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Opinioni

Come le grandi piattaforme come Apple e Google controlleranno le nostre azioni tramite l’assistente AI

Chi cattura la nostra attenzione online, controllerà anche la nostra intelligenza? È la domanda che bisogna porsi oggi, visto che le grandi piattaforme, come Google, Meta, Apple, Amazon, Microsoft, hanno capito che il potere digitale passa dal cosiddetto “assistente AI”.
A cura di Redazione
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Pubblichiamo di seguito un editoriale di Antonio Nicita, Ordinario di politica economica (LUMSA) e senatore Pd

C’è una nuova frontiera del potere digitale che passa dal mercato della profilazione dei dati e dell’attenzione per arrivare al mercato dei servizi dell’intelligenza artificiale. È la frontiera nella quale non solo riceviamo informazioni e sollecitazioni online, ma possiamo anche delegare azioni con grado crescente di complessità e interdipendenza: l’"intelligenza artificiale agentica" (AI agentic). Si tratta di sistemi di intelligenza artificiale capaci, quindi, non solo di rispondere alle domande, ma di agire per conto nostro: prenotare, scegliere, consigliare, decidere.

Un’AI agentica è molto più di un chatbot che risponde alle domande. È un sistema capace di agire autonomamente per conto dell’utente. Può pianificare attività, prendere decisioni, interagire con altri software o persone, e adattarsi in base agli obiettivi che le vengono dati.

In pratica, trasforma la conversazione in azione. Un’AI come Google Gemini Live può prenotare un volo o una cena direttamente dal tuo calendario, dopo aver capito le tue preferenze di orario e budget. Meta AI su WhatsApp può riassumere le chat di gruppo o creare un messaggio sintetico per rispondere a più contatti contemporaneamente. Apple Intelligence può scrivere email, creare riassunti di documenti o cercare foto specifiche senza che tu debba digitare nulla. Significa che, in un prossimo futuro, un agente AI potrà gestire spese, notifiche mediche o perfino le comunicazioni con la pubblica amministrazione.

Il mercato dell’AI agentica dipenderà da come si sta sviluppando il mondo degli assistenti AI. Oggi, le grandi piattaforme, Google, Meta, Apple, Amazon, Microsoft, e così via, stanno tutte cercando di far sì che il “loro” agente diventi quello che usiamo ogni giorno. È una nuova “trasformazione fondamentale” digitale, per dirla con Polanyi, che segnerà il potere digitale, la concorrenza, la nostra stessa libertà di scelta nel prossimo futuro.

Per vent’anni le piattaforme si sono contese la nostra attenzione, profilando i nostri dati e la nostra impronta digitale. Ci hanno insegnato a restare online, a scrollare, a cliccare. Hanno attirato la nostra attenzione offrendoci contenuti che la nostra profilazione algoritmica classifica come attrattivi. Ora l’attenzione non basta più. L’obiettivo è catturare le nostre intenzioni e le nostre azioni attraverso il cosiddetto “assistente AI”.

Se l’assistente AI è incorporato — “embedded”, come dicono gli ingegneri — dentro un servizio online ampiamente diffuso, come il motore di ricerca di Google o la messaggistica di WhatsApp e così via, ogni nostra richiesta diventa una nuova base di dati e un’occasione per rafforzare il potere di mercato.

La denuncia degli editori italiani contro Google AI Overviews

È di questi giorni la denuncia degli editori italiani contro Google AI Overviews, la stringa che genera risposte elaborate dall’intelligenza artificiale che compaiono in alto al motore di ricerca. Secondo gli editori italiani, questa risposta dell’assistente AI di Google finisce per ridurre l’attenzione, e dunque il traffico, verso i siti d’informazione citati più in basso dal motore di ricerca. Dunque, un meccanismo cosiddetto di “self-preferencing” grazie al quale gli utenti verrebbero attratti dalla risposta dell’AI piuttosto che andare a cliccare sui link di altri siti. Secondo gli editori italiani, che si sono rivolti all’antitrust, ciò configurerebbe una distorsione concorrenziale tipizzata nelle azioni del cosiddetto Digital Markets Act europeo per le grandi piattaforme online. Nel frattempo, l’antitrust italiano ha aperto un caso contro Meta AI, l’assistente generativo integrato in WhatsApp e Instagram, per verificare da un lato se i dati degli utenti vengano usati per addestrare l’AI senza consenso; dall’altro se l'integrazione forzata (e, peraltro, non disattivabile) dell’AI costituisca una strategia anti-competitiva per fidelizzare il proprio servizio. Anche Apple ha sviluppato un assistente AI integrato, Apple Intelligence, per il sistema operativo dei nuovi iPhone, che avrà accesso diretto a email, note e messaggi.

In tutti questi casi, l’innovazione dell’AI, integrata con servizi esistenti, offre da un lato un potenziale beneficio per gli utenti, espandendo la qualità e la tipologia del servizio, ma dall’altro genera nuove barriere d’ingresso per le AI concorrenti che non siano integrate con il pre-esistente servizio offerto dalle piattaforme online. Due gli svantaggi competitivi: da un lato un accesso asimmetrico a dati, profilazione, apprendimento; dall’altro una ‘cattura’ dei comportamenti degli utenti che troveranno più facile e immediato accesso ai nuovi servizi integrati rispetto al ricorso a servizi e app concorrenti, autonome e non integrate.

Il meccanismo è semplice ma il beneficio del singolo utente può trasformarsi in una cattura anticoncorrenziale, limitando così una effettiva libertà di scelta e lo sviluppo stesso di nuovi mercati. Infatti, un assistente o agente AI integrato in un servizio già usato da miliardi di persone parte in vantaggio su tutti: è già installato, già personalizzato, già connesso.

Così diventa quasi impossibile per nuovi attori entrare in competizione. E il potere di mercato dei giganti digitali non farà che crescere.

Esiste però una via alternativa: creare agenti AI personali, installati sui nostri device, liberi di muoversi tra diversi servizi e piattaforme. Un’intelligenza al servizio dell’utente, non di chi possiede il sistema operativo o il social network. È un modello “disruptive”, cioè capace di generare quella distruzione creativa schumpeteriana, tornata alle cronache con i recenti premi Nobel dell’Economia Joel Mokyr, Philippe Aghion e Peter Howitt, perché ridà spazio alla concorrenza e all’innovazione. Ma servono regole chiare per un AI aperta e decentrata: chi controlla l’agente AI non deve controllare anche il mercato in cui l’agente si muove.

Le proposte in Parlamento

È su questa linea che si sta muovendo l’Unione europea. Intanto in Senato, sono stati presentati alcuni emendamenti al Ddl Concorrenza che mirano a evitare questo rischio garantendo interoperabilità tra diversi agenti AI, impedendo che i grandi operatori li leghino esclusivamente ai propri ecosistemi e favorendo servizi indipendenti che possano competere senza passare dai colossi. Difficile, tuttavia, che il Parlamento e il Governo esaminino questi temi, spesso definiti avveniristici, data l’attenzione esclusiva ai settori tradizionali della nostra economia. Ma questo ritardo della politica è un grande errore: vent’anni fa la battaglia era sul browser, poi sui social. Oggi è sull’AI. Solo che questa volta, la posta in gioco è più alta. Gli agenti intelligenti potrebbero sì liberarci dal rumore digitale ma anche rinchiuderci in un nuovo monopolio invisibile in cui il ‘nostro’ agente vive per noi nel mondo digitale. Ma la domanda cui siamo chiamati a rispondere è: l’agente AI lavorerà per noi o per chi l’ha costruito?

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