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Omicidio di Sofia Castelli a Cologno Monzese

Omicidio a Cologno Monzese, perché Zakaria Atqaoui aveva deciso di uccidere Sofia Castelli già il giorno prima

Zakaria Atqaoui nelle sei ore trascorse nell’armadio non ha fatto altro che rafforzare la decisione, maturata già il giorno prima, di uccidere Sofia Castelli.
A cura di Anna Vagli
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A vent’anni si cerca ancora il nostro posto nel mondo. Cerchiamo di capire chi siamo e chi vogliamo diventare. Non potrà essere così per Sofia Castelli. Ed il perché ce lo racconta la cronaca di questi giorni. Sofia è stata uccisa con tre coltellate alla gola dal suo ex fidanzato, Zakaria Atqaoui, di ventitré anni. La formula ormai sembra essere diventata la stessa. Siccome tu non mi vuoi, allora io ti uccido. Ti cancello, ti elimino. Non importa quanti anni tu abbia o quale sia la tua identità. Devi pagare con la vita la decisione di lasciarmi.

Tutto, anche in questa ultima vicenda di Cologno Monzese, oltre a evidenziare la lucidissima volontà dell’assassino di commettere il femminicidio, lascia intravedere un incontenibile desiderio di giustiziare una giovane donna che, secondo quanto confermato dalle amiche, si era stancata di frequentare un ragazzo come lui. Zakaria venerdì si è precipitato a casa della ex fidanzata con il pretesto di portarle un dolce. In quell’occasione, le avrebbe sottratto le chiavi dell’appartamento. Per intrufolarsi la sera seguente e nascondersi nell’armadio di camera armato di un coltello. Avrebbe atteso il rientro di Sofia per sei ore e aspettato che si addormentasse. Poi, dopo aver cambiato il coltello, perché il primo scelto non gli sembrava adatto, l’ha aggredita nel sonno. E l’ha uccisa. Dimostrando di avere un totale controllo emotivo in tutta la fase organizzativa del delitto. Un controllo che prova il suo essere malevolo e pericoloso. Ma che integra senza alcun dubbio l’aggravante della premeditazione.

Le sei ore nascosto nell'armadio

Durante l’interrogatorio di convalida, Zakaria ha rivelato di essersi nascosto per sei ore nell’armadio della camera dei Castelli in attesa che Sofia tornasse dalla sua serata. Dopo averla sentita chiacchierare e parlare con l’amica di un nuovo ragazzo, ha raccontato ai magistrati: “Li è scattato qualcosa, non riesco a spiegare cosa. Ho atteso che le ragazze si addormentassero (…) sono uscito dall’armadio, sono andato in cucina, ho afferrato un coltello poggiato sul lavandino".

A Zakaria è stata contestata l’aggravante della premeditazione, come era prevedibile. Il giovane, però, ha raccontato che aver sentito di un potenziale nuovo interesse sentimentale di Sofia l’avrebbe indotto ad agire. Un'affermazione che si pone decisamente in antitesi con la dinamica dei fatti. Non è difficile, adottando una logica prettamente investigativa, comprendere come, in realtà, Zakaria abbia deciso di uccidere l’ex ragazza nel momento esatto in cui ha deciso di acquistare un dolce e di portarglielo a casa.

Nella sua mente, perfettamente consapevole che i genitori di Sofia erano fuori casa, aveva già architettato il piano sanguinario. Così, ha sottratto le chiavi e, come sappiamo, si è nascosto per sei ore nell’armadio in attesa del suo rientro. Avete in mente quante sono sei ore in un contesto emotivo di quel tipo? Infinite. Lo sono perché in quei momenti Zakaria ha avuto tempo per riflettere e per, eventualmente, cambiare idea sul proposito omicidiario. Ma non lo ha fatto.

Non lo ha fatto perché una personalità come la sua non è in grado di tollerare la rabbia, la frustrazione, ma soprattutto l’abbandono. Nessun presupposto psichiatrico, nessun blackout mentale. Nessuna infermità, totale o parziale. Una personalità complessa, narcisistica e multiproblematica, che non contempla la sofferenza. Un uomo privo di empatia ed incapace di individuare una via d’uscita diversa dall’omicidio. Ma perfettamente consapevole di quanto commesso.

Torniamo alle ore trascorse nell’armadio. Sei. Un ampio lasso temporale che testimonia l’inamovibilità della decisione, quella di uccidere, assunta nei giorni antecedenti a quelli in cui si è concretizzata. E ciò trova indubbiamente conferma in letteratura. Nella maggior parte dei casi, infatti, nessuno uccide se prima non ha maturato dentro di sé certe convinzioni che veicolano tutte nella stessa direzione.

Dunque, cosa è accaduto dal momento in cui Zakaria si è nascosto nell’armadio a quello in cui è passato all’azione? Semplice. Il ragazzo ha solamente rafforzato la sua volontà di uccidere Sofia. Ha studiato accuratamente ogni dettaglio, con un solo obiettivo. Quello di cancellare per sempre colei che aveva osato messere in discussione il suo ruolo dominante nella coppia. Indubbiamente, le parole scambiate con l’amica possono aver fornito un ulteriore incentivo, ma non sono state le causa scatenante. Sei ore sono 360 minuti. Interminabili. Tutti trascorsi da Zakaria su come confezionare l’omicidio. La decisione, ribadisco, risaliva ad almeno un giorno prima.

La scelta del coltello

"Ho cambiato coltello prima di ucciderla. Ho pensato che non fosse adatto. Sono tornato in cucina e ne ho preso uno più adatto”. Questa frase è stata pronunciata dall’assassino durante la convalida del fermo. Parole agghiaccianti, che accendono i riflettori su di un altro tema. L’inattaccabile desiderio di eliminare e cancellare la persona che aveva osato proseguire la sua vita senza di lui. Nessuna alternativa, nessuna prospettiva secondaria. Soltanto un proposito che andava concretizzato nella maniera più efficace possibile. Spietato.

Le minacce di uccidersi

Anche lui, come tutti i narcisisti patologici, aveva necessità di sentirsi in controllo e quindi era disposto a tutto pur di non perdere il potere su Sofia. Dunque, il fatto di minacciare il suicidio, non a caso mai concretizzato, aveva un solo obiettivo: riportare Sofia nella sua vita. Ma questo non ha niente a che fare con l’amore. Un amore che, peraltro, il narcisista non nutre per nessuno al di fuori di sé stesso. Dunque, prospettando a Sofia la volontà di togliersi la vita, Zakaria voleva innescare in lei il senso di colpa.

Un partner ricattatore morale, insomma, che incoraggiava la sua ex ad assumersi la totale responsabilità per la sua infelicità e per il senso di vuoto che lo attraversava. Tutti i narcisisti fanno del senso di colpa, e con esso della minaccia di un suicidio, il ricatto preferenziale. Sanno che, prospettando ad una donna la volontà di togliersi la vita perché lei ha posto fine alla relazione, ci sono buone probabilità che la storia venga ripristinata. Se la vittima si ribella, invece, l’esito è quasi sempre il peggiore. E il più sanguinario. Con questi soggetti non si vince, per questo l’unico modo per non soccombere è cercare di non giocare mai.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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