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Per ogni occidentale lavorano cento schiavi

Sono 27 milioni gli schiavi di tutto il mondo e il loro lavoro contribuisce a costruire praticamente ogni oggetto che compriamo e di cui disponiamo. Sulla coscienza di ciascun occidentale grava il peso di un centinaio di individui, vittime di sfruttatori e trafficanti di esseri umani.
A cura di Nadia Vitali
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Sono 27 milioni gli schiavi di tutto il mondo e il loro lavoro contribuisce a costruire praticamente ogni oggetto che compriamo e di cui disponiamo. Sulla coscienza di ogni occidentale grava il peso di un centinaio di individui, vittime di sfruttatori e trafficanti di esseri umani.

A dispetto di quanto crediamo, le nostre usanze non devono essere cambiate di molto negli ultimi secoli; così, se prima esistevano degli individui la cui vita era segnata fin dalla nascita dall'ingrato destino della schiavitù, su che base potremmo smentire la loro esistenza al giorno d'oggi? Cosa ci farebbe credere di vivere in un mondo migliore, se pensiamo che attualmente al mondo esistono 27 milioni di schiavi, per i quali, forse, miglior sorte sarebbe stata non venire mai al mondo?

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani già nel lontano 1948 riconosceva che nessuno poteva essere tenuto nello stato di schiavitù e che schiavitù e tratta degli schiavi sarebbero state proibite, in qualunque forma esse si sarebbero manifestate; cionondimeno al mondo esiste uno sconfinato esercito al lavoro per noi, privilegiati occidentali che disponiamo inconsapevolmente di oggetti prodotti da esseri umani, molto spesso bambini, servi prigionieri di aguzzini dall'Africa all'Asia.

Un'indagine condotta dall'organizzazione Slavery Footprint ha calcolato il numero di persone, per ogni occidentale in possesso di oggetti estremamente diffusi nel mondo industrializzato, che lavorano in condizioni di  sfruttamento, senza remunerazione e nell'impossibilità di potersi ribellare. Il numero è stato determinando analizzando i processi di lavorazione che portano a circa 400 prodotti tra i più comuni, tenendo in considerazione i casi in cui si ricorre esclusivamente al lavoro di schiavi, quelli in cui gli schiavi costituiscono una risorsa alternativa, quelli in cui contribuiscono in parte alla realizzazione finale, a seconda dei paesi.

Il numero finale è allarmante: facendo una media, considerando uno stile di vita occidentale che comprenda, ad esempio, l'uso di un computer portatile, di un certo paio di scarpe, di una bicicletta o di un pallone, di abiti o anche di determinati cibi, quello che emerge è che ciascuno di noi può «vantare» un centinaio di schiavi che, in qualche infame e remoto angolo di mondo, sta lavorando per il nostro benessere o, meglio, per il nostro consumismo.

Un dato che fa rabbrividire e che, tramite la sensibilizzazione dei consumatori, dovrebbe giungere a fare pressioni sulle multinazionali, vere responsabili principali di questa amara realtà: questo negli obiettivi di Slavery Footprint che, per adesso dispone di un'applicazione web che ci permette di sapere quanti oppressi sono alle nostre dipendenze ogni giorno, aspettando quella per telefonino grazie alla quale sarà possibile conoscere quali aziende ricorrono maggiormente al lavoro di schiavi, creando finalmente una rete di protesta contro questa barbarie che, nel XXI secolo, fa ancora 27 milioni di vittime.

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