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Fanno propaganda sui social per l’Isis a cui hanno giurato fedeltà: a processo per terrorismo

Alaa Rafaei e Mohamed Nosair sono stati rinviatia giudizio per associazione con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere con finalità di terrorismo. I due avrebbero usato i social per fare propaganda per l’Isis.
A cura di Enrico Spaccini
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Foto di repertorio
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Vanno a processo Alaa Rafaei e Gharib Hassan Mohamed Nosair, arrestati lo scorso ottobre durante un'operazione di antiterrorismo condotta dalla Digos e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo. I due sono accusati di aver utilizzato i social per far propaganda a favore del jihadismo e dell'Isis, a cui avrebbero giurato fedeltà.

La propaganda all'Isis contestata dalla Procura

Rafei è un muratore di 44 anni egiziano residente a Monza e ha deciso di essere giudicato in rito abbreviato dal Tribunale di Milano. Nosair, invece, è un 49enne cittadino italiano, residente a Sesto San Giovanni, che il prossimo 24 maggio affronterà il processo davanti alla Corte d'Assise di Monza. Il pm Alessandro Gobbis ha chiesto, e ottenuto, per loro il rinvio a giudizio in quanto sarebbero stati "estremamente attivi nella propaganda e nel proselitismo digitale per conto dell’Isis", arrivando anche a organizzare e finanziare "cause di sostegno della stessa".

Stando a quanto ricostruito dalle indagini, Rafei e Nosair avrebbero usato i social per fare propaganda, preoccupandosi di aprire diversi profili per contrastare i blocchi che subivano dalle piattaforme. Attraverso quei canali, comprese le chat di messaggistica istantanea, avrebbero condiviso "materiale propagandistico" relativo all'Isis, come video delle uccisioni di persone considerate infedeli.

Le accuse ai due e la loro difesa

Entrambi avrebbero giurato fedeltà allo Stato Islamico. Nosair, in particolare, sarebbe apparso il più convinto nell'attività di proselitismo arrivando a incitare all'uso delle armi da fuoco e a creare un collegamento diretto con persone che "si sono dichiarati combattenti".

Le accuse nei loro confronti sono di associazione con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere con finalità di terrorismo. I due hanno negato ogni accusa, ribadendo come non avrebbero mai fatto nulla contro l'Italia che li ha ospitato e gli ha dato "una vita migliore". I presunti finanziamenti, invece, sarebbero state "alcune centinaia di euro inviate a donne e bambini che vivono nei campi profughi".

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