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Perché “Così Parlò Bellavista” resta bello e attuale: analisi del film che compie 40 anni

Luciano De Crescenzo descriveva Napoli come “l’ultima speranza che ha l’umanità per sopravvivere” nel 1984. E oggi mi sembra ancora di grande attualità.
A cura di Redazione Napoli
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di Fiorella Taddeo

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Ci sono libri, canzoni, film che più di altri riescono ad imporsi nel linguaggio, negli usi, nell’architettura comportamentale di una comunità. Sono trasversali, sono al loro agio con il passare delle generazioni riuscendo nell’impresa di presentarsi come punti di incontro tra sensibilità, culture, percorsi diversi.

In una parola, sono popolari, non solo perché sono riusciti a conquistare un ampio pubblico, ma perché ne alimentano la costruzione di un’identità sociale e sentimentale. Ho sempre pensato che una delle opere che è riuscita ad assumere questa dimensione e che l’ha conservata a distanza di anni è stata senza dubbio “Così parlò Bellavista”, primo film di quel maître à penser di eleganza mediterranea che è stato il nostro Luciano De Crescenzo.

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Lo dico da napoletana, certo, perché la pellicola parla della mia città e ne omaggia l’anima e le anime. È diventata una citazione costante. Ma ha anche contribuito a far conoscere lo spirito partenopeo, un certo approccio alla vita, strappando sorrisi anche al di fuori dei confini urbani.

Avevo pochi, pochissimi, anni di vita quando venne per la prima volta proiettato nelle sale cinematografiche, iniziando quel viaggio nell’immaginario collettivo che lo ha fatto diventare una pellicola cult. La prima visione non è stata dunque quella sul grande schermo, ma quella, qualche tempo dopo, frammentata tra tv locali e le “cassette” inserite nel videoregistratore. Con le battute del film che ti raggiungevano di rimando trasportate dai discorsi divertiti degli adulti. E, qualche anno dopo,  amplificate dalle chiacchiere leggere di noi amici, ormai cresciuti.

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Ogni personaggio, scena,  massima di “Così parlò Bellavista” sono diventati non solo una spassosa carrellata di buonumore a cui riportare il pensiero sorridente, ma hanno permeato il nostro quotidiano, fornendoci parole nuove, battute con cui spiegare con più immediatezza una situazione o un carattere, e chiavi di interpretazione per capire la città, sì, ma anche le dinamiche umane. Credo che quando nella vita reale si iniziano a usare immagini e linguaggi presi in prestito da un’opera di ingegno, si realizza la meraviglia, l’eccezionalità dell’espressione artistica, capace di creare sentire condiviso.

Poter finalmente vedere quello che ormai è divenuto un classico della commedia italiana per la prima su un grande schermo, grazie alla dolce serata organizzata al cinema Posillipo da chi ha voluto bene a Luciano De Crescenzo, ha lavorato con lui, ne ha condiviso un pezzo di vita, è stato il tassello che mancava in questo viaggio intorno al film.

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Come me in tanti hanno ricercato la visione collettiva, quell’esperienza di comunità che solo la sala cinematografica può dare nel far convergere e unire, nello stesso luogo, le emozioni e le riflessioni di individualità separate. Atto che nei nostri tempi significa anche mettere da parte per un certo frangente della giornata i singoli piccoli schermi in cui riversiamo comunicazioni, lavoro, relazioni e intrattenimento, a favore di una cornice comune sul mondo, sul pensiero, sulla società.

E su una città. Perché “Così parlò Bellavista”, nel suo raccontare storie e persone di Napoli, con una narrazione divenuta iconica, ne offre un ritratto peculiare, fotografando con solida e seria levità le contraddizioni, la poesia e i demoni, la commedia e il dramma che persistono nel capoluogo partenopeo, la sua capacità di essere una realtà unica, uguale solo a sé stessa e, al contempo, di essere cosmopolita, di arricchirsi con le diversità, di abbracciare le mille sfumature umane diventando così universale.

Una città – teatro, che significa comunità, come la stessa sceneggiatura sembra suggerire, in cui il mettere in scena la vita, con la sua intrinseca ironia e autentica carica di umanità, può essere un modo per cercare risposte a quegli “interrogativi inevasi” che l’esistenza impone nel cammino personale di ciascuno di noi.

In fondo, come affermava il professor Bellavista: "In questo mondo del progresso, in questo mondo pieno di missili e di bombe atomiche, io penso che Napoli sia ancora l'ultima speranza che ha l'umanità per sopravvivere". Lo diceva nel 1984 e nel 2024 mi sembra ancora di grande attualità.

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