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Sani, lucidi e violenti: perché gli uomini che uccidono le donne sono quasi sempre come Alessandro Impagnatiello

Questo processo ci ricorda, che in più dell’80 per cento dei casi, gli abusanti delle proprie partner sono uomini mentalmente sani, nei quali non viene riscontrata nessuna patologia psichiatrica.
A cura di Margherita Carlini
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Nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, Alessandro Impagnatiello, 31 anni, è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno, per aver ucciso la sua compagna Giulia Tramontano, 29 anni, incinta da sette mesi di Thiago.

Gli sono state riconosciute tutte le aggravanti contestate dall’accusa, quella della premeditazione, della crudeltà e dell’aver commesso il fatto ai danni della convivente, è stato condannato a ulteriori sette anni per interruzione non consensuale di gravidanza e occultamento di cadavere, l’unica aggravante non riconosciuta è stata quella dei futili motivi.

Le motivazioni saranno disponibili tra novanta giorni. Una sentenza questa, che è arrivata, in una giornata così significativa, a conferma e definizione di quello che è il contesto di relazione e di quelle che sono le dinamiche tipiche all’interno delle quali la violenza maschile contro le donne si manifesta, quotidianamente nel nostro Paese.

Al di là di ogni tentativo di strumentalizzazione e di ogni idea stereotipata che possiamo avere in riferimento a questo fenomeno, il processo ad Alessandro Impagnatiello e la sua condanna, ci richiamano alla realtà dei fatti.

Una realtà in cui le donne, nella maggior parte dei casi italiane, sempre più giovani e provenienti anche da contesti socioculturali elevati, vengono abusate, spesso fino alla morte, da uomini con i quali avevano o avevano avuto una relazione di intimità. Spesso i padri dei loro figli e delle loro figlie.

Relazioni all’interno della quali la violenza può manifestarsi in molte forme ed essere agita in maniera subdola, attraverso la manipolazione psicologica e il controllo. Una violenza che sempre più spesso non lascia segni fisici, tangibili, ma destruttura la personalità della donna che la subisce, ne mina l’autostima e la rende giorno dopo giorno, prigioniera di una relazione sempre più esclusiva con il suo carnefice.

Una violenza che spesso, a fronte di condotte ossessive, diventa letale nel momento stesso in cui la donna prova a emanciparsene, decidendo di interrompere la relazione.

Una realtà in cui i maltrattanti, gli abusanti, gli stupratori e gli assassini sono, nella maggior parte dei casi uomini italiani, provenienti anche da contesti socioculturali elevati, perfettamente funzionali in ambito sociale, lavorativo o amicale, che scelgono di utilizzare la violenza nelle relazioni di intimità per riuscire a prevaricare le loro vittime. Uomini che esercitano la violenza, prevalentemente, nei confronti di donne con le quali hanno o hanno avuto una relazione di intimità, con le quali hanno dei figli o delle figlie.

Bambini che, come nel caso del piccolo Thiago vengono travolti da quella stessa violenza, perché colpiti direttamente o perché sono costretti ad assistervi.

Nonostante i tentativi della difesa di Impagnatiello, di dipingerlo come un uomo emotivamente e personologicamente fragile, nel tentativo forse di riscontrare in lui una condizione che avesse potuto anche solo scemarne la capacità di intendere e di volere al momento del fatto, questo processo ci ricorda, che in più dell’80 per cento dei casi, gli abusanti delle proprie partner sono uomini mentalmente sani, nei quali non viene riscontrata nessuna patologia psichiatrica.

Uomini che scelgono, in maniera lucida e funzionale ai loro bisogni, di usare la violenza come modalità di relazione. Uomini che preordinano la distruzione psichica e fisica delle loro partner o ex partner nel momento in cui percepiscono di perdere il potere, il controllo all’interno della relazione.

È questo il contesto prevalente all’interno del quale la violenza maschile contro le donne si manifesta ed è questa la dimensione che ci restituisce la condanna all’ergastolo ad Alessandro Impagnatiello.

Un giovane uomo italiano, che in molti avrebbero definito un “ragazzo per bene”, incensurato, di bell’aspetto, stimato nell’ambiente lavorativo e con un grande carisma, che ha scelto, nel momento in cui Giulia gli ha comunicato di essere incinta, di eliminare, con ogni mezzo (per mesi somministrandole di nascosto del veleno per topi) quel bambino, il suo bambino e Giulia, che per lui rappresentavano un ostacolo al raggiungimento dei propri, egoistici, obiettivi.

Alessandro Impagnatiello è stato condannato all’ergastolo perché ha ucciso la sua compagna Giulia Tramontano ed il bambino che aveva in grembo per impedirgli di essere liberi, per imporre, con la morte, la sua volontà.

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Sono Psicologa Clinica, Psicoterapeuta e Criminologa Forense. Esperta di Psicologia Giuridica, Investigativa e Criminale. Esperta in violenza di genere, valutazione del rischio di recidiva e di escalation dei comportamenti maltrattanti e persecutori e di strutturazione di piani di protezione. Formatrice a livello nazionale.
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