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Bagnanti in Libia e ONG taxi: Salvini torna a fare casino sui social

I porti sono chiusi e quindi gli sbarchi diminuiscono. Le Ong collaborano con gli scafisti e la Libia è un porto sicuro. Questi sono i messaggi che passano sui social del ministro dell’Interno, Matteo Salvini: ma i dati e i numeri dimostrano quanti problemi contengono affermazioni di questo tipo. Un fatto che costringe a riflettere sulle conseguenze della diffusione di tale retorica da parte di un’alta carica dello Stato.
A cura di Annalisa Girardi
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La sera del 15 luglio, il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, condivide sul suo profilo Twitter un articolo, che consiglia di leggere "alla faccia di buonisti e radical chic vari". Un pezzo in cui si esalta la politica dei porti chiusi, riconducendovi il drastico calo degli sbarchi, e in cui la Libia viene fotografata come un Paese in fin dei conti sicuro, dove i migranti si recano per lavorare e non per prendere la rotta verso l'Europa. Un percorso in cui poi incapperebbero a causa delle reti dei trafficanti di umani, un affare economico in cui sarebbero coinvolte anche le Ong. Se comparata con numeri e dati, tuttavia, questa serie di informazioni si trova di fronte a non pochi problemi, un fatto che costringe a soppesare gli effetti della promozione di una retorica di questo tipo da parte di un'alta carica istituzionale, rappresentata dal vicepresidente del Consiglio Salvini. Ma vediamo nello specifico che cosa afferma l'articolo in questione.

Il calo degli sbarchi

L'articolo definisce il calo degli sbarchi "un successo senza se e senza ma, certificato dal ministero dell’Interno". Se si prendono in esame dei primi dati ufficiali forniti dal governo, che mettono a confronto la fotografia generale di 2017, 2018 e 2019, questa affermazione non potrà che sembrare veritiera. Considerando un periodo che va dal 1 gennaio al 15 luglio, se nel 2017 erano arrivati alle coste italiane 93.226 migranti, quest'anno se ne sono contanti solamente 3.186. Nel 2018, invece, erano stati 17.374. Un calo netto e importante che si registra specialmente fra il 2017 e il 2018, gli anni in cui il ministero dell'Interno è passato dalla guida di Marco Minniti, titolare del Viminale durante il governo di Paolo Gentiloni, a quella di Matteo Salvini. Il dato generale, tuttavia non riflette il quadro più specifico della situazione: infatti, se si analizza la tendenza mese per mese emergerà subito che il calo degli sbarchi ha la sua origine in un momento ben anteriore all'insediamento del leader leghista al governo che, va ricordato, è avvenuto soltanto a 2018 inoltrato.

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Prendendo in considerazione i mesi centrali dell'anno, in cui gli sbarchi sono più numerosi a causa delle condizioni meteo e di navigazione maggiormente favorevoli, emergerà subito come il calo degli arrivi che si è verificato durante l'inizio del mandato di Matteo Salvini è pari, se non inferiore, a quanto stava già accadendo un anno prima. Ma vediamo i numeri. Nel mese di giugno 2017 gli sbarchi hanno raggiunto il picco di 23.526: un mese dopo questi sono diminuiti drasticamente a 11.461. Un crollo che in termini percentuali corrisponde al 51,2% in meno. Ad agosto la tendenza è continuata nella stessa direzione: ci sono stati 3.920 approdi alle coste italiane, per un abbassamento del 65,7%. Considerando i primi mesi in cui Salvini è stato ministro dell'Interno, fra giugno e luglio 2018, in termini percentuali il calo è stato pressoché lo stesso registrato l'anno precedente: con un 50,3% di sbarchi in meno, questi sono passati dai 3.963 di giugno ai 1.969 di luglio. Ad agosto, sono ulteriormente diminuiti, anche se in incidenza più lieve: 1.532 arrivi per un 22,2% in meno.

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Come sottolinea l'economista Francesco Daveri "ad oggi, il calo degli sbarchi rispetto ai picchi del passato è attribuibile per circa due terzi al ministro Minniti e per circa un terzo al ministro Salvini". In questo senso, quindi, sarebbe più corretto ricondurre la diminuzione degli arrivi all'operato del ministro Minniti, firmatario di una serie di accordi con le autorità libiche per contenere i flussi migratori. Secondo Daveri, che ha analizzato dei dati mensili dell'Unhcr, l'Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, comprensivi anche dell'anno 2016, "l'effetto Minniti vale due volte l'effetto Salvini, indipendentemente da come si valutino le politiche messe in atto dai due ministri". Una specificazione fondamentale nell'analisi dei dati. Infatti, come è stato più volte documentato, meno arrivi non è sinonimo di meno morti in mare. Se in termini assoluti i decessi nel Mediterraneo sono diminuiti nel 2018, il tasso di mortalità è invece aumentato: nel primo anno dall'insediamento del governo gialloverde è morto un migrante ogni nove, mentre nel 2017 il rapporto era di uno su 42 che riuscivano ad arrivare sani e salvi. Così come la linea di collaborazione con il governo libico per mettere un freno ai flussi migratori ha avuto risvolti discutibili in termini di diritti umani: infatti è necessario ricordare che la Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, per cui le autorità di Tripoli non sono garanti della protezione internazionale nei confronti di queste persone, e che diversi documenti ormai hanno denunciato le violenze e gli abusi commessi proprio dalla polizia libica nei confronti dei migranti intercettati nel Mediterraneo.

Porti chiusi e Ong

"I dati dimostrano anche che lo sforzo delle Ong e dei loro sponsor finanziari, politici ed ecclesiastici per far riaprire i porti italiani si è rivelato un flop totale": l'articolo citato dal ministro continua chiamando in causa le Organizzazioni che operano nel Mediterraneo, ponendole come controparte alla politica del leader leghista dei porti chiusi. "La politica dei porti chiusi funziona così bene che il business delle coop e Caritas sta andando a rotoli dopo anni di vacche grasse garantite dai governi di centro-sinistra", si legge. Tuttavia, anche in questo caso, i numeri hanno in varie occasioni smentito affermazioni di questo tipo. In primo luogo, come ha dimostrato il caso della Sea Watch 3, i porti non sono affatto chiusi. Infatti, mentre la nave della Ong tedesca rimaneva bloccata di fronte al porto di Lampedusa, oltre 300 migranti sono approdati alle coste italiane con piccole imbarcazioni. La retorica dei porti chiusi appare quindi uno strumento di propaganda politica volto a contrastare le navi umanitarie. Questo, in funzione di un'opera di progressivamente maggiore criminalizzazione delle Ong che però, anche una volta, vengono scagionate dai dati.

Infatti, come riporta il ricercatore dell'Ispi, Matteo Villa, nei primi 6 mesi del 2019 sono sbarcati in Italia 3.073 migranti (il sito del ministero dell'Interno, aggiornato al 16 luglio, ne indica 3.186): di questi, solo 248 sono arrivati a bordo di navi umanitarie. Si tratta dell'8%, afferma Villa. Il 92% restante invece, che in termini reali si traduce in 2.825 persone, è arrivato direttamente con l'imbarcazione salpata in origine, o trasportato dai mezzi delle autorità italiane dopo essere stato intercettato in mare. Considerando invece la totalità delle partenze dalla Libia, sempre prendendo in esame i primi sei mesi dell'anno, nei giorni in cui le navi delle Ong si trovavano a largo delle coste libiche sono partite 32 persone, mentre in quelli in cui non c'era nessun assetto europeo a fare ricerca e soccorso in mare, ne sono partite 34. A chi accusa le Ong di favorire il traffico di migranti, affermando che queste persone partano con la consapevolezza di essere soccorse dalle navi umanitarie, rispondono questi numeri: non è la presenza delle navi umanitarie nel Mediterraneo a incoraggiare le partenze. "La differenza tra le partenze nei vari giorni è talmente piccola da non essere significativa", spiega Villa, indicando come siano ben altri i fattori che condizionano i flussi migratori, come ad esempio le condizioni meteorologiche e l'organizzazione delle varie milizie libiche, che lucrano sulla tratta indipendentemente dalla garanzia che i migranti in partenza verranno soccorsi.

Ciò nonostante, le Ong continuano ad essere accusate di spingere i migranti a partire, e soprattutto, di collaborare con i trafficanti di esseri umani. Il 16 luglio, il ministro ha pubblicato un altro tweet sull'argomento, condividendo una video inchiesta del programma televisivo Quarta Repubblica che dimostrerebbe i legami tra Organizzazioni e scafisti. Tuttavia, ad oggi non è mai strato dimostrato un rapporto fra le due parti: "L'attività delle Ong potrebbe essere considerata illecita solo nel caso di un accordo preventivo tra trafficanti e Ong, cosa finora mai provata", ha detto il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che si è occupato di vari casi che hanno coinvolto le navi umanitarie. Lo stesso servizio a cui fa riferimento Salvini, d'altronde, non fornisce prove concrete di questi presunti rapporti con gli scafisti. Le indagini del programma, infatti si concentrano sul fatto che alcuni trafficanti contattati dai reporter di Rete 4 siano in possesso dei numeri di telefono delle organizzazioni. Ma si tratta di contatti pubblici, segnalati in rete dalle stesse Ong. Un'altra prova che dimostrerebbe la cooperazione fra Organizzazioni e scafisti sarebbe il fatto che le prime segnalino costantemente sui profili social la posizione delle loro navi, in modo da facilitare il lavoro dei secondi: anche in questo caso, però, si tratta di informazioni pubbliche. Il fatto che possano accedervi anche dei trafficanti, come chiunque altro, non dimostra certo un rapporto diretto. Senza contare che esistono anche altri mezzi online (come marinetraffic.com) per monitorare gli spostamenti di tutte le imbarcazioni presenti nel Mediterraneo in tempo reale, che non sono certo accusati di favorire le tratte di esseri umani. "È evidente che pur in assenza di rapporti diretti lo stesso trafficante possa facilmente monitorare gli spostamenti di tutte le Ong", si afferma poi nell'inchiesta condivisa da Salvini, andando in ultima istanza a mettere in discussione quello che dovrebbe però essere il punto centrale del servizio: la dimostrazione di un legame diretto fra Organizzazioni e scafisti.

Una dichiarazione congiunta di Unhcr e Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) ha chiesto espressamente agli Stati membri dell'Unione europea di non criminalizzare o ostacolare il lavoro delle Ong in mare: "In passato, le imbarcazioni degli Stati europei che conducevano operazioni di ricerca e soccorso hanno salvato migliaia di vite, grazie anche alla possibilità di effettuare sbarchi in porti sicuri. Esse dovrebbero poter riprendere a svolgere questo compito vitale e si dovrebbe istituire con urgenza un meccanismo di sbarco temporaneo che consenta una condivisione di responsabilità a livello europeo. Le navi delle Ong hanno svolto un ruolo analogamente fondamentale nel Mediterraneo e non devono essere penalizzate per il soccorso di vite in mare".

Oltre a non portare prove concreta sui legami che potrebbero incriminare le Ong, l'inchiesta condivisa dal titolare del Viminale, ad un certo punto afferma totalmente il contrario. Infatti, il migrante sentito da Quarta Repubblica, raccontando il suo viaggio verso l'Italia con gli scafisti, afferma di aver preso il largo sotto gli occhi delle autorità libiche: "La mafia libica lavora con la polizia: danno alla polizia soldi perché non fermino le navi dei migranti in mare. Quando siamo arrivati sulla spiaggia, per salire sulla nostra barca, le autorità libiche ci hanno visto, ma i trafficanti ci hanno detto che non c'era problema, che avevano un accordo per cui queste autorità erano state pagate per non intervenire". Condividendo questa stessa inchiesta anche su Facebook, Salvini ha scritto: "Lo ripetiamo da anni: chi difende le Ong alimenta il business dell'immigrazione clandestina e questo filmato lo dimostra ancora una volta, alla faccia di quei parlamentari che vanno a dormire sulle imbarcazioni fuorilegge". Ma non sembrerebbe proprio così. Anzi, dal video emergerebbe che a permettere la tratta di esseri umani sia piuttosto chi riconsegna i migranti alle autorità libiche. Anche la dichiarazione dell'Onu mette in guardia contro gli organismi libici, affermando la necessità di "interrompere qualsiasi forma di sostegno" nel momento in cui si attesti che i diritti umani non vengono rispettati.

La realtà in Libia

E in Libia, dove è in corso una guerra civile che dall'inizio degli scontri al 15 luglio scorso ha provocato 1.093 morti, di cui oltre un centinaio di civili, i diritti umani non possono essere garantiti. Un conflitto che risulta essere ancora più pericoloso per le persone più vulnerabili, come i migranti, spesso intrappolati in centri di detenzione in cui violenze e maltrattamenti sono all'ordine del giorno. Ma nonostante ciò, un ministro della Repubblica condivide nei suoi canali social un articolo in cui si scrive che "le spiagge di Tripoli, lontane dalle limitate aree di battaglia, risultano in questi giorni affollate di bagnanti" e secondo il quale il conflitto è descritto con "toni esagerati" e "allarmismo eccessivo". Il pezzo chiama in causa l'indagine dell'Oim sul monitoraggio dei flussi migratori per sottolineare come "la Libia sia un Paese sicuro, forse non per i tecnici della Farnesina, ma almeno per il team dell'Oim che lo ha attraversato in lungo e in largo" per stilare il report. Una strumentalizzazione del lavoro dell'Organizzazione che la settimana scorsa ha invece, per l'ennesima volta, affermato: "Bisogna fare tutto il possibile per evitare che le persone soccorse nel Mediterraneo vengano riportate in Libia, Paese che non può essere considerato un porto sicuro".

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