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Elezioni politiche 2022

Come i disastri di Letta e Salvini hanno regalato a Meloni la vittoria alle elezioni

La vittoria di Giorgia Meloni è il risultato di una lunga sequela di errori, in particolare di Matteo Salvini e di Enrico Letta.
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C’è una scena molto significativa de “Il Signore degli Anelli”, che peraltro dovrebbe piacere tanto a Giorgia Meloni e alla destra italiana, che inspiegabilmente inscrive Tolkien fra i propri autori di riferimento. Quando le armate di Sauron si avvicinano inesorabilmente a Gondor, la guarnigione a difesa della cittadina degli uomini viene presa dallo sconforto. Uno dei soldati esclama: “Aveva ragione sire Denethor, da tempo aveva previsto tale disfatta”. E Gandalf, lo stregone bianco, gli risponde a brutto muso: “Previsto, ma senza fare niente”.

Ecco, se Enrico Letta dovesse mai domandarsi “come si è giunti a questo?” (sì, è un’altra citazione), probabilmente non avrebbe che da cominciare con il considerare le sue scelte e quelle dei suoi consiglieri. La strada che ha portato alla netta vittoria della destra, con lo straordinario risultato di Giorgia Meloni, è il risultato di una lunga sequela di errori, in gran parte commessi dalla leadership del Partito democratico. Se ne è discusso a lungo, il responso degli elettori ne è la conferma: è stato un clamoroso abbaglio sacrificare un lavoro di mesi con Conte, che aveva accelerato il processo di normalizzazione dei 5 Stelle e collocato i grillini su una piattaforma ambientalista/progressista che avrebbe fatto molto comodo all’alleanza di centrosinistra. Letta ha scelto di rompere con Conte in nome di Draghi, nella speranza che i cittadini si ritrovassero nella narrazione dominante sui media amici, ovvero quella del “miglior governo di tutti i tempi” affossato da irresponsabili e populisti. Non è corretto sommare adesso i voti di Pd e M5s per parlare di partita aperta, ma di certo le cose sarebbero andate diversamente in tanti collegi.

Un abbaglio, non il solo che prenderanno i dirigenti democratici in questa campagna elettorale, anche volendo tralasciare il tira e molla con Calenda (che avrebbe spostato poco o nulla, considerando che dall'alleanza sarebbe stato escluso Renzi e che molti degli elettori del Terzo Polo non avrebbero mai votato una coalizione col Pd). L'arroccamento intorno al governo e all'agenda Draghi ha evidenziato le contraddizioni dell'alleanza con Bonelli e Fratoianni, presentata dapprima come organica, poi come tattica, infine come inutile. Francamente, non ci ricordiamo di un leader che in campagna elettorale abbia anticipato la volontà di non governare assieme al suo principale alleato di coalizione.

Letta ha fallito anche nel giocare la carta dell'allarme democratico, non riuscendo a mobilitare quella parte di elettorato indecisa e sfiduciata, ma potenzialmente disposta a impedire che la destra salisse al potere con maggioranze bulgare. Nei fatti, è stato l'unico caso nella storia recente in cui la logica del voto utile non ha prodotto uno schiacciamento fra due poli, ma ha paradossalmente portato gli elettori a sostenere forze alternative. In pochi hanno pensato che potesse essere utile votare il Pd per fermare la destra, in tanti si saranno ricordati del fatto che il Pd nell'ultimo anno e mezzo con tre delle quattro forze di centrodestra ci ha proprio governato.

Questa immagine di un partito che non esiste se non come forza di governo di certo non nasce con Letta. Da anni i democratici non riescono a immaginarsi fuori dalle stanze dei bottoni, una classe dirigente completamente disconnessa dai territori, incapace di rispondere alle istanze dei cittadini. Arroccata, autoreferenziale, dunque debole.

Matteo Salvini e il crollo della Lega

L'altro grande protagonista del trionfo di Giorgia Meloni è senza dubbio Matteo Salvini. L'uomo che aveva ricostruito dal nulla il consenso della Lega, è riuscito a riportarla sotto il 10% nel breve volgere di qualche anno. È indubbio che dopo la controversa (ma per certi versi comprensibile) mossa del Papeete sia andato in confusione, sbagliando tutto il possibile e bruciando il credito di cui ancora godeva con la scelta di appoggiare il governo Draghi. Il travaso di voti dal Carroccio a Fratelli d'Italia è eclatante, specie se si considerano i risultati di alcune aree del Nord. Gli elettori hanno giudicato l'ingresso nel governo Draghi per quello che in effetti è stato: un tentativo maldestro di ottenere credibilità internazionale e di partecipare alla gestione dei fondi del Pnrr. Per oltre un anno e mezzo Salvini è stato in una posizione scomoda: marginalizzato da Draghi, tollerato a fatica persino dai ministri leghisti e scavalcato da Meloni sul piano della contestazione.

La campagna elettorale della Lega è stata una lunga e vana rincorsa. Salvini ha provato a riposizionarsi presso un certo tipo di elettorato, senza riuscire a cancellare il sostegno prima a Conte e poi a Draghi. Ma soprattutto, senza godere fino in fondo dell'appoggio dei dirigenti leghisti, che da tempo ragionano su un possibile cambio di guida al vertice e che non potevano lasciarsi sfuggire un'occasione del genere per archiviare l'anomalia Salvini.

Infatti, uno degli elementi più interessanti dei prossimi mesi sarà capire se la Lega resterà una scheggia impazzita, un fattore di instabilità della maggioranza guidata da Meloni, o se i colonnelli del Carroccio riusciranno a scalzare l'ex ministro dell'Interno, blindando così il governo a trazione Fratelli d'Italia. Per questo, l'esultanza di Salvini post voto è davvero la cosa meno credibile della giornata elettorale.

Il contesto, il vento di destra in Italia

Non sarebbe corretto, ovviamente, addebitare unicamente a un leader o un partito le ragioni della svolta a destra del Paese. Meloni ha meriti innegabili ed è riuscita a gestire una campagna elettorale complessa praticamente senza sbavature. Si è costruita autorevolezza e rispetto, riuscendo ad andare oltre le perplessità degli osservatori internazionali e i limiti della sua classe dirigente. Ha svuotato parte dell'elettorato dei Cinque Stelle, deluso dalle giravolte di Conte e dall'impreparazione della classe dirigente grillina. Ha mobilitato gli indecisi, subendo meno il contraccolpo dell'astensionismo.

Stavolta ha anche evitato di nascondere la polvere sotto il tappeto, affrontando di petto il problema che lei chiama dei "reduci e nostalgici" (noi preferiamo un più oggettivo "fare i conti coi fascisti"), fin dalla formazione delle liste. Non poteva sbagliare, non voleva sbagliare, non lo ha fatto.

È stato più semplice del previsto, diciamoci la verità. Vuoi per gli errori degli avversari, vuoi per il clima che si respira nel Paese: un misto di stanchezza e angoscia, dopo anni terribili, tra pandemia, guerra ed emergenze di ogni tipo. La gestione dell'emergenza Covid-19 ha devastato il concetto di comunità, non lo ha rafforzato. Il Paese è più diseguale e più incazzato, con sempre meno certezze. La politica si è arroccata, ha avuto bisogno di commissari ed eroi, senza che i cittadini percepissero miglioramenti nelle loro condizioni di vita. L'Italia è diventata l'avamposto di quella che Byung-chul Han chiama società della sopravvivenza, in cui l'altro è percepito sempre come un'insidia, un problema. Una società escludente, che al tempo stesso ha un disperato bisogno di risposte semplici, basilari. Meloni offre Dio, patria e famiglia e la sensazione che basti un po' di decisionismo per cavarci fuori da problemi complessi. Per gli italiani è stato sufficiente. 

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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