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È morto Luciano De Crescenzo

Luciano De Crescenzo racconta di quando decise di lasciare l’Ibm per una carriera da scrittore

Le memorie di Luciano De Crescenzo: quando andò via dall’Ibm per diventare scrittore a tempo pieno.
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Luciano De Crescenzo ebbe due fasi fondamentali della sua vita: quella da ingegnere informatico e quella da scrittore-filosofo. Il passaggio non fu indolore: il poliedrico ingegno napoletano chiese addirittura in tv, da Maurizio Costanzo, a "Bontà loro" se dovesse optare per le humanae litterae o rassegnarsi a restare ingegnere di uno dei colossi internazionali del settore, l'americana Ibm.

Di recente la famiglia De Crescenzo, attraverso un affettuoso lavoro di recupero della sterminata mole di materiali del "professor Bellavista" guidato dal nipote, Michelangelo, sta cercando di usare Facebook e Instagram, quest'ultimo inaugurato qualche mese fa, per raccontare ai giovanissimi chi fu Luciano.

A tal proposito vi è la storia dell'addio all'Ibm. Luciano De Crescenzo decide di non essere più un ingegnere informatico e di fare lo scrittore a tempo pieno. Si reca reca a Segrate, alla sede generale della "Big blue" a stelle e striscce, per comunicare la cosa a chi di dovere. Era il 7 maggio del 1978.  E racconta: «Lo confesso: in quanto napoletano, e come tale facile alla lacrima, ero piuttosto commosso. Sembravo un liceale che doveva dire addio al suo primo amore».

Una volta uscito dallo studio del Grande Capo, scesi giù, nell’open space del secondo piano, dai miei ex compagni di lavoro. Entrai e li vidi seduti, tutti e tre, ognuno dietro la propria scrivania, così come li avevo visti il primo giorno che avevo messo piede a Milano.
Giorgio, Ernesto e Stefano stavano ancora lì, con le loro scartoffie davanti, i loro diagrammi a blocco e i loro telefoni sempre in funzione.

Mi guardavano stupiti per la decisione che avevo preso. Non parlavano, ma era fin troppo chiaro quello che stavano pensando:
«Lascia l’IBM per andare a fare lo scrittore! Dev’essere impazzito!»
Probabilmente pensavano che avessi avuto una crisi esistenziale o qualcosa del genere.
Avevo già teso le braccia per stringerli in un abbraccio ideale, diciamo pure collettivo, quando uno di loro mi anticipò dicendo: «Scusaci, De Crescenzo, ma abbiamo una riunione vendite con il dottor Fiumara».

Ebbene, credetemi, non ci vidi più dalla rabbia. Ma come? Io vengo a salutarvi… forse è l’ultima volta che ci vediamo… vi tendo le braccia commosso… ho gli occhi ancora lucidi… e voi che fate? Mi dite che dovete andare alla riunione vendite! Che non avete nemmeno un minuto per darmi un addio degno di questo nome! Con tutte le giornate che abbiamo trascorso insieme, lavorando gomito a gomito, sempre a sgobbare, sempre a litigare con qualcuno. Con tutte le nottate che abbiamo passato davanti a un computer per un programma che non ne voleva sapere di girare!

«Avete la riunione vendite?» urlai. «Ed è la riunione vendite quella che vi meritate! Non capirete mai un cazzo della vita finché resterete chiusi qui dentro. State in carcere e non lo sapete: ecco qual è la verità! Eppure avete tutti davanti una targhetta su cui sta scritto ‘Riflettete!' Ma io, Dio sia lodato, me ne vado. Io scappo. Io vado dove la gente è ancora capace di commuoversi. Tanti saluti al dottor Fiumara e a tutti i dirigenti della IBM. Spero di non incontrarvi più nella vita».

Quando giunsi all’ingresso tremavo ancora per la rabbia. Dovevo ricompormi perché avevo un appuntamento alla Mondadori con l’editor che aveva curato il mio primo libro, "Così parlò Bellavista".

Grazie a Dio, mi ero liberato dall’obbligo di dover rassomigliare ai dirigenti della società. In IBM, se si vuole fare carriera, bisogna essere alti, snelli, sorridenti e sempre in tiro.

Io oggi, in quanto uomo libero, se ho voglia di scrivere, scrivo, se ho voglia di leggere, leggo, e se non ho voglia né di scrivere né di leggere non faccio niente. In altre parole sono l’assoluto dominatore di me stesso.

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