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Ilaria Salis detenuta in Ungheria

Perché Ilaria Salis non può lasciare il carcere in Ungheria e ora è impossibile riportarla in Italia

È da quasi un anno che Ilaria Salis, maestra 39enne di Monza, si trova detenuta in carcere a Budapest con l’accusa di lesioni aggravate nei confronti di alcuni manifestanti di estrema destra. Potrà scontare la pena in Italia?
Intervista a Oliviero Mazza
Avvocato e Professore di Diritto Processuale Penale dell'Università Bicocca di Milano
A cura di Francesca Del Boca
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È da quasi un anno che Ilaria Salis, insegnante di scuola elementare a Monza, si trova detenuta in carcere a Budapest con l'accusa di lesioni aggravate nei confronti di alcuni manifestanti di estrema destra e di una presunta appartenenza a una organizzazione antifascista internazionale. "Ci sono topi, scarafaggi e cimici da letto nelle celle, assenza di cibo e di aria", ha denunciato la stessa Salis in un memoriale consegnato al proprio legale, a proposito delle proprie condizioni detentive nel capoluogo magiaro.

Dopo l'udienza dello scorso lunedì 29 gennaio nel tribunale della capitale ungherese, quella in cui la 39enne è entrata in aula ammanettata mani e piedi, il processo è stato aggiornato al 24 maggio. Ilaria Salis si è dichiarata non colpevole, e rischia fino a 20 anni di reclusione: con lei si trova imputato anche il 23enne milanese Gabriele Marchesi, che sconta la pena ai domiciliari in Italia nonostante la richiesta di estradizione dell'Ungheria (negata dalla Procura Generale di Milano).

Perché Ilaria Salis non può tornare in Italia?

Dalle informazioni di stampa, Ilaria Salis sarebbe sottoposta alla custodia cautelare in attesa di giudizio in Ungheria per fatti che avrebbe commesso in quel Paese. Dunque, l’esigenza processuale ungherese in questo momento è prevalente.

C'è un modo per riportare Ilaria Salis a casa?

Dal 2008 è vigente in Europa una specifica disciplina che consente il trasferimento di persone condannate e detenute. Qualora venisse condannata a una pena detentiva, sarebbe possibile ottenere il suo trasferimento in Italia per l’esecuzione penitenziaria. Prima mi sembra difficile, essendo prevalenti le esigenze processuali che impongono la custodia cautelare.

Come giudica il trattamento riservato all’imputata in Ungheria, che si è presentata in tribunale con manette ai polsi e ceppi di cuoio ai piedi?

Vedere un imputato che compare in aula con mezzi di coercizione fisica fa sempre impressione. In realtà, anche nel nostro ordinamento sono previsti tali strumenti per prevenire il rischio di fuga o di violenze da parte di imputati in stato detentivo.

Tuttavia, da un lato è vietata la pubblicazione delle immagini di persone private della libertà personale che si trovino in manette, e quindi sostanzialmente non le vediamo, dall’altro la polizia penitenziaria, che si occupa delle traduzioni, toglie i mezzi di coercizione una volta arrivati in aula e spetta poi al giudice stabilire se l’accusato possa rimanere libero al fianco del difensore o se debba essere richiuso nelle apposite gabbie che, a livello di costrizione morale, non sono meno afflittive delle manette.

Non dimentichiamo che in Italia i detenuti in attesa di giudizio per i reati più gravi non hanno il diritto di partecipare all’udienza, essendo previsto solo il collegamento a distanza dal carcere. Complessivamente, non mi sembra un esempio di civiltà nemmeno il nostro e spero che l’indignazione per il processo ungherese faccia riflettere anche sulla condizione dei nostri imputati in custodia cautelare.

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