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Opinioni

Come Giorgia Meloni è di nuovo scappata di fronte a una sua precisa responsabilità

Sul caso Paragon Meloni, ancora una volta, fugge. Di fronte a una sua responsabilità, garantire sull’operato dei servizi di intelligence e dare risposte a cittadini e Parlamento, lei semplicemente fugge.
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Le comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio Europeo sono state tutto sommato abbastanza deludenti. Costretta ad aggiornare di volta in volta il proprio intervento e il tenore delle rivendicazioni a causa della mutevolezza dello scenario internazionale (e dell’imprevedibilità del suo alleato e mentore Donald Trump), la presidente del Consiglio si è ridotta a banalizzare la nostra linea in termini di difesa, con l’aumento vertiginoso delle spese militari, con quel “si vis pacem para bellum” che doveva essere sembrato inadeguato anche quasi due millenni fa. Non ha detto dove troverà i soldi, non ha illustrato un progetto per armonizzare gli investimenti con gli alleati europei, non sappiamo nulla di preciso su piani o tempistiche. Lo stesso canovaccio Meloni lo ha ripetuto sulle altre questioni di cui si occuperà il vertice europeo: oltre la narrazione dell’Italia che è “tornata a contare”, che “si pone come mediatrice” (dal Sahel a Gaza, ovunque e per qualunque questione), il nulla o quasi. Del resto, c’è poco da girarci intorno: la nostra presidente del Consiglio ha fatto una scelta chiara, diventare la quinta colonna trumpiana in Ue, in modo da fare dell’Italia il vero laboratorio della destra identitaria e sovranista in Europa (non sarà sfuggito il passaggio contro “gli eccessi del libero mercato”, ecco…).

Vedremo, insomma, quanto tale strategia si rivelerà efficace, per lei e per il Paese.

Nel frattempo, bisogna registrare l’ennesima fuga dalle responsabilità della nostra presidente del Consiglio. La questione è quella di cui vi stiamo parlando da mesi, ormai: lo spionaggio ai danni di giornalisti e attivisti con Graphite, lo spyware dell’azienda israeliana Paragon Solutions, acquistato a peso d’oro dal nostro governo e in dotazione esclusivamente ai servizi di intelligence. Come saprete, dopo il grottesco tentativo di seppellire la vicenda al Copasir (che ha diffuso una relazione omissiva e più che lacunosa), sono sopraggiunte novità che hanno cambiato radicalmente il quadro: l’analisi forense degli esperti di Citizen Lab ha dimostrato che il collega Ciro Pellegrino è stato senza dubbio spiato attraverso Graphite, suggerendo inoltre l’esistenza di un vero e proprio cluster Fanpage; dalle carte dell’inchiesta è emerso che l’altro giornalista avvisato da Apple di una violazione con uno spyware mercenario è Roberto D’Agostino, fondatore e anima di Dagospia. Insomma, siamo in presenza di uno scandalo di proporzioni sempre più grandi, che non a caso è oggetto di prolungate e profonde discussioni al Parlamento Europeo.

E che comincia a essere trattato anche dagli altri giornali di casa nostra (oltre ai soliti che fin dall’inizio stanno facendo un gran lavoro), secondo quello che chi scrive chiama “effetto Dagospia”. La presenza di D’Agostino tra i potenziali spiati non solo ha contribuito a risollevare l’attenzione su una questione molto sottovalutata, ma ha fatto clamore tra i corridoi dei palazzi che contano, per una serie di ragioni che potrete facilmente immaginare.

Sia come sia, Giorgia Meloni ha avuto nuovamente l’occasione di dirci cosa ne pensa. O meglio, ha avuto una nuova possibilità di rispettare quello che è un suo dovere: rispondere alle domande dei parlamentari e mostrare di operare con trasparenza a garanzia di diritti fondamentali dei cittadini. L’occasione le è stata data dall’intervento di Matteo Renzi, che senza girarci intorno le ha chiesto: “Se davvero contiamo di più (io non credo), perché, Presidente, da sei mesi a questa parte in questo Paese si spiano i giornalisti? Perché non ha avvertito il bisogno di chiamare Francesco Cancellato e Roberto d’Agostino per scusarsi? Non dico che li avete spiati voi, ma quantomeno voi non avete controllato che i giornalisti non si spiassero. In un Paese civile la politica non controlla i giornalisti”.

Di fronte a una domanda chiara (vi invito a leggere il pezzo del nostro direttore e del caposervizio di Napoli Ciro Pellegrino), Meloni ha scelto di fuggire. Nel modo peggiore possibile, come racconta Il Fatto:

Giorgia Meloni evita di rispondere sul caso Paragon. E lo fa liquidando quella e altre questioni come "nonimportanti", replicando agli interventi dei senatori durante il dibattito in Senato prima del Consiglio europeo. Matteo Renzi aveva infatti incalzato la premier sullo scandalo dei giornalisti spiati. Quando ha ripreso la parola, Meloni ha premesso che "non è questo il tempo per i toni da campagna elettorale" e che avrebbe risposto "su quello che è davvero importante". Nei minuti successivi, la premier non ha mai menzionato il caso Paragon.”

Eppure, la questione del controllo del potere sulla libera informazione non è cosa da poco. Giancarlo De Cataldo (che pure ci liquida come “gli altri”, accanto a Dago… Vabbè) scrive un lungo commento su La Repubblica in cui si meraviglia dell’assenza del caso Paragon dal dibattito pubblico, in favore di questioni interessanti ma certamente di minor rilevanza per la stabilità dei meccanismi democratici. E aggiunge una considerazione finale:

Qui da noi non consta che qualcuno abbia alzato la mano assumendosi una qualche  forma di responsabilità. I casi dunque sono tre: o gli israeliani ci hanno rifilato un software taroccato (e perché solo a noi?), o Dago e gli altri, in un sussulto masochistico, si sono spiati da soli, o qualcuno ha ordinato a qualcun altro di spiarli. Chi, e perché? Venire a capo di questo mistero, francamente, dovrebbe essere più interessante del presunto dna di Sempio. O no?”

Peraltro, l’assunzione di responsabilità continua a mancare, come ha plasticamente dimostrato la risposta del ministro Ciriani durante il question time. Cioè, risposta si fa per dire, visto che il ministro si è trincerato dietro la relazione del Copasir, un paravento ormai bucato e ha detto che non si può far altro che aspettare le indagini della magistratura.

Mentre, come ricordava Irene Famà su La Stampa, le domande sono ancora tutte sul tavolo:

“Spiati da chi? Con quale programma? Perché? Lo scandalo sulle intercettazioni illegali a giornalisti e attivisti per i diritti umani si allarga. E si amplia di nomi e punti interrogativi. […] La vicenda è intricata. Ed è un susseguirsi di accuse incrociate, sospetti, silenzi, contraddizioni”.

Le inchieste sono finalmente partite e sono in atto le procedure per avviare gli accertamenti tecnici non ripetibili. C’è però da dire che quello giudiziario è un altro percorso, certamente importante e, si spera, utile a chiarire la posizione delle vittime. Ma quello che stiamo chiedendo è un atto di trasparenza e responsabilità politica. Di fronte al quale Meloni fugge.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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