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Presidenza Trump

Coldiretti spiega perché i dazi di Trump sono una “tempesta perfetta” e che danni faranno all’Italia

Alessandro Apolito, responsabile filiere nazionali di Coldiretti, ha risposto alle domande di Fanpage.it sui dazi di Donald Trump all’Europa: che effetto potrebbero avere se entreranno in vigore il 1° agosto, quali sono i rischi peggiori per l’agricoltura e perché la risposta dell’Ue finora è stata insufficiente.
Intervista a Alessandro Apolito
Responsabile filiere nazionali Coldiretti
A cura di Luca Pons
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Il 1° agosto è il giorno in cui scatteranno i nuovi dazi decisi da Donald Trump nei confronti dell'Unione europea: tariffe aumentate del 30% su tutti i prodotti. Restano due settimane per raggiungere un accordo con convinca il presidente degli Stati Uniti ad abbassare la percentuale, altrimenti l'Italia sarà tra i Paesi più colpiti (anche se, come ricordano gli economisti, il Paese che soffre di più per i dazi è proprio quello che li impone).

Fanpage.it ha chiesto a Coldiretti, la più grande associazione di rappresentanza degli agricoltori italiani, di spiegare quali potrebbero essere gli effetti negativi se le tariffe entreranno in vigore così come sono. Alessandro Apolito, responsabile delle filiere nazionali, ha detto che gli imprenditori agricoli si trovano davanti a una "tempesta perfetta" e ha attaccato la Commissione europea, colpevole di non aver raggiunto un accordo con Trump.

Avete stimato che l'agroalimentare potrebbe subire fino a 2,3 miliardi di euro di danni diretti, per effetto dei dazi. Ci spiega come vi può colpire il meccanismo delle tariffe imposte da Donald Trump?

L'ultima volta che l'amministrazione Trump mise i dazi, nel suo primo mandato, ci fu un calo del 10% delle vendite. I dazi fanno salire i prezzi per i clienti. E se c'è un dazio del 30%, il prezzo di una bottiglia di vino sullo scaffale non aumenta solo del 30%: il costo si moltiplica nei vari passaggi che deve fare nella filiera per arrivare dall'Italia ai negozi degli Stati Uniti.

Per circa tre mesi mesi, dopo il primo annuncio dei dazi, la domanda di alcuni nostri prodotti da parte degli Usa è aumentata di colpo. Era un ‘effetto magazzino': stavano facendo scorta prima delle nuove tariffe. Ora invece c'è stato uno stop, in attesa di capire cosa succederà. Ancora più dei dazi, ci danneggia l'incertezza.

Quali sarebbero i prodotti più colpiti se le tariffe al 30% entrassero in vigore?

Nel settore del vino ci sono molti piccoli importatori negli Usa, e ci hanno già detto che stanno faticando ad avere la liquidità per pagare i dazi attuali, al 12%. Le nostre aziende, che hanno già programmato la produzione per il mercato statunitense, così si ritrovano con parecchi ordini sospesi.

Penso anche al formaggio, alla pasta farcita, alle marmellate. Sono prodotti su cui già c'erano dazi in partenza: sui formaggi attualmente sono al 15%, aggiungendo 30 si arriva al 45%. Per il Grana padano, per fare un esempio, il prezzo potrebbe arrivare a 50 dollari al chilo. Si parla di cinque dollari all'etto, è difficile da sostenere.

Il ministro dell'Agricoltura Lollobrigida, a marzo, aveva sottolineato che i prodotti italiani sono di alta qualità e difficili da sostituire per chi li compra negli Usa. Quindi un aumento di prezzo potrebbe non essere disastroso: chi è disposto a spendere 20 dollari per un vino o un formaggio italiano sarà disposto anche a spenderne 25 o 30. Cosa ne pensate?

I nostri sono prodotti di alta qualità, è vero, e per questo pensiamo di poter comunque mantenere un mercato. Però ci troveremmo ristretti a una vera e propria nicchia. Invece noi vogliamo crescere. L'obiettivo per il 2025 era arrivare a nove miliardi di euro di esportazioni. Il mercato americano è insostituibile, lì la produzione italiana è molto ricercata. E infatti, per otto miliardi di export autentico, ce ne sono quaranta di ‘Italian sounding'.

L'effetto dei dazi, e quindi l'aumento dei prezzi, può essere ancora più grave perché ci sono i prodotti del finto Made in Italy, quelli ‘Italian sounding' appunto, a fare concorrenza sleale?

Quello è il pericolo maggiore. I prodotti Italian sounding sono immuni ai dazi, perché vengono realizzati negli Usa, quindi diventano ancora più vantaggiosi per i clienti. Se le persone iniziano a considerarli un'alternativa al prodotto autentico, per noi è un'ulteriore mazzata.

A tutto questo – prezzi più alti, ordini fermi, Italian sounding, incertezza – si aggiunge il fatto che il dollaro si sta indebolendo, e la cosa penalizza chi esporta i propri prodotti negli Usa. Siamo davanti a una tempesta perfetta.

Ha detto che il mercato statunitense è "insostituibile". Nessuna possibilità di rivolgersi ad altri Paesi per aggirare i dazi e contenere i danni?

Per affrontare un mercato estero servono importatori, distributori, un piano di marketing: tutte cose che non si improvvisano da un mese all'altro. Immaginare di dirottare verso altri Paesi tutto il prodotto che dovrebbe andare negli Stati Uniti, a breve termine, è un'utopia.

C'è tempo fino al 1° agosto per convincere gli Stati Uniti a cambiare idea. Cosa vi aspettate dall'Ue?

Ieri a Bruxelles abbiamo protestato sotto la sede della Commissione europea per le scelte della presidente von der Leyen, che ci costano più dei dazi americani. Oggi dovrebbe essere presentata la proposta della Commissione sul bilancio 2028-2034, e per la prima volta dal 1962 non ci sarà un fondo dedicato solo all'agricoltura. È un segnale molto grave: veniamo messi in fondo, come avvenuto già con altre politiche.

Tornando ai dazi, cosa criticate dell'approccio europeo finora?

L'inerzia della Commissione in questa trattativa ci ha lasciati senza un accordo. L'Europa è andata incontro alle richieste degli Stati Uniti sulle spese per la difesa, e ci saremmo aspettati che questo venisse fatto pesare sul tavolo dei negoziati. Invece von der Leyen non si è spesa in prima persona, e così restiamo nell'incertezza.

Pensate che l'Ue dovrebbe varare dei controdazi per mettere pressione agli Stati Uniti?

No, i controdazi non fanno che penalizzare le famiglie europee e le imprese. Serve un accordo.

Se non lancia ritorsioni, cosa deve fare l'Europa?

Ci sono dei settori dove noi siamo deficitari, produzioni che importiamo da altre zone del mondo. Può essere essere ragionevole trovare delle strade di collaborazione con gli Stati Uniti su questo.

Aumentare le importazioni di alimentari dagli Usa?

Solo di prodotti che non entrino in competizione con quelli europei, prodotti di cui siamo carenti. Diremo sempre di no, per essere chiari, alle carni trattate con ormoni e a tutti i prodotti che non rispettano i nostri standard di sicurezza alimentare e ambientale. Bisogna partire dal principio di reciprocità: le regole che valgono per i produttori europei devono valere anche per i produttori americani che vendono qui.

Quali potrebbero essere, questi prodotti?

Il ministro Lollobrigida, ad esempio, ha parlato della soia. Oggi la importiamo dal Brasile, la si può mettere sul tavolo con gli Usa per trovare una soluzione. Quello che non possiamo fare è continuare ad aspettare Godot.

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