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“TikTok è il loro reality: lì camorristi sfoggiano il lusso e lo usano come i narcos”

Fanpage.it ha intervistato Marcello Ravveduto, storico e studioso della comunicazione mafiosa, sull’uso di TikTok da parte dei camorristi.
Intervista a Marcello Ravveduto
Docente universitario, esperto di sistemi di comunicazione delle mafie
A cura di Nico Falco
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Frame dei video contro i Calone-Marsicano di Pianura
Frame dei video contro i Calone-Marsicano di Pianura

TikTok negli ultimi tempi si è affermato come la piattaforma preferita da rampolli dei clan di camorra e da piccoli criminali, che tramite i video si costruiscono una immagine social sfoggiando lusso o lanciando intimidazioni e messaggi agli altri clan. È il caso, per esempio, del figlio di un boss dell'area ovest, che anche negli ultimi giorni ha pubblicato video per mostrarsi mentre festeggia in barca, o degli scontri tra clan a Pianura, dove dopo il rinvenimento del corpo del 27enne Andrea Covelli sono comparsi video, con tanto di ultimatum alle forze dell'ordine, che accusavano esplicitamente dell'omicidio il clan Calone-Marsicano-Esposito (colpito, come i rivali dei Carillo-Perfetto, dalle misure cautelari eseguite ieri dalla Polizia di Stato). Ed era stato il caso di Sabino Edificante, famoso su TikTok come "‘o Malese", che mostrava in video come truffava anziani.

Su questo fenomeno Fanpage.it ha intervistato Marcello Ravveduto, docente di Digital Public History alle Università di Salerno e di Modena e Reggio Emilia, è tra i principali studiosi dei sistemi di comunicazione utilizzati dalle organizzazioni mafiose e in particolare dei rapporti tra queste realtà criminali e l'immaginario collettivo.

Professor Ravveduto, per quale motivo i camorristi hanno abbandonato Facebook per spostarsi su TikTok?

Facebook ormai è come la tv generalista. Instagram è come sfogliare una rivista. TikTok è il reality show: è quello che dà possibilità di raccontare il proprio mondo senza più intermediazione e in prima persona. È lì che si sviluppa a pieno il social cast, il broadcast yourself. Per la prima volta queste persone si raccontano da sole, fanno un'auto rappresentazione del proprio mondo. TikTok, a differenza degli altri, si presenta come una piattaforma di contenuti più che come social. È un canale di comunicazione.

È una scelta già osservata in altri contesti criminali?

Con TikTok sta accadendo qualcosa di inedito: la camorra sta cominciando a seguire i criteri i modi di comunicazione che utilizzano i narcos messicani. Il Cartel de Jalisco Nueva Generacion si sta strutturando così: il dialogo e lo scontro tra cartelli passa attraverso la dichiarazione sui social, su TikTok in particolare. Significa che oggi il controllo del territorio reale passa anche attraverso il controllo del territorio virtuale e della rete dei contatti.

Sabino Edificante, noto su TikTok come 'o Malese
Sabino Edificante, noto su TikTok come ‘o Malese

Spesso vengono veicolati dei messaggi mafiosi, anche insulti, dichiarazioni di guerra tra i clan.

La minaccia sui social, la rivendicazione, sono atti comunicativi tipici del terrorismo. Così come le bombe e le stese. Violenza che serve per comunicare qualcosa. Un tempo le Brigate Rosse facevano con i famosi comunicati. Accade perché la camorra ha sempre avuto un elemento di comunicazione molto prossimo alla visione terroristica: già negli anni ottanta la camorra faceva i volantini di minaccia per le estorsioni e rivendicava gli attentati.

Perché la scelta di usare i video è così efficace?

Loro hanno compreso che ci sono tre aspetti legati alla comunicazione sui social. Il primo è che c'è una rete di contatti, composta dal territorio che si è virtualizzato, che li legge o li guarda. Il secondo, che ci sono le forze di polizia che li seguono. Il terzo è che ci sono i giornali che li amplificano. Anche questo è tipico delle forme di comunicazione terroristica.

Questi messaggi hanno dato il via anche a video girati da persone che si mostrano come camorristi ma che in realtà non lo sono.

L'aspetto emulativo ci fa capire che quel modo di comunicare e di rappresentarsi viene visto dagli altri come segno di appartenenza ad un dato mondo. Quindi, copiando quel modo di comunicare, c'è un senso di appropriazione di un certo carisma. Anche durante il periodo del terrorismo c'erano i falsi comunicati delle Brigate Rosse o di persone che inventavano forme di violenza e comunicazione per dire che appartenevano a quel mondo.

Una sorta di marketing criminale come quello alla base del clan Sibillo, che negli anni si è costruito una reputazione che va ben oltre quella di mero gruppo satellite dei Contini.

Il caso dei Sibillo è emblematico. È tutta comunicazione. Si fonda sul fatto che Emanuele Sibillo è stato trasformato, col busto e con gli elementi legati alle replicazioni sui social; è diventato un elemento centrale all'interno della ristrutturazione della comunicazione delle giovani generazioni della camorra. Il baby boss è stato il primo a comprendere che bisognava comunicare in un modo diverso per essere camorristi nel 21esimo secolo. Così come negli anni '70 Cutolo aveva capito che era necessaria una capacità di comunicare in pubblico in maniera diversa.

Il canale comunicativo non sembra però avere lo stesso appeal per altre organizzazioni criminali, come la Mafia siciliana o la ‘ndrangheta. Per quale motivo?

Noi oggi abbiamo solo due mondi più esposti da questo punto di vista: i camorristi e le famiglie criminali rom a Roma. Questo ci fa capire che c'è un pezzo di criminalità organizzata che ha una struttura metropolitana molto forte e che ha una sua cultura autoctona di carattere metropolitano e con un elemento di comunicazione da sempre diverso rispetto alle altre. Bisogna capire fino a che punto questo riguarda solo alcuni clan o se può determinare un cambiamento della comunicazione delle organizzazioni mafiose in italia.

Quale è l'aspetto fondamentale della comunicazione tramite video e su TikTok?

Se ci sono persone che, pur non appartenendo a quel mondo, vogliono dimostrare di esserne parte magari con auto a noleggio, sfoggiando orologi falsi e mostrandosi mentre spendono, significa che c'è un elemento di emulazione. L'elemento fondamentale è il lusso, che non è reato. Il lusso è la dimostrazione del fatto che loro sono una elite: quando sei una elite non conta più se sei criminale o meno, conta se hai i soldi.

Se entri nel trend del lusso su TikTok, trovi la modella con lo champagne e subito dopo il figlio del camorrista che sfila alla sua festa di 18 anni. È un elemento di normalizzazione, significa "noi siamo ricchi come sono ricchi gli altri". I rampolli dei clan sono oggi lo switch di un nuovo modo di comunicare: oggi si utilizzano i racconti, si fa leva sull'immaginario, mostrano quello che vogliono far vedere.

Il figlio del boss Esposito si fa fotografare prima di consegnarsi alla Polizia
Il figlio del boss Esposito si fa fotografare prima di consegnarsi alla Polizia

Si parte dal lusso, ma il fine è sempre accrescere la potenza criminale sul territorio.

Sfoggiando il lusso anche i clan meno influenti si costruiscono una dimensione di nobiltà, di crescita. Se io sono nuovo sul territorio ho bisogno di fare marketing, quindi uso i social per spacciarmi per un clan molto più potente, allo stesso modo con cui uso gli atti di violenza per far paura. I figli dei boss stanno cercando di costruire una identità della famiglia, di curarne l'immagine criminale. Come un'agenzia di comunicazione, mentre dei reati si occupano gli altri del gruppo. Loro si vedono come un'impresa.

Eppure, sui social mostrano anche quando vengono arrestati, si fanno vedere in manette o mentre sono ai domiciliari. Per quale motivo l'ostentazione anche di questi momenti?

La galera è una parte centrale della loro vita: per scontato danno due cose, il carcere e la morte. L'arresto viene visto come un elemento di crescita e di passaggio. C'è ragazzo che su TikTok fa la parodia del giovane criminale, che mostra chiaramente questo aspetto, quando dice che vuole andare in galera e restarci venti anni così il figlio lo crescerà la fidanzata. Quando si arriva a fare la battuta, il paradosso, significa che è diventato un dato strutturato della realtà. Queste giovani generazioni criminali sanno che morire o finire in carcere fa parte del gioco, lo stesso gioco che gli consente di avere champagne e Lamborghini.

Crede che TikTok possa in qualche modo bloccare questi messaggi?

TikTok può bloccare sulla base di alcune parole che vengono lette dall'algoritmo. Questi personaggi sanno però che, fin quando non usano termini volgari, hate speech, incitazioni alla violenza, razzismo o body shaming, non corrono il rischio. Parlano in dialetto, e questo è un altro problema per l'algoritmo. E poi mostrano il lusso, ma quello è lo stesso lusso della supermodella o dell'imprenditore: come fa un algoritmo a capire che quel Rolex al polso ha un significato diverso se mostrato da Briatore e da Gianluca Vacchi, o dal figlio del boss di camorra?

I camorristi stanno così normalizzando certi messaggi che passano sotto la categoria del lusso. Se cerchi su TikTok video con l'hashtag "mafia" vedrai che ti uscirà anche il lusso: il vestito elegante, il cappello alla moda, l'auto potente. Dal punto di vista del racconto globalizzato la mafia è un brand, che racconta il lusso. Perché la mafia è italiana e l'Italia è il paese dell'alta moda e delle auto sportive.

Cosa sarebbe auspicabile per cercare almeno di rallentare la diffusione di questi messaggi?

Sicuramente TikTok non vorrebbe mai essere identificato come il social dei camorristi. Potrebbero fare una formazione specifica sui linguaggi che vengono utilizzati dalle mafie, organizzare un controllo umano che sappia riconoscere anche i contesti. Che sia in grado di capire che l'emoticon della siringa con la goccia di sangue può anche significare "siamo fratelli di sangue", o che l'hashtag Es17 sta per Emanuele Sibillo.

Non un controllo automatizzato, ma fatto da persone che possano anche guardare i profili e verificare se ci sono altri messaggi dello stesso tenore. Si dovrebbe costruire nel tempo un rapporto più stretto tra la Direzione Nazionale Antimafia e queste piattaforme. E allo stesso tempo si potrebbe pensare di inserire nel codice penale il reato di apologia mafiosa, che ad oggi non è previsto. Senza arrivare ad una censura netta, che non è mai auspicabile, ma almeno raggiungere un equilibrio che preservi la libertà di espressione. Allontanare certe persone dai social non è la soluzione: troverebbero un'altra piattaforma per comunicare.

L'ultimatum alla Polizia dopo la morte di Andrea Covelli
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