha avuto il partner che chiedeva la geolocalizzazione.
Una violenza spesso invisibile perché mimetizzata nell'idea di "normalità digitale". Come spiega Alessia D'Innocenzo, responsabile delle attività con i giovani di Differenza Donna, molti ragazzi non distinguono tra scambio consensuale di immagini e ricatto, tra condivisione e violazione. E continuano a chiamare tutto "revenge porn", un termine che però così minimizza la responsabilità e concentra l'attenzione sulla vittima.
Il grande vuoto: i giovani non sanno a chi chiedere aiuto
L'aspetto ancora più preoccupante della ricerca è poi l'assenza di una rete riconosciuta. Quando subiscono una violenza – fisica, psicologica o digitale – molte e molti non sanno a chi rivolgersi.
I numeri, anche qui, sono chiari:
- 22% non ha idea di dove chiedere aiuto,
- 36% non conosce i Centri Antiviolenza,
- solo lo 0,3% ha contattato il 1522 o un Cav dopo aver subìto violenza.
La combinazione è pericolosa: tanta esposizione, quasi nessuna protezione. È la conferma di un sistema che espone molto e protegge poco. E che lascia alle giovani generazioni il compito di gestire esperienze importanti senza strumenti, senza riferimenti e spesso senza parole.