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Il racconto della ragazza violentata a Milano: “Mi diceva di non costringerlo a sfregiarmi”

La ragazza, dopo aver perso chiavi di casa e cellulare, è stata avvicinata da un 38enne fuori da un locale in zona corso Como a Milano: il giovane si è offerto di aiutarla, e l’ha convinta a seguirlo. Oltre alla violenza, durata dieci ore, botte e minacce. “Continuavo a dirgli non è giusto, non voglio”
A cura di Francesca Del Boca
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Un racconto dell'orrore. È quello fornito alle poliziotte e alle psicologhe del Soccorso Violenza Sessuale della clinica Mangiagalli dalla giovane di 23 anni che, nella notte tra venerdì 31 marzo e sabato 1 aprile, è stata minacciata e violentata da un 38enne a Milano, nei pressi di via Melchiorre Gioia.

"Ho continuato a dirgli: non è giusto, non voglio, sono anche fidanzata. Ma lui si è alzato dal tendone per posizionarsi davanti a me, minacciandomi con un coccio di bottiglia. Non costringermi a sfregiarti, mi diceva".

Chi è l'aggressore

L'uomo, identificato dalla Mobile nel 38enne marocchino Imad Bourchich, è stato subito arrestato dagli agenti della Squadra mobile milanese, guidati dal dirigente Marco Calì.

Era uscito dal carcere un anno fa, dopo quasi due anni e mezzo di detenzione: tra i suoi precedenti, rapina aggravata in concorso e violenza sessuale. Il 29 marzo 2021 il Tribunale di Pavia aveva decretato la sua espulsione "per la sua pericolosità sociale", mai eseguita.

Il racconto della giovane vittima

"Mi ha detto di chiamarsi Ivan", racconta, secondo quanto riportato da La Repubblica, la giovane vittima, che vive a Milano e fa l'impiegata. "Ivan" si avvicina alla ragazza mentre si trova da sola fuori dalla discoteca Tocqueville in zona corso Como, dopo una serata trascorsa in compagnia di alcuni colleghi. È in quel momento che realizza di aver perso chiavi di casa e cellulare.

"Ricordo di essermi appoggiata su una macchina perché barcollavo. ero confusa, spaventata". "Ivan" si offre di aiutarla. "Mi ha detto che sapeva dov'era il mio telefono, che conosceva tutti in quella zona". La giovane lo segue. All'altezza di piazza Einaudi, nel parcheggio multipiano dove il 38enne ha stabilito il suo giaciglio di fortuna, realizza di essere finita in una trappola.

"Una rampa portava giù ma non riuscivo a capire a che piano eravamo. Ho realizzato che ero da sola con lui e gli ho detto di lasciare stare, che me ne dovevo andare, che avrei comprato un altro telefono". Ma ormai è troppo tardi. 

Scatta la trappola per la 23enne

"Mi ha spinto contro il muro per impedirmi di indietreggiare e per tenermi ferma. Mi ha poi tirato due schiaffi in faccia ed io ho continuato a gridare, gridare e a dimenarmi per cercare di liberarmi. Mi ha tirato altri due schiaffi mentre con l'altra mano mi teneva". E poi le minacce: "Non costringermi a sfregiarti". E la cocaina che tira davanti alla vittima, obbligandola a fare altrettanto.

La 23enne intanto le prova tutte: piange, implora, chiede scusa, prova a farlo riflettere. "Ricordo di avergli detto: ma Allah cosa ne pensa?". Niente da fare. "Mi guardava e mi diceva: mi hai fatto veramente incazzare, non lo fare mai più". E infine la violenza, puntandole un coccio di bottiglia al collo.

Un sopruso interminabile, durato fino alle prime luci dell'alba. Dieci ore di puro orrore. "Per lui era come se avessimo avuto una notte d'amore. Continuava a dirmi che voleva la mia fiducia, anche se però non dovevo più comportarmi come quando cercavo di dimenarmi". L'uomo la accompagna a un bar, e poi a casa. "Ricordo che per tutto il tempo continuai a battere i denti".

L'arresto dell'aggressore

Provvidenziale l'arrivo della coinquilina, che sventa un nuovo tentativo di stupro e chiama immediatamente i Carabinieri.

L'aggressore viene fermato subito, proprio mentre sta tornando al giaciglio insanguinato dove si è consumata la violenza. L'impronta lasciata su un coccio di bottiglia, ritrovata a terra, coincide con la sua. Il suo volto compare nei filmati del bar e nei ricordi dei testimoni che lo hanno riconosciuto in foto. Incastrato.

La ragazza viene intanto ricoverata alla clinica Mangiagalli, dove confermano l'avvenuta violenza sessuale, e dimessa con tre settimane di prognosi. "Non è il dolore fisico, ma è stata la sensazione di non poter fare nulla, di essere impotente, di essermi sentita sola senza avere una via di fuga", il suo sfogo. Dopo la violenza, e il terrore di morire. "Pensavo solo a sopravvivere".

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