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Omicidio Yara, la moglie di Bossetti: “Gli credo e non divorzierò mai”

Marita Comi, moglie di Massimo Bossetti, ha dichiarato: “Gli credo. Non divorzierò neppure se la pena dell’ergastolo dovesse essere confermata in appello e in Cassazione”.
A cura di D. F.
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Marita Comi, moglie di Massimo Bossetti, il muratore condannato in primo grado per l'omicidio di Yara Gambirasio, non divorzierà dal marito, a cui continua a credere ciecamente. A confermarlo è stata la donna, che ha rilasciato una lunga intervista al settimanale ‘Gente' che uscirà in edicola domani, 24 giugno. "A pochi giorni dall'inizio del processo d'appello per l' assassinio di Yara Gambirasio – anticipa il settimanale – Marita Comi rilancia la richiesta di ripetizione del test del Dna e accetta di parlare anche di argomenti ‘difficili' come i tradimenti coniugali, le lettere di Bossetti a una detenuta, le ricerche su siti porno di cui si discusse al processo di primo grado, dei rapporti con la suocera Ester Arzuffi, ormai interrotti ‘perché', sostiene, ‘nel momento del bisogno più acuto né io né i miei figli abbiamo potuto contare su di lei'". La donna inoltre confida che mai divorzierà dal marito, neppure se la pena dell'ergastolo dovesse essere confermata in appello e in Cassazione". Alla domanda se un nuovo test del Dna, qualora venisse concessa la ripetizione, confermasse che la traccia biologica sugli slip di Yara fosse di Massimo Bossetti, rivedrebbe il giudizio sul marito, Marita Comi risponde: "No. Vorrebbe dire che lo sbaglio è altrove".

Bossetti condannato all'ergastolo in primo grado

Massimo Bossetti, arrestato il 16  giugno di tre anni fa, è stato condannato al termine del processo di primo grado lo scorso luglio. Secondo la corte d’Assise di Bergamo è stato lui a uccidere la giovanissima Yara Gambirasio. Secondo i giudici è ragionevole “ritenere che l’omicidio sia maturato in un contesto di avances a sfondo sessuale”, verosimilmente respinte dalla vittima, che all'epoca dei fatti aveva appena 11 anni. A provare la colpevolezza di Bossetti è, secondo i giudici che lo hanno condannato all’ergastolo, la presenza del suo profilo genetico sul corpo di Yara.

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