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Centri in Albania, Garlasco, tasse al ceto medio e consenso informato: tutte le bufale di Meloni ad Atreju

Giorgia Meloni, intervenuta oggi dal palco di Atreju, ha fatto un discorso di oltre un’ora, pieno di slogan e di fake news. Un esercizio di propaganda senza contradditorio, dai centri in Albania alla manovra, dalla lotta contro i giudici politicizzati alla difesa aprioristica del primato della famiglia.
A cura di Annalisa Cangemi
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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha chiuso l'edizione di Atreju con un lunghissimo discorso, durato più di un'ora, in cui ha citato diversi temi utili alla propaganda del governo. Un intervento infarcito di narrazioni distorte, fake news e slogan usurati urlati dal palco, come al solito senza un contraddittorio. Abbiamo messo insieme alcuni passaggi particolarmente critici del discorso, scandito da dati imprecisi o parziali.

L'evento di oggi è stato soprattutto l'occasione per evocare i tanti nemici del governo, come i giudici faziosi che ostacolano l'operato dell'esecutivo e impediscono il cammino delle riforme e delle misure previste dalla roadmap meloniana.

Se i centri in Albania non funzionano non è colpa dei giudici

Cominciamo con i centri in Albania, semi-vuoti non certo per il volere delle toghe rosse o di giudici politicizzati, ma perché l'impostazione di quel modello è contrario alle leggi italiane ed europee. Meloni ha detto di nuovo che quelle strutture per i migranti funzioneranno presto, dopo lo stop stabilito dai giudici. "I centri in Albania funzioneranno, solo che funzioneranno grazie ai giudici con un anno e mezzo di ritardo. E lo dico anche perché chi dice che si configura un danno erariale, il tema c'è signori ma non è al governo che va mossa la contestazione visto che potevamo partire un anno e mezzo fa".

Dunque Meloni ammette che potrebbe esserci un danno erariale, dopo la recente denuncia che è stata fatta anche da ActionAid: il protocollo Italia-Albania potrebbe quindi sfociare in un danno erariale al vaglio dei magistrati contabili, per l'ingente spreco di risorse pubbliche. Stando ai dati raccolti da ActionAid, gli stanziamenti definitivi per l'allestimento dei centri ammontano a 73,5 milioni di euro. In generale, per l’avvio del protocollo la Difesa ha bandito gare per 82 milioni di euro e firmato contratti per oltre 74 milioni, di cui effettivamente erogati oltre 61 milioni. Più del doppio rispetto ai 31,2 milioni di euro inizialmente previsti per i lavori. Lavori per centri praticamente inutilizzati. Ma la colpa non ricade naturalmente sui giudici, che si sono limitati ad applicare la legge, non convalidando il trattenimento dei migranti nel centro di Gjader, e smontando così quel modello. Dal 2024 diverse pronunce hanno confermato la stessa interpretazione, fino ad arrivare alla sentenza della scorsa estate della Corte di giustizia dell'Unione europea, che ha stabilito che "uno Stato membro non può includere nell’elenco dei Paesi di origine sicuri" un Paese che "non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione".

Meloni ha già stabilito che i giudici hanno sbagliato sul caso Garlasco

I giudici sono stati citati più volte da Meloni nel suo discorso, anche per rilanciare il tema dell'imminente referendum sulla Giustizia. "Mi auguro che gli italiani confermino la riforma della Giustizia al referendum. Avanti con la storica riforma della giustizia", ha detto chiudendo la manifestazione. "Votate per voi stessi e per il futuro della nazione. Votate perché non ci possa più essere una vergogna come quella di Garlasco". Ora, a prescindere dal fatto che non si capisce come il tema della separazione delle funzioni tra giudice e pm possa essere collegato alle indagini sul caso Garlasco e all'omicidio di Chiara Poggi, la presidente del Consiglio sembra aver emesso già la sua sentenza sul caso, stabilendo in pratica che c'è stato un errore giudiziario.

Dopo che nel 2015 è arrivata la condanna definitiva di Alberto Stasi – assolto in primo e secondo grado e poi condannato nel nuovo processo di appello del 2014 a 16 anni di carcere – la Procura di Pavia a marzo 2025 per la terza volta ha iscritto nel registro degli indagati Andrea Sempio, amico del fratello della vittima e attualmente unico indagato per concorso nell'omicidio di Chiara Poggi con Stasi o con ignoti. Recentemente una perizia ha stabilito che sulle unghie della vittima sono state trovate tracce di dna compatibili con i familiari maschili della linea paterna di Sempio. Ma naturalmente non ci sono nuove verità sul caso, oltre a quella giudiziaria che si conosce fino ad ora, e Meloni non ha alcun elemento che possa sostenere la tesi dell'errore dei giudici o dell'innocenza di Stasi. Ad oggi, lo ricordiamo, non è iniziato alcun processo contro Sempio, e per quanto ne sappiamo, potrebbe anche non iniziare mai.

La famiglia al centro della retorica meloniana: la premier come Salvini utilizza la storia dei bimbi nel bosco

Ma gli strali contro la giustizia italiana non sono finiti. Come aveva fatto poco prima Matteo Salvini su quello stesso palco, anche la premier ha voluto ricordare la vicenda della famiglia nel bosco, sempre in chiave anti giudici. Lo Stato che si vuole sostituire alle mamme e ai papà ha dimenticato i suoi limiti, come lo ha superato chi non si è fatto remore a difendere la decisione di mettere in comunità dei bambini che vivono con i propri genitori nella natura e poi però rimane in silenzio davanti alla vergogna di bambini che vivono nelle baraccopoli nei campi Rom, che vengono mandati a fare accattonaggio o a rubare. Sono banali principi di buon senso", sono state le parole pronunciate da Meloni questa mattina.

Dunque Meloni dice che la decisione di spostare quei bambini in comunità, insieme alla loro madre che continua a vederli, è stata sproporzionata. Ma parla appunto di "buon senso", non di diritto o di tutela dei minori. Della vicenda ci siamo occupati in diversi articoli, e chiaramente le cose sono un po' più complesse di come le racconta la premier. Sappiamo infatti che la decisione del tribunale non è arrivata di punto in bianco, per il capriccio di un giudice. Dalle verifiche dei servizi sociali erano emerse condizioni sanitarie ed educative precarie, perché la famiglia viveva in un rudere, "fatiscente e privo di utenze", sprovvisto di acqua corrente e di un bagno, munito solo di un gabinetto a secco collocato all'esterno. Inoltre, ed era questo il fatto più grave, nell'ordinanza del giudice che ha disposto l'affidamento ai Servizi sociali si parla di pericolo di "lesione del diritto alla vita di relazione", sancito dall'articolo 2 della Costituzione. I bimbi non vanno a scuola, e l'homeschooling, cioè l'educazione a casa prevista nei casi in cui i minori non frequentano la scuola, pur essendo stata conforme alle norme (secondo quando affermato dal ministero dell'Istruzione) non sarebbe stato comunque efficace. Come ha raccontato la tutrice dei minori, Maria Luisa Palladino, i bambini della famiglia nel bosco, una bambina di 8 anni e due fratellini di 6, "non sanno leggere" e starebbero imparando ora l'alfabeto. "La bambina più grande, sotto dettatura, sa scrivere solo il suo nome". Il caso non si è ancora chiuso, e il 16 dicembre, presso la Corte d'appello dell'Aquila, è in programma l'udienza per il ricorso contro l'ordinanza emessa dal tribunale dei minori. Meloni però anche in questo caso sembra aver tratto le sue conclusioni.

Meloni dice che spetta solo ai genitori l'educazione dei figli, ma dimentica le disuguaglianze

In generale la retorica di Giorgia Meloni tocca il concetto di famiglia nel suo complesso. La premier si dice contenta del provvedimento, approvato alla Camera, sul consenso informato obbligatorio che va richiesto alle famiglie per attività scolastiche che riguardano i temi della sessualità, alle medie e alle superiori. "I figli non sono dello Stato o dell'ideologia, ma delle mamme e dei papà", ha tuonato con veemenza, dicendosi "orgogliosa che il nostro governo stia difendendo la libertà educativa e il ruolo dei genitori nell'educazione dei figli, per questo rivendico con orgoglio la norma sul consenso informato per l'educazione sessuale nelle scuole, perché una volta per tutte educare i figli su materie così delicate è compito dei genitori, lo Stato non può sostituirsi alla famiglia, può sostenerla, può accompagnarla, ma niente di più". In pratica Meloni sta dicendo che il compito di educare i figli non spetta alla scuola pubblica, ma alle famiglie. Come si assicurano però le stesse condizioni di partenza a tutti i ragazzi, se alla scuola non viene permesso di entrare nel processo educativo?

Il grosso limite del ddl Valditara sul consenso informato obbligatorio, lo abbiamo sottolineato più volte, è che rischia di aumentare le disuguaglianze tra gli studenti. Nel caso dell'educazione alla sessualità, che in Italia non è una materia obbligatoria ma solo extracurriculare, come si può assicurare a tutti i ragazzi l'accesso a una corretta informazione? Meloni insomma difende a priori il primato della famiglia, ma dimentica che non sempre i genitori dispongono di strumenti economici e culturali adeguati per formare i propri figli.

Meloni dice che la sinistra non ha condannato Albanese per il "monito" ai giornalisti, ma non è vero

Nel mirino della premier finiscono anche alcune figure che il governo considera un simbolo dell'opposizione di sinistra, personaggi noti, come Francesca Albanese, relatrice speciale dell'Onu per i territori palestinesi occupati, che è stata al centro delle polemiche per la frase pronunciata dopo il raid di un gruppo di ProPal a La Stampa lo scorso 28 novembre. Meloni, nel rinnovare la sua solidarietà ai giornalisti della Stampa per l'assalto alla loro redazione, ha ricordato "le parole vergognose di Francesca Albanese, la nuova eroina a cui il Pd sta regalando riconoscimenti mentre lei partecipa giuliva a incontri con leader di Hamas, che di questo episodio ha detto che sia di monito. E i paladini della libertà di stampa muti. A sinistra hanno problema serio con il concetto di libertà".

In realtà gli esponenti dell'opposizione non sono rimasti in silenzio dopo le dichiarazioni di Albanese, e anche se Schlein e Conte non hanno citato esplicitamente quelle dichiarazioni problematiche, diversi parlamentari anche del Pd hanno preso le distanze dalle frasi della relatrice speciale dell'Onu per i territori palestinesi occupati. Il senatore dem Filippo Sensi, che ha detto di provare "orrore" per "le parole di Francesca Albanese sulla aggressione fascista alla redazione de La Stampa". Oppure Giuseppe Provenzano, responsabile Esteri del Pd, secondo cui "Non c'è nessun monito in quell'aggressione", perché "quella è violenza e ignoranza che dobbiamo respingere con forza". Anche da parte del partito di Matteo Renzi, tramite il deputato Davide Faraone, è arrivata una netta condanna: "Anche un fatto gravissimo come l'assalto alla sede della Stampa è stata trasformata da Francesca Albanese in una specie di esercizio di equilibrismo morale dove, alla fine, l'unica cosa che cade rovinosamente è il buonsenso".

Per Meloni il governo sta aiutando il ceto medio, ma i numeri le danno torto

La presidente del Consiglio ad Atreju ha rivendicato ancora una volta l'attenzione al ceto medio, ricordando il taglio della seconda aliquota Irpef, contenuto in manovra. Ma i numeri contraddicono l'ennesima autocelebrazione. "Dicono che noi favoriamo i ricchi perché abbiamo tagliato di due punti l'Irpef ai redditi fino a cinquantamila euro l'anno, perché per loro chi guadagna 2500 euro lordi al mese e magari ci mantiene tre figli e ci paga il mutuo è ricco. Noi invece abbiamo un'altra idea di chi siano i ricchi in Italia: i gruppi di potere che gestivano le concessioni autostradali, quelli che monopolizzavano determinati settori industriali, i grandi gruppi finanziari. Sono tutte realtà nelle quali la sinistra al governo ha ampiamente garantito il suo favore. Non accettiamo lezioni da chi fa il comunista con il ceto medio e il turbocapitalista a favore dei potenti".

Ma come è stato ampiamente dimostrato da diverse analisi, il taglio dell'Irpef per la seconda fascia, dal 35% al 33% fino a 50mila euro, produrrà un beneficio scarso per i redditi più bassi e piuttosto contenuto anche per quelli medio-alti. Per esempio chi ha un reddito da 30mila euro lordi l'anno, pari a circa 1700 netti al mese, si ritroverà solo 3 euro di taglio mensile alle tasse. E addirittura chi ha un reddito di 29mila euro avrà un beneficio annuo di 20 euro, cioè di 1,70 euro al mese. Una beffa.

Come ha messo in evidenza la Fondazione Nazionale dei Commercialisti, man mano che si sale nella fascia di reddito il vantaggio aumenta. La riduzione dell'aliquota dal 35 al 33% non produrrà un aumento per chi fa parte del primo gradino dello scaglione (fino a 28mila euro di reddito), mentre sopra questo scaglione il beneficio è comunque esiguo:

  • Redditi fino a 28mila euro: nessuna variazione, poiché restano nella prima fascia.
  • Redditi tra 28mila e 50mila euro: beneficio medio da 20 a 440 euro l'anno.
  • Redditi tra 50mila e 200mila euro: risparmio massimo di circa 440 euro annuali, pari a 36,7 euro al mese.
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