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Perché Alessia Pifferi è diversa da tutte le altri madri assassine, soprattuto da Martina Patti

Alessia Pifferi e Martina Patti due madri assassine, ma per ragioni differenti. La prima ha sempre trascurato la bambina perché non in grado di adempiere al ruolo materno, la seconda ha usato la figlia come vendetta.
A cura di Anna Vagli
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A sinistra Alessia Pifferi e a destre Martina Patti
A sinistra Alessia Pifferi e a destre Martina Patti
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Dall’archetipo di madre assassina, Anna Maria Franzoni, passando per Martina Patti, e fino ad Alessia Pifferi, molteplici sono stati gli episodi di figlicidi e infanticidi che hanno macchiato le pagine di cronaca del nostro Paese. Motivi e pulsioni omicida differenti. Ma c’è comunque un minimo comune denominatore. Tra il parto e l’omicidio si è portati a credere che tra madre e figlio si sviluppi l’attaccamento. Ma, laddove quest’ultimo non si concretizza per la madre, il figlio rischia di essere rifiutato. Anche attraverso l’eliminazione fisica.

Il profilo di Alessia Pifferi: egocentrica e bugiarda

Alessia Pifferi è egocentrica, bugiarda e manipolatrice. Voleva farsi una vita, lei che si è definita ragazza madre, ma che ragazza non lo è più da tempo. Desiderava a tutti i costi la relazione con quell’uomo, forse anche per ragioni di opportunità economica. E la bramava al punto che, per proteggerla, ha lucidamente accettato che la figlia Diana morisse. Una madre negligente, che – da quel che emerge – ha sempre deliberatamente trascurato la bambina perché non in grado di adempiere al ruolo materno.

Non ha mai percepito i suoi bisogni, ma, al contrario, avvertiva le esigenze della piccola come qualcosa di sconosciuto, che le complicava e rovinava la vita. Una accecante angoscia e un pervasivo timore di annientamento personale. Convinta, probabilmente, che la figlia le avesse rovinato l’esistenza e l’avesse costretta a vivere come lei non avrebbe voluto vivere.

Del resto, l’ha partorita in un bagno e mentre la stessa veniva ripetutamente ricoverata, lei si godeva il lusso di Montecarlo con uno dei suoi svariati compagni. Che, insieme alla madre, erano funzionali al suo mantenimento. Il tutto, sempre vestita con paillettes e perline.

La modalità passiva con la quale Alessia ha lasciato morire la figlia riflette perfettamente la sua personalità. Una donna immatura, con tratti regressivi, infantili e spiccatamente narcisistici. Ha abbandonato clandestinamente Diana, come se si trattasse di un prodotto fecale. Un oggetto informe, un articolo di tappezzeria. Un impedimento alla sua vita relazionale e senza regole.

Il profilo di Martina Patti: ha usato la figlia come vendetta

Martina Patti, invece, ha ucciso sua figlia Elena nel più atroce dei modi: ha utilizzato un’arma da punta e da taglio infliggendole undici coltellate o forse più. Una madre figlicida che, data la sua laurea in scienze motorie e quella che stava per conseguire in infermieristica, ben conosceva l’anatomia umana. E di conseguenza come infliggere un unico colpo mortale. Ma non l’ha fatto.

Al contrario, ha deciso in maniera lucida e razionale che Elena avrebbe dovuto morire nel peggiore dei modi. Dopo aver inscenato un improbabile rapimento da parte di un commando di uomini incappucciati, Martina ha cercato in ogni modo di virare i sospetti sul padre di sua figlia ed ex convivente, Alessandro Del Pozzo. Motivo per il quale l’ha uccisa: per ripristinare il controllo assoluto su di lui privandolo di quanto più caro avesse al mondo: sua figlia.

Ma Elena doveva pagare anche un altro conto a sua madre: quello di nutrire affetto per una donna, la compagna di Alessandro, che stava ricoprendo un posto che non avrebbe dovuto ricoprire e che, in un passato non troppo lontano, era stato il suo. Dunque, Martina una madre mortale per vendetta. Animata da una sete d’odio che l’ha spinta a scavare una buca prima di andare a prendere la bambina all’asilo. Figlicida come Alessia, ma in maniera diversa. Martina Patti, come Veronica Panarello, ha cercato di farla franca attuando tutta una serie di depistaggi e cercando di rendere verosimile il racconto del rapimento appellandosi ai precedenti penali del padre di sua figlia.

La differenza tra le due madri assassine

Radicalmente opposta, invece, la spinta sanguinaria di Alessia Pifferi. Una madre la cui condotta è stata orientata dalla totale noncuranza. È riuscita a normalizzare il fatto di cui si è resa responsabile anche di fronte ai magistrati che l’hanno interrogata. D’altra parte, come ha dichiarato, rivoleva la sua libertà. Si è detta ad un certo punto preoccupata, ma neppure più di tanto. Durante la convalida, ha comunicato al giudice di aver interrotto recentemente una relazione perché il suo precedente compagno “Si era ammalato di tumore e non ci sarebbe stato futuro tra loro”. Per Alessia Pifferi è già decaduta l’aggravante della premeditazione.

La morte di Diana merita davvero di essere decurtata delle aggravanti? Non è un’affermazione di pancia come un addetto ai lavori potrebbe suppore. Al contrario, pensate al mito della caverna di Platone. Nello specifico, agli uomini incatenati che percepiscono le ombre degli oggetti come cose reali perché sono l’unica versione che abbiano mai conosciuto. Così, allo stesso modo, serve una presa di coscienza collettiva ormai non più rimandabile: le madri, per motivi diversi ma parimenti aberranti, possono uccidere i loro figli.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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