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È morto Luciano De Crescenzo

Un anno senza Luciano, un anno pieno di De Crescenzo

Luciano De Crescenzo ci lasciava fisicamente un anno fa. La sua voce e i suoi scritti continuano a vivere. Divulgativo, ironico, scanzonato e interessante: l’eredità dell’ingegnere-filosofo napoletano è tutta in questo miscuglio imprevedibile e irripetibile di qualità. E in una voglia di pensare soprattutto al presente, senza angosciarsi col futuro, senza rimpiangere il passato.
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Ad un certo punto dell'Odissea, quando Ulisse parla con Tiresia, l'indovino defunto, scorge tra le ombre quella di Achille. Ascoltando il Pelide si rende conto che quest'ultimo non è affatto contento di essere un eroe morto e preferirebbe essere un vivo qualunque («[…] Io pria torrei servir bifolco per mercede a cui scarso, e vil cibo difendesse i giorni, che del mondo defunto aver l’impero […] », libro XI).

Dunque non commetteremo l'errore di ricordare Luciano De Crescenzo ipotizzando cosa avrebbe detto o fatto oggi. Non possiamo saperlo. Luciano non c'è più dal 18 luglio 2019. Ma De Crescenzo c'è ancora e vive in ciò che ci ha lasciato. La sua voce ironica, scanzonata, divulgativa, appassionata si è cristallizzata, è diventata quasi ieratica, fortunatamente non abbastanza da risultare triste come quella dei Saggi che non sono più di questo mondo.

Luciano De Crescenzo nel corso della sua vita – ce lo racconta chi gli era accanto – osservava le classifiche di vendita dei libri sicuramente con soddisfazione: ad ogni pubblicazione il tomo schizzava in testa tra i più venduti. Puntualmente però finiva nella sezione «Vària» che lui con una punta d'amara ironia definiva «aVarìa». La critica non lo classificava nella narrativa né nella saggistica. De Crescenzo è stato per il panorama culturale italiano quello che un glitch è per i videogiochi: una di quelle anomalie che ti fanno fare tanti punti, come in Mario Bros.

Ancorato al presente, maledettamente ancorato al presente. Forse per questo piace ai giornalisti. «La maggior parte degli uomini, a seconda dell’età, sopporta la propria esistenza, o indugiando nei ricordi del passato, o aggrappandosi al futuro. Pochi esseri superiori riescono a vivere immergendosi nel presente», scrisse una volta.  È andato via a novant'anni non allungando ma dilatando il tempo, come soleva spiegare nei libri e nei film. Negli scritti «quasi profetici» di "Accadde domani", edito in questi giorni per Mondadori, curato con dolcezza dalla figlia Paola De Crescenzo con Carmen Arzano dell'agenzia letteraria Delia, si racconta – ed è proprio Paola a farlo – del rapporto col tempo:

Rileggendo gli articoli che ha scritto tra la fine degli anni Settanta e i primi anni del Duemila, mi sono accorta che alcuni temi da lui approfonditi, come per esempio l’omosessualità, il nucleare, l’inquinamento, la corruzione, o ancora l’influenza della tecnologia nei rapporti sociali, il problema delle carceri e la cosiddetta “questione meridionale”, sono ancora al centro di accesi dibattiti. È stato un uomo che ha osservato il mondo con curiosità, ma soprattutto ha provato a spiegarlo ai suoi lettori, invitandoli a ragionare su ciò che sarebbe accaduto nel prossimo futuro (‘Accadde Domani', Mondadori, 2020)

Il tempo socratico «che non esiste». Più concretamente un futuro senza ansie e un passato senza rimpianti. E il presente.

È nel tempo presente che noi viviamo De Crescenzo. Luciano se n'è andato via una mattina di luglio ma De Crescenzo è vivo più che mai. Gracchia nei film che le tv private napoletane mandano in onda fino a consumare, è un dorso di libro onnipresente, dagli scaffali di famiglia alle bancarelle dei libri usati fino alle fiammanti nuove edizioni nelle librerie fisiche e sul web. È nelle foto di Bellavista in mostra permanente al centro storico (peccato che il Comune di Napoli non abbia pensato a una mostra). In questi giorni di pandemia cosa avrebbe detto? Non lo sappiamo e non possiamo saperlo, non possiamo giocare a simulare il suo pensiero. Tuttavia in quel che già ha scritto possiamo trovare possibili risposte.

Poche persone conoscono i napoletani come veramente sono. Oserei dire che forse nemmeno gli stessi napoletani, quelli della borghesia, ne sanno abbastanza. È più probabile infatti che conoscano di persona un indigeno delle Seychelles, dove oggi è di moda andare per le vacanze di fine d’anno, che non un abitante «d’ ’o vico d’ ’e Rrose» a San Potito (‘La Napoli di Bellavista', 1978).

Abbiamo provato a rifare oggi le foto della "Napoli di Bellavista", libro del 1978. Impresa rivelatasi impossibile: le zone di Napoli immortalate da Luciano De Crescenzo sono totalmente cambiate. Più belle? Non direi. Inevitabilmente imbruttite? No, conservano ancora un loro fascino. Sono cambiate ed è nel tempo presente che bisogna leggere una città, avere a che fare con la sua gente, afferrare il senso delle cose che ci passano davanti agli occhi. L'occhio ironico e acuto di Luciano è il più grande regalo che ci ha lasciato De Crescenzo.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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