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Militare degradato e cacciato dall’Esercito Italiano per non essere andato a messa

Il militare si era rifiutato di partecipare alla messa in suffragio di un commilitone morto spiegando di essere non credente. Una decisione che gli è costata la carriera nell’esercito italiano.
A cura di Davide Falcioni
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Avrebbe dovuto partecipare alla messa organizzata per ricordare un commilitone morto, ma un militare di origini campane all'epoca dei fatti in forza alla caserma dell'Esercito di Motta di Livenza (Treviso) si era rifiutato adducendo, come motivazione, il fatto di essere non credente e appellandosi alla Costituzione. Tale comportamento, però, gli è costato molto caro: il soldato è infatti stato processato di fronte al tribunale militare di Verona per disobbedienza pluriaggravata e infine condannato, con sentenza passata in giudicato. Nei suoi confronti è scattata una dura sanzione disciplinare: la perdita del grado per rimozione con cessazione dal servizio permanente.

I fatti risalgono al 2013 e la sanzione venne firmata dalla Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa. La scorsa settimana è stata pubblicata la sentenza che, a fronte del ricorso presentato dal militare, dà ragione al dicastero e condanna il ricorrente al pagamento di mille euro di spese processuali. "Il provvedimento impugnato, la cui motivazione richiama la gravità del comportamento del militare, i suoi numerosi precedenti e l’incompatibilità della condotta con il grado rivestito e lo status di militare in servizio permanente, costituendo una violazione dei principi di gerarchia che improntano l’ordinamento militare tale da minare il rapporto di fiducia, appare esente da censure e non contrasta con i principi di proporzionalità e gradualità", hanno motivato i giudici.

A sostegno della decisione del tribunale militare anche una serie di pregressi che non avevano messo in buona luce l'imputato, "un soggetto che ha riportato, nel corso della sua pur non lunghissima carriera nell’Esercito, un rilevante numero di sanzioni disciplinari e ripetute valutazioni negative da parte dei superiori, almeno nella parte iniziale della carriera". Per quanto concerne il rifiuto a partecipare alla messa perché ateo, i giudici hanno rilevato come il militare non si fosse in alcun modo preoccupato di avvisare i superiori di non essere credente. Non essersi organizzato per tempo "induce a dubitare che nell’episodio l’interessato abbia realmente inteso tutelare i propri diritti costituzionalmente garantiti della libertà di pensiero e religiosa, inclusa l’obiezione di coscienza".

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