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La testa in cera del baby boss Emanuele Sibillo esposta al Museo criminologico

La testa in cera del baby boss Emanuele Sibillo, sequestrata quando è stata smantellata la cappella abusiva, verrà esposta nel Museo Criminologico di Roma.
A cura di Nico Falco
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La testa in cera del baby boss Emanuele Sibillo, sequestrata quando è stato smantellato l'altare abusivo allestito nel cortile dell'edificio dove abita la famiglia, verrà esposta nel Museo criminologico di Roma. La decisione proprio in virtù di quello che rappresentava quando era nella cappella di via dei Tribunali: per gli inquirenti era il simbolo del potere criminale del clan, simulacro funzionale alla mitizzazione, in chiave camorra, della figura del 21enne ucciso in un agguato.

La testa del boss Sibillo al Museo criminologico di Roma

L'esposizione nel museo è stata autorizzata dal procuratore di Napoli, Giovanni Melillo. La testa verrà quindi trasportata in via del Gonfalone, a Roma, nella struttura gestita dal Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Aperto nel 1931 originariamente nell'ex carcere minorile, e dal 1975 spostato nelle carceri del palazzo del Gonfalone, è diviso in quattro sezioni.

Tra i reperti esposti, oltre a diversi strumenti di tortura, anche la pistola con cui Gaetano Bresci uccise Umberto I, la divisa del boia Mastro Titta, "er boja de Roma", e il calco in gesso del cranio di Giuseppe Villella, il cui originale fu usato da Cesare Lombroso a sostegno delle proprie teorie sul fenotipo del delinquente meridionale.

Chi era Emanuele Sibillo, Es17

Emanuele Sibillo fu ucciso in un agguato di camorra il 2 luglio 2015 nella zona dei Tribunali, durante la guerra di camorra contro i Buonerba. Il clan di cui era a capo, satellite dell'Alleanza di Secondigliano (e in particolare del clan Contini), era in contrasto coi "capelloni", che invece erano legati ai Mazzarella. "Es17" fu raggiunto da una pallottola alla schiena durante uno dei vari raid tra i due gruppi criminali e morì poco dopo all'ospedale Loreto Mare.

Dopo la sua morte i familiari si erano appropriati di una antica cappella votiva nel cortile dello stabile dove vivono, in via Santi Filippo e Giacomo. Avevano costruito un altarino dedicato al baby boss dove, oltre alla testa in gesso, c'era anche l'urna con le ceneri. E quel piccolo monumento, hanno ricostruito gli inquirenti, era funzionale alla forza del clan tra i vicoli: lì era stato portato e minacciato un imprenditore che non aveva pagato il pizzo. L'altarino è stato smantellato nello scorso aprile.

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