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“Sao ko kelle terre..”: nel Placito Capuano del marzo 960 “nasceva” il volgare italiano

Il Placito Capuano risalente al marzo del 960 dopo Cristo è il primo documento scritto in volgare, e segna per la prima volta il suo ingresso anche nei testi colti. “Sao ko kelle terre…”, la formula in una sentenza di un tribunale longobardo sancisce per la prima volta la fine del latino anche nei testi ufficiali, in favore della lingua parlata dal popolo.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Risale al marzo del 960 dopo Cristo uno dei primissimi documenti che attesta come il volgare italiano stava ormai prendendo definitivamente il posto del latino anche nei documenti ufficiali. "Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti", recita il placito di Capua, il primo documento scritto in lingua volgare: poche parole quelle che vennero trascritte all'interno della sentenza di un giudice del tribunale di Capua. Ma un segno evidente che ormai il latino stava iniziando a lasciare il posto al volgare, inteso appunto come "lingua del volgo", ovvero del popolo.

La sentenza riguardava una lite per i confini di una proprietà, e vedeva coinvolti i monaci di un monastero benedettino ed un piccolo feudatario del posto, Rodelgrimo d'Aquino. Il monastero era stato distrutto nell'885 durante una incursione dei saraceni, ed era sorta così una disputa di confini tra Capua, Sessa Aurunca e Teano. Il giudice Arechisi chiamò così a testimoniare alcuni "notabili" del posto (chierici e notai), che indicarono dunque a chi appartenessero appunto le terre oggetto di contesa. A fronte delle testimonianze raccolte, il giudice diede poi ragione ai monaci Benedettini.

"Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti", recita il placito registrato a Capua nel marzo 960. Una frase che si capisce anche oggi e piuttosto semplicemente, da chi parla italiano. La sua importanza è fondamentale per capire come, appena quattro secoli dopo la caduta dell'Impero Romano, il latino stesse ormai lasciando il posto al volgare anche negli atti ufficiali, e non solo tra il popolo. Il placito di Capua, assieme a quelli di Sessa Aurunca e Teano, (risalenti a marzo, luglio e ottobre del 963 dopo Cristo, quindi tutti registrati tre anni dopo) furono poi detti complessivamente "Cassinesi", perché riscoperti nel Settecento all'interno del Monastero di Cassino, dallo storico ed archivista Erasmo Gattola.

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L'importanza del Placito Capuano sta nel fatto che si tratta del primissimo documento in linea temporale scritto in linguaggio volgare che vuole tuttavia essere dotto e ufficiale. Altri documenti, ritrovati ad esempio a Lucca ed a San Vincenzo al Volturno, pur risalendo a pochi decenni precedenti (il secondo, addirittura, ad appena 25 anni prima), contengono la stessa formula ma ancora in latino. Segno, dunque, che in quei 25 anni vi sia stata una ulteriore accelerazione del volgare. Da sempre, il primato del Placito Capuano è messo in discussione dal cosiddetto "indovinello veronese", che risale all'inizio del VII secolo dopo Cristo, circa un secolo e mezzo prima del Placito di Capua. Ma i filologi sono ormai concordi a ritenere quello veronese più un esempio di "tardo latino" che di "primo volgare".

Solo nel Placito di Capua, infatti, emergono tutte le caratteristiche tipiche dell'ormai già avvenuto passaggio dal latino al volgare. E così, con una piccola frase di un giuramento all'interno di una sentenza, è possibile datare con precisione che già nel marzo del 960 avanti Cristo, il volgare italiano era entrato anche nel linguaggio dotto. E che dunque la grandezza e l'importanza del Placito di Capua nel campo storico e linguistico, è attualmente senza eguali.

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